Girone F

Redazione

Argentina, Bosnia-Herzegovina, Iran, Nigeria

Argentina

 

Quattro anni fa sul trono di Pietro sedeva un tedesco di Germania, sobriamente lieto per il 4-0 con cui la sua Nazionale rispedì a casa l’Argentina allenata da Maradona. Stavolta, a gustarsi i mondiali sarà un Papa della Pampa, calciofilo ed ex abbonato alle partite del San Lorenzo. Tiferà la Selección, e pazienza se alla benedizione papale s’accompagnerà quella laica della presidenta Cristina Fernández, rieletta a furor di popolo nel 2011, quando ammantata di veli neri, portava ancora il lutto per la dipartita del marito Nestor, suo predecessore alla Casa Rosada. Col cuore spezzato – e non per il decesso, nel frattempo avvenuto, dell’ex dittatore Videla –, rivendicava le Malvinas con tanto di arringhe tra i veterani, appelli all’Onu e al premier britannico Cameron. Nel frattempo, l’economia tornava ai livelli del 2001, anno del default, con i sindacati che portavano in piazza milioni di indignados, sicuri che l’export di carne non eviterà il tracollo. Anche perché l’inflazione reale non sarebbe del dieci per cento, come la presidenta va rassicurando, ma almeno del venticinque.

 

 

Bosnia-Erzegovina

 

La “primavera bosniaca” iniziata con i roghi nella città di Tuzla è stata una breve turbolenza passata quasi inosservata nel tempo delle primavere globali, ma è il segno di un malcontento radicato in un paese dove le ferite della guerra non si sono ancora rimarginate. La crisi ha messo in ginocchio l’economia della Bosnia, cresciuta a ritmi sostenuti negli anni della ricostruzione, e per cercare di risollevarsi Sarajevo si è rivolto al partner meno in salute fra quelli a disposizione: l’Unione europea. Negli ultimi quattro anni il paese ha visto più recessione che crescita, una crisi politica che ha portato al governo l’inevitabilmente contestato socialdemocratico Nermin Niksiç, corruzione diffusa, assistenza da parte delle organizzazioni internazionali, un tasso di disoccupazione stabilmente sopra al 44 per cento, roba da far sembrare la Grecia un paese in salute.

 

 

Iran

 

Sull’Iran e il calcio si potrebbe imbastire tutto un logoro discorso stereotipato sul football che porta speranza e libertà dove ci sono oppressione e cupezza e infatti eccolo qui: pronti via. Tutto risale alla squalifica di Melbourne tra Australia e Iran per le qualificazioni ai Mondiali di Francia nel 1998. I mullah tenevano il coperchio sulle emozioni calcistiche, fiutandone la pericolosità: match trasmessi in differita per evitare cori dissenzienti, club privati nazionalizzati e soprattutto niente donne. Ma quando l’Iran rifilò ai padroni di casa una doppietta risolutiva agli ultimi minuti, il diktat khomeinista si dissolse davanti all’entusiasmo popolare e orde di tifosi, donne incluse, si riversarono allo stadio Azadi (“Libertà”, allora se le cercano) per festeggiare. Balli al suono di musica occidentale vietata, fu avvistata gente ubriaca. Cosa c’entra questo con il 2014? Poco, sciaguratamente l’Iran odierno segna con il contagocce, laggiù a casa la libertà potrebbe restare nel cassetto assieme alle bottiglie. Speranze puntate su Reza Ghoochannejhad, bomber nato iraniano ma cresciuto alla scuola calcistica olandese.

 

 

Nigeria

 

La Nigeria da sola ha un quarto della popolazione africana e quindi, forse, possiede da sola anche un quarto di tutto il talento calcistico del continentone. Ai Mondiali però i giocatori mandati da Lagos scontano una maledizione ineluttabile: la nazionale giovani. I pivelli sono terrificanti ai Mondiali della loro categoria, ne hanno vinti quattro su quindici e sono arrivati secondi altre tre volte.  Dopo, ai Mondiali veri, non riescono mai a piazzarsi nei primi quindici. Ohibò, si dirà, si tratta forse di una maledizione statistica per cui se vinci troppo da una parte non puoi vincere dall’altra? No, illuministicamente rispondiamo che se hai i più forti under 17 del mondo pochi anni dopo farai sfracelli. Invece i nigeriani sono bravi a sabotarsi da soli per casini di federazione: per esempio devono ancora pagare il coach che li portò alla vittoria nel 2013. Inoltre, i loro giocatori sono presi giovanissimi dai club europei, che ne soffocano la fantasia e chiedono loro ruoli muscolari, il cosiddetto “ruolo Makélélé” – dal nome di un difensore nigeriano che non poteva nemmeno attraversare la linea di metà campo. Invecchiano da mediani, e poi ai Mondiali veri sono un flop.