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Settis, Rodotà, Zagrebelsky e il manifesto dei Parrucconi

Claudio Cerasa

In una straordinaria intervista rilasciata oggi al Fatto Quotidiano, a Beatrice Borromeo, il professor Salvatore Settis, tessera numero tre del partito della Costituzione, dopo Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, e intellettuale da sempre molto e sinceramente impegnato per difendere il paese, e l’umanità, da tutti i vili tentativi di riformare la Carta Costituzionale, consegna alla cronista una frase magnifica che inquadra meglio di qualunque saggio politico l’essenza culturale del partito dei parrucconi.

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    In una straordinaria intervista rilasciata oggi al Fatto Quotidiano, a Beatrice Borromeo, il professor Salvatore Settis, tessera numero tre del partito della Costituzione, dopo Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, e intellettuale da sempre molto e sinceramente impegnato per difendere il paese, e l’umanità, da tutti i vili tentativi di riformare la Carta Costituzionale, consegna alla cronista una frase magnifica che inquadra meglio di qualunque saggio politico l’essenza culturale del partito dei parrucconi. Di coloro cioè che considerandosi i sacerdoti della [**Video_box_2**]Costituzione provano a utilizzare la Carta per dare al mondo grandi lezioni di moralità. Anche a costo di andare contro la stessa Costituzione. Stupendo. Sentite Settis: “Non si può accettare che a incidere così profondamente sulla Carta sia un Parlamento di nominati e non di eletti con un presidente del Consiglio nominato e non eletto”. E ancora. “Dal punto di vista morale questo Parlamento non può fare una riforma di questa portata”. Il passaggio è spettacolare. In tre righe, Settis, in nome della Costituzione, riesce a dire che questo Parlamento non è legittimato a fare riforme perché la Consulta ha dichiarato incostituzionale la vecchia riforma elettorale ma si dimentica di dire – e lo fanno sempre, gli amici parrucconi – che è la stessa Consulta ad aver affermato – loro sì in nome della Costituzione – che questo Parlamento non è illegittimo. Chiaro, no? Punto secondo e altro passaggio formidabile. Settis, in nome della Costituzione, si lamenta, si lagna, ne soffre fisicamente, che questo presidente del Consiglio non abbia la legittimità di riformare la carta perché è – tenetevi forte forte! – “nominato e non eletto”. Il sacerdote Settis dimentica che è la Costituzione a dire che il presidente del Consiglio è “nominato” dal presidente della Repubblica. Ma l’aspetto più spassoso del ragionamento è che il parruccone Settis, insieme con i suoi colleghi di partito, è lo stesso che ogni volta che qualcuno prova a proporre di ritoccare la Costituzione per eleggere direttamente il capo del governo o il capo dello stato – e a non farli nominare dal presidente della Repubblica – è lì pronto a firmare appelli con gli amici Rodotà e Zagrebelsky e a sdraiarsi per strada per urlare non si tocca la Costituzione, non si tocca la Carta, non si tocca il paese. Straordinario. Evviva i parrucconi!

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.