Diego Della Valle (foto LaPresse)

I petardi

Giuliano Ferrara

Della Valle e Gherardo Colombo avanguardie della solita legione: riforme no, cambiamento no. Siamo al liberi tutti, specie gli ignoranti, ma dietro c’è una pressione molto confusa, eppure forte, che insiste sullo schema politico entro cui è nato il governo Renzi, per schiacciarlo.

E’ il momento dei petardi. Diego Della Valle dice che bisogna salvare la Costituzione di Luigi Einaudi da cambiamenti fatti da ragazzini che mangiano il gelato. Pare sia offeso perché il premier parla con Marchionne ed Elkann. Comunque DDV non sa che “la Costituzione fu un compromesso fra tre ideologie: quella cristiano-sociale della Democrazia cristiana, quella marxista dei comunisti e quella del Psi, allora ondeggiante fra massimalismo e riformismo”. Non ha idea del fatto che “Luigi Einaudi non aveva dietro di sé un grande partito e sapeva che la sua influenza sarebbe stata necessariamente limitata” (citazioni da Sergio Romano, Corriere del 7 luglio 2012). Non gli viene in mente che l’unico contributo di Einaudi, la compensazione delle leggi di spesa con equivalenti entrate da indicare (articolo 81), ha retto così bene nel tempo che siamo al 133 per cento di debito sul prodotto interno lordo, a Costituzione invariata. Vabbè.

 

Altro petardo lo innesca Gherardo Colombo, il pm celebre per aver bloccato la Bicamerale per le riforme di D’Alema e Berlusconi accusandola di pidduismo nel Corriere della Sera: “Napolitano si è piegato a Stalin, figuriamoci a Renzi”. Siamo al liberi tutti, specie gli ignoranti, ma dietro c’è una pressione molto confusa, eppure forte, che insiste sullo schema politico entro cui è nato il governo Renzi, per schiacciarlo: la vocazione maggioritaria del Pd (40, 8 per cento alle europee), l’accordo di sistema su istituzioni e legge elettorale con la principale forza di opposizione, il nucleo del centrodestra rappresentato dal partito di Berlusconi, lo svuotamento riformista delle chiacchiere e delle demagogie delle varie sinistre manettare, classiste e corporativo-sindacali da sempre alleate con il pavido establishment finanziario-editoriale.

 

Quando vedete benecomunisti, costituzionalisti, profetesse di sventura femminile, sociologi, esperti, editorialisti furbetti, militanti delle procure, partiti minori, lobbies maggiori, giornaletti e movimenti inquisitoriali, avvocati Taormina e altra zoologia fantastica prodursi in piroette di contropotere, sempre all’insegna della conservazione dello status quo, ecco, potete pensare che sia già venuto il momento Craxi o Berlusconi per il giovane e rapidissimo Renzi, lesto a incontrare l’ostacolo che può fottere tutto il suo progetto e tutta la sua spinta propulsiva fondata sulle varianti delle idee per il paese e del consenso del paese. L’Italia ottusamente barricadera e mediatica non perdona. Il professor Asor Rosa sta per chiamare di nuovo i carabinieri, come fece per il Cav., allo scopo di allontanare dal proscenio il nuovo “pericolo per la democrazia”, con il conforto brontolone delle editorialesse del burbero Scalfari. Sono solo brutte vignette e chiassose bombe-carta, d’accordo, ma tutte insieme e così presto una certa impressione la fanno.

 

Renzi non ha scelta. E con lui non ha scelta Berlusconi. Minacciare un disegno riformatore che intacca poteri e consuetudini delle burocrazie più ossificate d’Europa e del mondo, che stravolge abitudini all’inchino con annesso naufragio (dei conti e della decenza), che taglia fuori l’adunata dei refrattari, i localismi, i particolarismi travestiti da ansia universalista e battaglia di principio, è pericoloso. Specie se i tempi si dilatano, malgrado il potere neutro per antonomasia, l’arbitro degli arbitri, lo Stalin-Napolitano di Colombo, lavori per la pace civile e per il funzionamento corretto degli istituti di democrazia rappresentativa. Specie se la minaccia lascia il posto al negoziato paludoso, alle divisioni del fronte riformatore. La destabilizzazione delle fonti di governo generate da consenso o da manovra e visione politica (i casi di Berlusconi e di Craxi insegnano) è una specialità in cui competono i fuoriclasse della vecchia politichetta all’italiana. Siamo, di nuovo, in piena sceneggiata. Il giornalista o lo spettatore di rango assumono prima una postura di dissenso solitario (ma sono una folla inquietante), poi fanno capire che c’è spazio per accordini opportunistici, poi cercano la strada dell’intimidazione e dello svuotamento dei fenomeni outsider. Siamo già a questo punto, probabilmente.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.