Stefano Rodotà (foto LaPresse)

Parrucconi e soldatini in guerra per difendere la loro fiaba costituzionale

Salvatore Merlo

Sembra bastargli la soddisfazione – tutta privata, tutta lirica – di gridare senza posa dai tetti che il mondo non va come dovrebbe andare. “La riforma del Senato voluta da Renzi è contraria alle regole più elementari della democrazia”, dice dunque Salvatore Settis

Sembra bastargli la soddisfazione – tutta privata, tutta lirica – di gridare senza posa dai tetti che il mondo non va come dovrebbe andare. “La riforma del Senato voluta da Renzi è contraria alle regole più elementari della democrazia”, dice dunque Salvatore Settis, che pure è uomo intelligente e colto, ha diretto la Normale di Pisa, ha scritto saggi tradotti in cinque lingue, ma si fa intervistare dal Fatto, cioè dal vernacoliere quotidiano, il giornale in cui la sparata un po’ cruda, tendenza rosso pomodoro, sempre fluisce come un dono, pagina per pagina, colonna per colonna, titolo per titolo, riga per riga. E così “Renzi ha perso il senso di cosa voglia dire democrazia”, dice Settis, che con gusto ritorto si aggiunge agli altri professori, intellettuali ed emeriti di Libertà e Giustizia, a Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, a Barbara Spinelli e Nadia Urbinati, tutti intervistati dal Fatto, tutti editorialisti di Repubblica – ma queste cose su Repubblica, così, non le scrivono – e tutti firmatari del pensoso appello contro la “svolta autoritaria” del governo.

 

E sempre più spesso ci capita di pensare che la formula “svolta autoritaria” faccia parte di un ricco armamentario di cui questo club di raffinati e un po’ ripetitivi castigamatti dispone per fronteggiare qualsiasi evenienza, esattamente come il superstizioso ha pronta una varietà di scongiuri per ogni fenomeno iettatorio – gatto nero, cappello sul letto, corteo funebre, numero 17. E insomma Totò faceva le corna, come Settis dice “democrazia in pericolo”. E Rodotà conserva la Costituzione sotto il letto come Troisi si teneva stretta la Smorfia.

 

Cinquant’anni fa, nell’Italia che ancora non aveva chiuso i suoi conti con la guerra civile dei genitori, i giovani portavano in piazza i furori dei ragazzi di altre generazioni: l’antifascismo, non passeranno, il proletariato non permetterà, fascisti carogne / tornate nelle fogne. Ebbene, cinquant’anni dopo va in scena la riscimmiottatura. E non sono più i giovani a scimmiottare gli adulti, ma sono gli adulti che scimmiottano i giovani. Adesso sono i professori di molto sapere che imitano gli studenti di poco sapere (non a caso Settis e Rodotà, Zagrebelsky e Spinelli, trovano spazio sul Fatto di Marco Travaglio e Beppe Grillo). E se, per paradosso o per scherzo, Renzi ci credesse e si affacciasse da Palazzo Venezia, si troverebbe rincuorato e frastornato. Come si fa ad avere per oppositori i vecchi travestiti da bambini? Renzi, che pure non è un gigante, si vedrebbe assediato dal mondo di Lilliput.

 

[**Video_box_2**]Ma stanno così gli emeriti, come abbarbicati a un albero della vita che intanto ha perso radici e fronde. Lo annaffiano di lacrime e dispiacere. Dice Rodotà: “Non ho mai letto un testo più sgrammaticato ed espressione di incultura della cosiddetta riforma del Senato”. E Settis si abbandona: “Fermate le bestemmie contro la Costituzione”. E insomma da qualche giorno la pensosa banalità di questi canonici, nel senso di unici dententori del canone, s’è caricata di pretese da far tremare i polsi: sono scesi in campo, con un arsenale di proverbi, nientemeno che per portare a Norimberga Matteo Renzi. Vogliono infatti mettere in guardia l’Italia contro “il gravissimo pericolo”, “la fine delle libertà”, “gli attentati alla democrazia”, “l’apocalisse nazionale”, “la deriva autoritaria del governo”. Dice Zagrebelsky: “Il miracolo costituente d’un tempo è difficile che si rinnovi oggi”. E noi pensiamo alla canzone di Guccini: “Il vecchio parlava e piano piangeva / con l’anima assente, con gli occhi bagnati / seguiva il ricordo di miti passati”. E insomma il mondo va avanti, il fascismo è finito da un po’, il pericolo autoritario pure, mentre loro si rifugiano nel fiabesco.

 

Così, con il conforto di una massima di Kant sul paternalismo, e con l’illuminazione di una sentenza di Orwell su passato e presente, la ludica rottamazione partita dalla provincia fiorentina nel loro appello, e nelle loro allarmate interviste, è diventata lo Stato etico. Persino il Pd risulta trasfigurato in un perfetto mix di purgante ripugnante, del genere olio di ricino, e di manganello. Dunque li ascoltiamo, con lo stesso magico e divertito distacco con cui il bimbo di Guccini ascoltava il vecchio: “Il bimbo ristette / lo sguardo era triste / e gli occhi guardavano cose mai viste / e poi disse al vecchio con voce sognante: ‘Mi piaccion le fiabe, raccontane altre’”.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.