Quelle pagine bianche sul Nytimes che accusano il Pakistan

Pio Pompa

Per settimane l’Isi, il potentissimo servizio segreto pachistano, e il suo direttore, Zaheer ul-Islam, hanno atteso la pubblicazione dell’articolo di Carlotta Gall sui rapporti organici intercorsi tra l’intelligence di Islamabad e Osama bin Laden. Poi, quando è apparso domenica sull’International New York Times, lo hanno fatto letteralmente rimuovere dalle 9 mila copie stampate in Pakistan. Così è potuto accadere che quell’enorme spazio bianco, trovato in prima pagina dai lettori pachistani del Nyt, si trasformasse in un formidabile spot pubblicitario sia per l’articolo della Gall sia per il suo libro, “The Wrong Enemy. America in Afghanistan 2001-2014”, da cui il pezzo trae origine.

    Per settimane l’Isi, il potentissimo servizio segreto pachistano, e il suo direttore, Zaheer ul-Islam, hanno atteso la pubblicazione dell’articolo di Carlotta Gall sui rapporti organici intercorsi tra l’intelligence di Islamabad e Osama bin Laden. Poi, quando è apparso domenica sull’International New York Times, lo hanno fatto letteralmente rimuovere dalle 9 mila copie stampate in Pakistan. Così è potuto accadere che quell’enorme spazio bianco, trovato in prima pagina dai lettori pachistani del Nyt, si trasformasse in un formidabile spot pubblicitario sia per l’articolo della Gall sia per il suo libro, “The Wrong Enemy.
    America in Afghanistan 2001-2014”, da cui il pezzo trae origine. “In realtà – racconta al Foglio una fonte d’intelligence – la censura rappresenta nient’altro che una reazione dimostrativa, tra l’altro scientemente meditata, al mancato riconoscimento americano degli accordi segreti, intervenuti a suo tempo tra Washington e Islamabad (a seguito di un complessivo riesame nei rapporti di forza tra i due paesi), che resero possibile l’operazione dei Navy seal ad Abbottabad, conclusasi con l’uccisione di Bin Laden. Tant’e che la censura non è stata estesa all’edizione digitale. E’ vero, come la Gall cerca di ricostruire, che le autorità pachistane avevano protetto il leader di al Qaida, insieme alla sua famiglia, e che era stato l’allora presidente pachistano, Pervez Musharraf, a offrirgli un rifugio sicuro nascondendolo nel compound di Abbottabad. Ma è altrettanto vero che senza il mutato atteggiamento di Musharraf e dei vertici dell’Isi nessuna forza speciale si sarebbe potuta avvicinare impunemente al rifugio di Bin Laden. Da qui la reazione risentita di Islamabad, diretta non tanto contro l’articolo del Nyt quanto contro l’Amministrazione Obama, perfettamente al corrente di come siano andate le cose, prima e durante quel 2 maggio 2011, che posero fine al dominio del capo di al Qaida”.

    Il primo a parlare con l’inviata del Nyt, Carlotta Gall, delle commistioni tra l’Isi e Bin Laden fu un ex capo del servizio segreto, il generale in pensione, Ziauddin Butt, che riferì anche il ruolo svolto da Musharraf nell’occuparsi personalmente della sorte di Osama. Purtroppo non era in condizioni di esibire alcuna prova al riguardo. La Gall dovette attendere il 2012 per avere delle conferme, dopo aver indagato per anni sull’argomento. Tutto accade una sera d’inverno di quell’anno quando finalmente ottiene ciò che cercava: “Secondo una fonte interna, l’Isi aveva una struttura speciale eslusivamente dedicata alla gestione di Bin Laden. Tale struttura, totalmente indipendente, era guidata da un ufficiale senza obbligo di fare rapporto ai suoi superiori. Aveva il compito di occuparsi di una sola persona: Bin Laden”.

