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Pagati per andare al lavoro in bici, sarà la soluzione giusta?

Giovanni Battistuzzi

Andare al lavoro in bicicletta? Se lo fai in Francia ti pagano 25 centesimi al chilometro. Il ministro dei Trasporti, Frederic Cuvillier, ha infatti dato l'avvio al primo progetto pilota, della durata di sei mesi, del cosiddetto "piano bici", con il quale punta ad incentivare gli spostamenti in bicicletta. L'accordo è questo: il ministero ha siglato un accordo con 20 grandi aziende con il quale si impegnerà a versare 25 centesimi a chilometro a chi tra i circa 10mila dipendenti deciderà di recarsi al lavoro in bicicletta, concedendo alle aziende uno sgravo fiscale pari all'aumento "ciclistico" in busta paga. Questo il primo passo, l'inizio di "un percorso teso ad incentivare il trasporto dolce", ha commentato il politico transalpino.

    Andare al lavoro in bicicletta? Se lo fai in Francia ti pagano 25 centesimi al chilometro. Il ministro dei Trasporti, Frederic Cuvillier, ha infatti dato l'avvio al primo progetto pilota, della durata di sei mesi, del cosiddetto "piano bici", con il quale punta ad incentivare gli spostamenti in bicicletta. L'accordo è questo: il ministero ha siglato un accordo con 20 grandi aziende con il quale si impegnerà a versare 25 centesimi a chilometro a chi tra i circa 10mila dipendenti deciderà di recarsi al lavoro in bicicletta, concedendo alle aziende uno sgravo fiscale pari all'aumento "ciclistico" in busta paga. Questo il primo passo, l'inizio di "un percorso teso ad incentivare il trasporto dolce", ha commentato il politico transalpino. Il secondo invece dovrebbe prevedere un investimento infrastrutturale che metta la mobilità in bicicletta al centro della mobilità urbana, ma se ne riparlerà tra sei mesi. L'idea è di creare una rete di ciclovie che dalle periferie raggiungano il centro cittadino, l'incentivo alla realizzazione di zone 30 (aree nelle quali le auto possono circolare ad una velocità massima di 30 all'ora, che presentano una serie di sensi unici, dissuasori di velocità e nelle quali il tessuto urbano diventa un tutt'uno con la sede stradale) e aree pedonali e la realizzazione di un reticolato efficiente di corsie ciclabili integrate nella carreggiata, in pratica una riproposizione del modello Boris Johnson a Londra. La differenza, sostanziale, è che mentre il platinato sindaco della City ha puntato sulle infrastrutture e, in un secondo tempo, valuterà se saranno necessari incentivi economici, in terra francese hanno deciso di ribaltare il discorso. Si arriverà agli stessi risultati?

    Investire per risparmiare: questo è il piano di Cuviellier. Dallo studio eseguito dal Ministero dell'Ecologia, dello Sviluppo sostenibile e dell'Energia "Les avantages sanitaires de la pratique du vélo dans le cadre des déplacements domicile-travail", è emerso come grazie ad un aumento dell'utilizzo della bicicletta nel tragitto casa-lavoro dal 2,4 per cento (cifra attuale in Francia) al 3,6 per cento, ci sarà una riduzione della spesa sanitaria tra i 151 e i 188 milioni di euro all’anno, oltre ad una riduzione di 145 decessi all’anno. Da questi dati ha preso il via il ragionamento del ministro d'oltralpe. Incentivare economicamente l'utilizzo della bicicletta per cercare di raggiungere il più velocemente possibile il traguardo prefissato del 3,6 per cento. In un secondo momento, successi alla mano, si cercherà di migliorare le infrastrutture con il risparmio ottenuto.

