Girone A

Redazione

Brasile, Messico, Croazia, Camerun

Brasile

 

Finalmente il Brasile ha il suo Mondiale – ne ha vinti cinque ma non ne ospitava uno dal 1950 –, ma i brasiliani non sembrano contenti. Secondo una ricerca del Pew Research Center il 61 per cento dei brasiliani pensa che il Mondiale sarà un male per il Brasile, e le proteste contro la presidenta Dilma Rousseff, il carovita e i soldi pubblici che vanno agli stadi (magari dispersi in mezzo alla selva, come quello di Manaus dove giocherà l’Italia) anziché a scuole e ospedali vanno avanti da un anno. “Un insegnante vale più di Neymar”, urlano i manifestanti, e ricordano al mondo che il Brasile non è più il gigante in ascesa di quattro anni fa, quando ci si aspettava che la coppa del Mondo (e le Olimpiadi: il Brasile ospiterà anche quelle, nel 2016) avrebbe segnato il trionfo della potenza sudamericana. Dilma ha risposto alle proteste mostrando comprensione, ma ha anche militarizzato le favelas. Le elezioni sono a ottobre, e Rousseff si gioca la presidenza sul successo dei Mondiali. Molti dicono che appena la Seleção inizierà a vincere, le proteste inizieranno a placarsi…

 

 

Croazia

 

Rispetto a quattro anni fa per la Croazia è cambiato quasi tutto. A cominciare dall’ingresso nell’Unione europea, formalizzato il 1° luglio 2013. Risultato? Disoccupazione oltre il 20 per cento, debito al 60 e dal 2008 il pil non ne vuol sapere di tornare sopra lo zero. Ora i croati guardano con angoscia al 2015, quando la kuna dovrebbe far posto all’euro. Nota con il poco accattivante nome di “Kukuriku”, onomatopea croata per il verso del gallo “Chicchirichì”, la coalizione di sinistra al governo guidata da Zoran Milanovic ha proposto un referendum sui matrimoni gay nel dicembre scorso ma i croati, ultra cattolici, hanno risposto con un secco “no”. Non sono mancati gli scandali giudiziari, con l’ex premier Ivo Sanader che è stato condannato a nove anni per corruzione. Il tribunale dell’Aia nel 2011 ha invece capovolto la precedente condanna a 24 anni per l’”eroe nazionale” Ante Gotovina, comandante dell’operazione “Tempesta” lanciata nel ‘95 per annettere la Repubblica serba di Krajina. Gotovina è così tornato in libertà.

 

 

Messico

 

Le giornate della coppa del Mondo coincideranno in Messico con la discussione al Parlamento della riforma epocale del mercato del petrolio, uno dei capisaldi del presidente Enrique Peña Nieto. Il calendario della Nazionale e quello dell’Aula sono così simili che l’opposizione sospetta un piano per blandire l’opinione pubblica con il calcio. Il Messico si è qualificato ai Mondiali a fatica ed è in un girone in cui il primo posto è assicurato al Brasile, il secondo conteso da Croazia e Camerun. Peña Nieto, eletto nel 2012, è salito all’attenzione internazionale per le sue riforme audaci. Dopo il disastro del suo predecessore Felipe Calderón, che si è impantanato in una guerra contro il narcotraffico che ha fatto più di 80 mila morti, Peña Nieto ha distolto l’attenzione dalle violenze dei narcos e ha puntato tutto sulla crescita, gli investimenti stranieri, la partnership con gli Stati Uniti. Il Messico vuole diventare una potenza regionale, ma l’economia ancora langue. Le riforme richiedono pazienza.

 

 

Camerun

 

Nel 2013 la crescita è stata del 4,7 per cento, sotto la media del continente. Sono come dire inquieti. Nello stadio Ahmadou Ahidjo dedicato al padre della patria, i Leoni indomabili hanno rifiutato la bandiera dalle mani del primo ministro e con essa l’unzione “eroica” che secondo tradizione è necessaria perché si ruggisca bene all’estero.  Per muoversi verso il Brasile, i giocatori hanno preteso premi cash e sull’unghia, il governo ha dovuto aprire una cassa statale la domenica per rimediare una miliardata di franchi C.F.A. C’è stata bagarre fra varie delegazioni ministeriali al seguito per dare un’immagine competitiva e glamour di un paese ricco, forse il più corrotto,  comunque uno dei pochi che non ha conosciuto colpi di stato militari o sanguinose guerre etniche e ora si batte contro i fondamentalisti di Boko Haram.  Artisti e musici di makossa e di bitsuki non hanno voluto imbarcare senza biglietto di ritorno in bocca. Paul Byia, presidente da trentadue anni, si porta bene: uno dei gemelli avuti dalla seconda moglie, Chantal, la vera leonessa del paese, si è sposato a Parigi, una cerimonia sobria per pochi intimi. Centinaia di fedeli hanno assalito una casa nel quartiere Minkan, sulla strada da Yaoundé a Nsimalen: hanno visto Gesù Cristo.