    Con questa testimonianza, resa direttamente da un funzionario dell’Isi, assumevano sostanza tutte le indiscrezioni che, fino ad allora, la giornalista aveva ricevuto su questa delicata vicenda da fonti afghane, talebane e persino da due alti funzionari americani. Ovviamente gran parte dei servizi occidentali era al corrente da anni delle collusioni dell’Isi con i talebani afghani, pachistani e con i vertici di al Qaida. Collusioni che, nonostante la parentesi collaborativa con gli Stati Uniti maturata nel voltafaccia consumato da Islamabad ai danni di Bin Laden, continuano tuttora. “In questo momento – continua la nostra fonte – l’attenzione massima dei vertici dell’Isi riguarda l’attuale numero due di al Qaida, il giovane Nasir al Wuhayshi (alias Abu Basir), al quale è stata dedicata una struttura operativa del tutto simile a quella che gestiva Osama bin Laden. Egli viene considerato dall’intelligence pachistana l’astro nascente della nuova organizzazione di al Qaida e in possesso di capacità strategiche e di leadership tali da essere quasi idolatrato dall’intero movimento jihadista incluso quello talebano. D’altro canto è la sua stessa storia personale ad accrescerne il prestigio. Quando Nasir al Wuhayshi si laurea presso un prestigioso istituto religioso retto da salafiti yemeniti, il suo nome è già noto a Osama bin Laden. A segnalarlo al capo di al Qaida è il suo vice, Ayman al Zawahiri, su indicazione dei mentori del giovane studente: un salafita egiziano e un sunnita saudita entrambi docenti in quell’istituto. Nella primavera del 1997, appena un anno dopo la sua espulsione dal Sudan e il ritorno forzato in Afghanistan, Bin Laden riceve direttamente da Sana’a, in Yemen, una segnalazione contenente il desiderio espresso da al Wuhayshi di poterlo raggiungere a Jalalabad e porsi al suo servizio. Il consenso arriva dopo qualche settimana, con la raccomandazione di attenersi alle istruzioni che verranno impartite prima della partenza. Passano alcuni mesi. Nel frattempo Bin Laden aveva ristabilito solidi rapporti, in verità mai cessati e risalenti all’inizio del conflitto afghano contro l’allora Unione sovietica, con l’Isi, il servizio segreto militare pachistano. E’ a esso che si rivolge per pianificare, in tutta sicurezza, il viaggio del suo devoto discepolo. Cosa che avviene agli inizi del 1998. A occuparsi di tutto sono gli uomini dell’Isi guidati da un cosiddetto “handler” cioè da un agente specializzato nello stabilire rapporti particolari con informatori e persone d’interesse. Da quel momento in poi l’allora ventiduenne Wuhayshi non verrà mai perso di vista dall’Isi perché i servizi sapevano che era destinato a divenire il segretario personale del leader di al Qaida. Ma il vero capolavoro lo compie il suo “handler” che lo accompagna personalmente da Bin Laden vantandone l’intelligenza e la dirittura morale.

    Durante i quattro lunghi anni in cui il giovane yemenita diviene inseparabile da Bin Laden, questi sarà l’interfaccia a tempo pieno dell’Isi con colui che è divenuto il più fidato collaboratore del capo di al Qaida. L’amicizia tra i due diventa presto fraterna e Wuhayshi viene invitato, con il consenso di bin Laden, a Islamabad per frequentare un corso di spionaggio e controspionaggio, della durata di quattro settimane. Il tutto si svolge nell’ottobre del 1999. A metà novembre il segretario personale di Bin Laden diviene organico all’Isi e inserito tra i collaboratori di massimo interesse”.

    Dal quell’anno il percorso di Wuhayshi nella galassia qaidista diviene inarrestabile. Diventa capo di al Qaida nella penisola araba (Aqap) e poi, per volontà di Ayman al Zawahiri, il nuovo numero due dell’organizzazione terrorista. La storia di Nasir al Wuhayshi è ancora tutta da scrivere.