Matteo Renzi e Andrea Orlando alla Camera dei deputati

Decadenze dopo le elezioni

Renzi, Orlando e quella sfida (forse impossibile) con i pm sulla Giustizia

Claudio Cerasa

Il giorno dopo i ballottaggi a Largo del Nazareno, sede del Pd, le sconfitte di Livorno, Padova e Perugia vengono osservate con lo sguardo distaccato di chi dentro di sé pensa che in quelle città hanno perso gli altri. 

Il giorno dopo i ballottaggi – con il presidente del Consiglio in Vietnam, il Movimento 5 stelle in estasi per la conquista di Civitavecchia e Livorno, il centrodestra in crisi depressiva per essersi ritrovato alla fine di questa tornata elettorale con una cartina dell’Italia che ha cambiato colore, con 32 città conquistate dal centrosinistra rispetto al 2009, con 48 città perse dal centrodestra rispetto al 2009 – a Largo del Nazareno, sede del Pd, le sconfitte di Livorno, Padova e Perugia vengono osservate con lo sguardo distaccato di chi dentro di sé pensa che in quelle città hanno perso gli altri, quelli della vecchia ditta, quelli che non si sono voluti adeguare al verbo renziano e di chi è consapevole che con i numeri non si scherza: conquistati 160 comuni sopra i 15 mila abitanti e quattro nuovi capoluoghi di provincia. La tesi dei renziani può avere senso ma il presidente del Consiglio sa che è una tesi che potrà avere cittadinanza nel Pd solo a condizione che il bottino conquistato alle elezioni venga utilizzato per mantenere le promesse lanciate da Renzi oltre l’ostacolo delle europee. Giugno, si sa, è il mese della Pubblica amministrazione (il premier ha promesso la riforma in Cdm entro il 13 giugno, tic tac tic tac). Giugno, si sa, è il mese della riforma del Senato (il premier ha promesso il primo voto al testo entro il 10 giugno, cioè oggi). Ma giugno è prima di tutto il mese della giustizia, riforma calendarizzata da Renzi dopo le elezioni per ragionare sul tema senza essere ossessionati dai sondaggi. Già, ma a che punto è la riforma? Esiste un testo? Un programma? Un percorso? I fatti ci dicono che la scorsa settimana, prima dei ballottaggi, il ministro [**Video_box_2**]Andrea Orlando ha riunito la commissione Giustizia e la presidenza del Gruppo a Palazzo Madama per illustrare alcuni punti della riforma. Il governo, anche dal punto di vista comunicativo, proverà a puntare molto sui provvedimenti per la corruzione, inasprendo le pene relative ai reati di concussione, alzando a 5 anni la pena per il falso in bilancio, introducendo il reato di autoriciclaggio. Un testo esiste già, il governo dovrebbe presentarlo venerdì 27 giugno, ma il vero punto, per molti aspetti, non è il quando ma è il come. In questo senso.

Il punto è questo. Il bisturi di Renzi, e del ministro Orlando, non sembra indirizzato a curare in modo radicale il sistema giudiziario e sfruttare l’onda favorevole del consenso popolare, ma sembra indirizzato verso un percorso fatto di piccoli ritocchi. Di passaggi importanti, come il processo telematico, tentativi di incidere sui tempi della giustizia civile (per ogni creditore, in Italia, ci vogliono in media sette anni per ottenere quello che gli spetta) ma non, come racconta al Foglio un importante esponente del Pd al Senato, “di svolte radicali. Non ci saranno, c’è poco da fare”. Per stare alle vecchie promesse di Renzi e alle vecchie promesse di Orlando, al centro di tutto, al centro della riforma della giustizia, dovrebbero esserci soprattutto il processo penale e alcuni storici tabù della sinistra come la revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la riforma delle correnti nel Csm, la riforma delle intercettazioni, la responsabilità civile dei pm. Problema: Renzi avrà il coraggio, come fatto su altri terreni, di sfidare il sindacato dei magistrati, l’Anm, e di muoversi per costruire una riforma storica? Nelle ultime settimane, in realtà, il governo qualche duello con il sindacato dei magistrati lo ha ingaggiato (sia quando ha deciso di rinunciare a molti consiglieri di stato nei luoghi chiave dei ministeri sia quando ha imposto nel mondo della magistratura il nuovo regime del tetto ai salari). Ma come lasciato intravedere dal ministro Orlando durante l’incontro con i senatori del Pd la riforma non sembra voler aggredire molti dei punti chiave del settore penale. Poco o nulla sulla separazione delle carriere. Poco o nulla sulla riforma delle correnti nel Csm. Poco o nulla sulle intercettazioni. Qualcosa invece si potrebbe muoveresull’obbligatorietà dell’azione penale e sul fronte della responsabilità civile dei pm. Orlando, su entrambi i dossier, ha elaborato un testo studiato seguendo anche i consigli del Csm ma nella riforma immaginata da Renzi i due temi al momento non sono compresi. Il presidente del Consiglio teme che queste battaglie possano essere eccessivamente impopolari e il premier sa che a Palazzo Madama, sulla giustizia, il Pd ha un profilo distante anni luce dalla dottrina della Leopolda (capogruppo in commissione è il democratico tendenza Grillo Giuseppe Lumia, vicepresidente della commissione è il democratico tendenza Grillo Felice Casson, e non è un caso che ad aprile democratici e grillini abbiano votato insieme in commissione per bocciare un ddl di Forza Italia proprio sulla responsabilità civile). La riforma dunque verrà presentata nei tempi stabiliti ma il governo Leopolda, su questo fronte, a meno di sorprese, potrebbe accontentarsi di una grande manutenzione più che di una grande rivoluzione. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.