    Questo studio non ha fatto che confermare risultati conosciuti e sotto gli occhi di tutti. Le origini sono da ricercare in Olanda dove, un ragionamento approfondito sulla mobilità urbana era già iniziato verso la fine degli anni 70, quando ad Amsterdam la cittadinanza pretese un intervento dell'amministrazione cittadina per diminuire le morti sulle strade, soprattutto di bambini, in esponenziale aumento allora a causa della motorizzazione di massa che stava subendo il paese. In dieci anni la spesa sanitaria si era ridotta di un quinto. Lo stesso percorso aveva intrapreso Copenhaghen quasi dieci anni dopo: spesa sanitaria diminuita anche lì. Ma sia in Olanda che in Danimarca i governi e le amministrazioni cittadine avevano seguito il metodo Johnson. Migliorie infrastrutturali, rivoluzione del sistema della mobilità, infine piccoli incentivi economici. Nella capitale danese questo tipo di politica ha creato prima una forte riduzione dell'utilizzo dell'auto privata, poi il sorpasso dei ciclisti rispetto agli automobilisti. I dati del ministero dei Trasporti danese parlano chiaro: il 37 per cento degli abitanti della capitale raggiunge il lavoro pedalando, mentre chi utilizza l'auto è sceso al 27 per cento. Nel 1985 invece i lavoratori che utilizzavano l'auto erano il 66 per cento del totale.

    La Francia imbocca quindi la via europea della mobilità urbana già intrapresa anni fa da Danimarca, Olanda, Germania, Inghilterra e Belgio, ma lo fa a modo suo. Oltralpe tanti sono stati i plausi, ma diverse sono state anche le critiche al progetto del ministro Cuvillier. Le più incisive sono venute dalle pagine di Le Monde: il giornalista e blogger Olivier Razemon ha sottolineato l'inutilità del provvedimento, sottolineando come già in Belgio una politica del genere sia stata fallimentare e si sia trasformata in una spesa inutile per la collettività. Il progetto belga prevedeva infatti un indennizzo di 0,22 centesimi di euro a km, ma non ha inciso sulle percentuale di spostamenti casa-lavoro in bicicletta che partivano da un 8% sul totale. Se il suo ragionamento è fallace in alcuni passaggi, in quanto non tiene conto della diversità geomorfologica tra i due paesi e le differenze esistenti tra distribuzione della concentrazione di ciclisti urbani (triplo in Belgio rispetto al territorio transalpino), non è sbagliato il giudizio che dà del "piano bici" francese: credere di poter trasformare le abitudini delle persone tramite piccoli benefici economici non può essere durevole.

    I casi di Örebro e Lubiana sono esemplari. Sia nella città svedese che nella capitale slovena, dopo i tentativi (in parte falliti) di incentivo fiscale all'acquisto di biciclette e a quello economico per l'utilizzo del mezzo a pedali, si è avuto il boom di ciclisti urbani solo grazie ad opere di "restauro urbano" da parte delle amministrazioni. In Slovenia si è puntato sulla pedonalizzazione di parte del centro e sulla creazione di un servizio efficiente di biche sharing e di percorsi a raggiera che dai nodi di interscambio ferroviario conducono al centro (ciclovie), in Svezia invece l'amministrazione ha imposto una riduzione della carreggiata riservata alle autovetture creando così lo spazio per la realizzazione di corsie ciclabili, un reticolato di sensi unici e un'aumento del costo dei parcheggi. Ad Örebro ora il numero di spostamenti in bici per il tragitto casa-lavoro è arrivato al 28 per cento (partiva dall'11), a Lubiana al 19 (partiva dal 3). Successi costruiti dal disincentivo dell'utilizzo "insensato" dell'automobile, quello che Boris Johnson ha etichettato come "l'idea insulsa di credere che una distanza di qualche chilometro non possa essere coperta pedalando", o come ha sottolineato il sindaco di Groningen, dove il 47 per cento della popolazione si muove in bicicletta, "l'antimodernità idiota di chi è convinto che il muoversi sia sinonimo di guidare". Jos Staatsen, sindaco di Groningen dal 1985 al 1991, e uno tra i primi artefici della trasformazione a pedali della città olandese, rivoluzionando parte del tessuto urbano, alle critiche di parte della società civile di allora che lo accusava di integralismo rispose, "la città deve essere vissuta dai cittadini, i cittadini devono potersi muovere liberamente in uno spazio e lo spazio deve quindi essere liberato. Le auto ne occupano fin troppo. Io non sono contro alle macchine, io sono contro al loro utilizzo non necessario. La mia politica tende a questo, far sì che l'auto si un mezzo utile, non necessario, da utilizzare solo quando non ne si può fare a meno".