Ora anche i militari dicono che è golpe in Thailandia (n° 12)

Massimo Morello

Dalle 16 e 30 di giovedì la Thailandia è governata da un comitato per il mantenimento della pace, il National Peace Keeping Committee. Ossia dai militari, nella persona del generale Prayuth Chan-Ocha, capo di stato maggiore dell’esercito. Finalmente si può dare un numero al colpo di stato: è il dodicesimo dal 1932, anno in cui il paese divenne una monarchia costituzionale. Da martedì a giovedì pomeriggio era “solo” un golpe “Nit Noi”, per usare un’espressione thai. Significa, a seconda dei casi: poco poco, un po’, abbastanza.

    Bangkok. Dalle 16 e 30 di giovedì la Thailandia è governata da un comitato per il mantenimento della pace, il National Peace Keeping Committee. Ossia dai militari, nella persona del generale Prayuth Chan-Ocha, capo di stato maggiore dell’esercito. Finalmente si può dare un numero al colpo di stato: è il dodicesimo dal 1932, anno in cui il paese divenne una monarchia costituzionale. Da martedì a giovedì pomeriggio era “solo” un golpe “Nit Noi”, per usare un’espressione thai. Significa, a seconda dei casi: poco poco, un po’, abbastanza. Adesso è un colpo di stato che potrebbe innescare una guerra civile. Forse è già iniziata, stando alle voci che segnalano colpi d’arma da fuoco alla periferia ovest di Bangkok, là dove sono accampati i “rossi”, sostenitori dell’attuale governo.

    Martedì scorso, il generale Prayuth aveva dichiarato la legge marziale “per evitare spargimenti di sangue nel paese”. Operazione che molti avevano giudicato “benedetta dal cielo”: l’esercito (almeno nei suoi alti ranghi) è fedele al re. Ecco perché gli esponenti della buona borghesia thai collezionavano selfie scattati accanto agli Humvee che stazionavano nei punti centrali della capitale. In realtà, dichiarando la legge marziale ma non il colpo di stato, il generale Prayuth dimostrava la caratteristica più apprezzata dall’establishment: il Jai Yen, un cuore freddo, la capacità di non cedere alle passioni. Con questo cuore aveva invitato allo stesso tavolo i leader delle fazioni che da anni si scontrano: da un lato i rappresentanti dell’alta borghesia, dell’aristocrazia, delle classi più ricche e colte, spesso definiti “gialli”, per il colore delle magliette che riprende quello della Casa reale. Dall’altro i rappresentanti di quelli che da secoli sono al servizio dei primi, ormai noti come i “rossi” (per il colore delle magliette più che per ideologia), seguaci dell’ex premier Thaksin Shinawatra, deposto da un colpo di stato nel 2006 e da allora in esilio per sfuggire a un altro golpe, giudiziario, che lo vede condannato per corruzione e abuso di potere.

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    Dal novembre dello scorso anno, i gialli hanno indetto una manifestazione continua. Guidati da Suthep Thaugsuban, ex esponente del Partito democratico (che rappresenta l’elettorato conservatore), sono scesi in piazza per una “battaglia finale”, proclamata quasi a cadenza settimanale. Il loro scopo era abbattere la “dittatura parlamentare” del governo del Pheu Thai guidato da Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin. A seguito delle manifestazioni la premier ha indetto nuove elezioni. Che si sono svolte il 2 febbraio e, a quanto pare, sono state nuovamente vinte dal Pheu Thai. Ma sono state invalidate perché i gialli ne hanno impedito il regolare svolgimento. Yingluck, però, non ha voluto cedere. Visto che non andava in esilio spontaneamente, il 7 maggio la Corte costituzionale (anch’essa “gialla”) l’ha rimossa dall’incarico dichiarandola colpevole di nepotismo e abuso di potere. Nel frattempo, gli scontri tra le diverse fazioni avevano provocato 23 morti (tra cui bambini) e 800 feriti. Senza contare che i rossi si erano mobilitati, accampandosi alla periferia ovest di Bangkok mentre il nord del paese, feudo di Thaksin, minacciava la secessione e la proclamazione di una Repubblica.

    Il prossimo fine settimana, a detta di molti, si sarebbe svolta l’ultima battaglia finale. Per evitarla, il generale Prayuth ha proclamato la legge marziale e ha convocato le fazioni rivali. Sapendo che non si sarebbero accordati. Anche perché i gialli avevano ottenuto ciò che volevano: il potere resta nelle loro mani (tanto che le manifestazioni sono cessate immediatamente). Ma il mancato accordo era la giustificazione – soprattutto internazionale – per portare a compimento il colpo di stato. Se c’era qualche dubbio in merito alle 19,30 ora locale è stato dichiarato il coprifuoco.