Riforme a piede libero

Il Cav. presidenzialista torna a Palazzo e fa il renziano a prescindere

Salvatore Merlo

Berlusconi presenta la sua formula per la governabilità e conferma lealtà a Renzi. “Ma restiamo opposizione”

Torna a Montecitorio, non accadeva da quattro mesi, e rioccupa la scena, malgrado i sospetti, i timori, le ansie per il processo d’Appello sul caso Ruby che si apre domani a Milano. “Rispetterò i patti sulle riforme, ma propongo a Renzi il presidenzialismo”, dice. “In Italia abbiamo bisogno di governabilità. E l’attuale ruolo del capo dello stato è diventato patologico. Il presidente della Repubblica non può più non essere eletto dai cittadini”. E insomma Silvio Berlusconi tiene le mani nelle mani di Matteo Renzi, fa capolino sul proscenio politico, “ci sono ancora”, dice, malgrado tutto, malgrado le botte giudiziarie, malgrado le risse di Forza Italia. E nel corso di una conferenza stampa acrobatica, sempre sospesa tra moderazione e tentazioni puntute, evita di farsi tagliare la strada da Beppe Grillo, da Sel e da Angelino Alfano, tutti disposti come sono a sostenere maggioranze variabili, per le riforme in Parlamento, qualora Forza Italia dovesse sfilarsi dagli accordi del Nazareno. “Ma restiamo opposizione”, aggiunge il Cavaliere, mentre scambia un’occhiata complice con Renato Brunetta, prolifico produttore di slide al veleno, elaboratore di numeri e paralogismi contundenti, gran contestatore del governo “imbroglione e tassatore”, lui che vorrebbe, se potesse, buttare tutto all’aria, stracciare ogni patto, rivelare Renzi per quello che è: “Un ragazzino che non sa nulla di nulla”. Ma tra Brunetta e Berlusconi c’è Denis Verdini, che alle slide preferisce poche pagine di considerazioni politiche che vengono consegnate riservatamente al Sovrano di Arcore, lui che al pubblico, e rodomontesco, Mattinale di Brunetta preferisce la penombra di un corridoio, poche parole sussurrate a Renzi e poi a Berlusconi, i vertici di un triangolo che soltanto Verdini, il fiorentino, sembra poter chiudere. E infatti Berlusconi ripertica il presidenzialismo, come gli ha suggerito Brunetta, poi ci mette del suo calcando la mano contro il Quirinale, e infine fa trasparire in controluce la trama di Verdini: “Sono sicuro di trovare un accordo con Renzi”.

 

E dunque l’accordo si troverà, dice il Cavaliere. La legge elettorale è in mano a Verdini, la riforma del Senato in quelle di Paolo Romani e Maria Elena Boschi. “Non credo sarà necessario. Ma se non dovessero accordarsi loro, allora potrei incontrare io Renzi”, ha detto Berlusconi.

 

[**Video_box_2**]Lo spartito di questa conferenza stampa non è dei più facili da suonare, ma il Cavaliere è un esecutore attempato eppure agile, ancora capace di cambiare chiave e modulare il tono senza stonare. Così accarezza per il verso giusto il pelo del presidente ragazzino, ma rivendica per sé autonomia di manovra, recupera dallo scantinato delle idee liberali la vecchia suggestione presidenzialista, la spolvera all’occasione, e la mostra al mondo come si fa con una bandiera, uno stemma, una frase a effetto, un feticcio intercambiabile, certo, eppure chiaro e semplice, un simbolo di vitalità più che vera materia di scambio politico con il governo: “La nostra proposta è la condizione per un vero ammodernamento del paese. Le sole riforme di cui si discute adesso non bastano. Questa è la nostra idea da sempre”. E dunque un po’ d’orgoglio, qualche lusinga a Renzi, ma anche alterne incursioni critiche sempre temperate da un sorriso, dall’immediato ricorso a una subordinata carezzevole: “Da quando è nato, il governo Renzi continua ad annunciare di voler fare le riforme. Siamo però ancora ai preliminari”. E il Cavaliere legge dagli appunti, che Brunetta segue riga per riga con gli occhialetti calati sul naso, e si fa pignolo, preciso, persino aspro mentre parla. Ma quando solleva lo sguardo dal foglio che Brunetta gli ha preparato, improvvisamente cambia d’accento e di pensiero, ed è il Berlusconi morbido che Verdini incontra ad Arcore il lunedì: “Renzi non è presidenzialista. Per adesso. Ma potrebbe anche cambiare idea. Noi comunque le sue riforme le votiamo lo stesso, a prescindere”. Così, ancora severo, dice che “la legge elettorale che doveva, secondo il governo, essere approvata entro il 25 maggio, si è insabbiata”. Ma poi passa di nuovo dal tono Brunetta al tono Verdini, dunque: “Noi per il bene del paese abbiamo scelto di dire sì”. E infine si abbandona al puro se stesso, al Berlusconi Cavalier Silvio, al repertorio di una vita cantabile contro Napolitano, contro i poteri parrucconi e mezzo golpisti, contro la Corte costituzionale: “Abbiamo un capo dello stato che è passato al di là della sua funzione prevista dalla Costituzione. Un passaggio patologico”. E ancora: “Le leggi che non piacciono alla sinistra di solito vengono impugnate da un pm di sinistra e la Corte costituzionale, di sinistra, le abroga”.

 

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.