Il pianista del Cav.

Salvatore Merlo

Fedele Confalonieri indica l’aria, con gesto vago ma inesorabile. “Povero Silvio. Non è un bel finale di partita”. La condanna, l’interdizione, e adesso ad aprile i servizi sociali, o peggio la detenzione domiciliare, “e senza uno straccio di grazia. Ma le sembra giusto? C’è gente che ammazza. Berlusconi non è un santo, è ovvio. Ma se faccio il bilancio della sua vita, penso che abbia dato moltissimo a questo paese”. E lo sguardo del presidente di Mediaset, del vecchio amico d’infanzia, del compagno d’arrampicata lungo le pareti del successo, si fa remoto, cosmico.

La collana “A tu per tu” di Salvatore Merlo ha ospitato finora Ferruccio de Bortoli (19 febbraio), Ezio Mauro (22 febbraio), Giancarlo Leone (1° marzo), Flavio Briatore (7 marzo).

Fedele Confalonieri indica l’aria, con gesto vago ma inesorabile. “Povero Silvio. Non è un bel finale di partita”. La condanna, l’interdizione, e adesso ad aprile i servizi sociali, o peggio la detenzione domiciliare, “e senza uno straccio di grazia. Ma le sembra giusto? C’è gente che ammazza. Berlusconi non è un santo, è ovvio. Ma se faccio il bilancio della sua vita, penso che abbia dato moltissimo a questo paese”. E lo sguardo del presidente di Mediaset, del vecchio amico d’infanzia, del compagno d’arrampicata lungo le pareti del successo, si fa remoto, cosmico. “Se penso a tutto quello che abbiamo costruito dal nulla…”. Poi sorride, come a un’immagine lontana. “Abbiamo vissuto, e ci siamo divertiti un mondo. Ne è valsa la pena”. Allora chiedo a Confalonieri perché il Cavaliere ha rifiutato la grazia che pure, come sanno tutti nel Palazzo, Giorgio Napolitano, ad agosto, era disposto a concedere. “Si sa che andai a parlarci, al Quirinale?”. Certo, gli rispondo, a settembre. E a questo punto Confalonieri racconta di quell’incontro, di quel “giro di parole” tra i velluti e gli arazzi del Quirinale, di un’offerta che aveva un senso politico, sì, ma che rappresentava anche un’incognita e un macigno sulla psicologia superomista, ludica e fantasiosa di Berlusconi. “Avrebbe dovuto ritirarsi”. E una sola grazia, forse, non sarebbe nemmeno bastata a salvarlo. Adesso c’è Matteo Renzi. “E speriamo che faccia davvero quello che dice. E’ quello che avrebbe fatto il mio amico Cavaliere se non fossero arrivati i magistrati. Renzi è un Berlusconi con quarant’anni di meno. Silvio ha il marketing incorporato, e Renzi pure”.

Via Sant’Andrea delle Fratte, il Nazareno, è una di quelle strade del centro di Roma che scende come un’ansa di fiume verso il quadrilatero dei palazzi della politica, c’è la sede del Partito democratico e poco più avanti, protetti da un bel portone e da una facciata gentilizia, ci sono anche gli uffici che Fedele Confalonieri, a Roma, divide con Gianni Letta. Stucchi, soffitti a cassettoni, affreschi sontuosi, cotto del Settecento, “qui comprò tutto Silvio. E’ anche un grande immobiliarista, sa?”, mi dice Confalonieri, mentre osservo la scrivania del suo studio, arredato per sottrazioni. La stanza rispecchia l’immagine di quest’uomo, che persino nell’aspetto non fa sfoggio delle proprie ricchezze, affettando un’agiatezza disadorna o una modestia raffinata. Lavora qui dentro, “due o tre volte alla settimana”, quando lascia la casa di Milano, e la sera va a dormire a Palazzo Grazioli, dal Cavaliere. “Lì ho una cameretta mia”, dice. E poi, con quell’inflessione brianzolo-ironica: “E’ vicina a quella di Berlusconi”. Siete inseparabili, gli dico. Due cuori e una capanna. Anzi, due cuori e un biscione. Lui ride. “Andiamo a mangiare, che dice? Ma non andiamo al San Lorenzo. Ho cambiato idea. Sa dove la porto? La porto da Alfredo, dall’ex maggiordomo del Cavaliere. Lì si mangia bene”. Dunque attraversiamo a piedi il centro di Roma. Per la strada, su via della Missione, alle spalle di Montecitorio, un paio di volte rischiamo anche d’essere investiti. Confalonieri ha un passo rapido, burbanzoso, difficile stargli dietro nel chiasso indifferente delle stradine. Reagisce mandando l’automobilista a quel paese, con una certa fermezza. Ma lei cammina spesso così, per strada, da solo? “Sì. Sempre”. E la gente non la ferma? “Chi vuole che mi riconosca”. Tutti. “Ma no. Una volta mi è capitato che qualcuno mi abbia detto qualcosa su Berlusconi. Ma poca roba”. E Roma le piace? “Io la adoro Roma. Roma è… E’ un po’ meretrice”. Poi, amichevolmente ironico, “ma questo è cancellato. Non lo scriva”. Giriamo l’angolo di via dei Prefetti, sulla sinistra. Ed eccoci a via Metastasio. Alfredo, l’ex maggiordomo di Berlusconi, è qui, in piedi sulla soglia del suo ristorante, riconosce Confalonieri dai cento metri. E si scioglie in un sorriso rispettosamente confidenziale.

Ci sediamo, in una saletta riservata. E a Confalonieri chiedo di Alfano. “A volte in Berlusconi prevale la pancia”, dice lui. A Francesco Verderami lei ha detto che in quel periodo, quando ha rotto con Alfano ed è uscito dal governo, Berlusconi ha avuto un black out. “La condanna a quattro anni è stata una cosa bestiale. Chi non lo avrebbe avuto un black out? Il black out non è mica finito. Si chiuderà solo il 16 aprile, quando comincerà la condanna e si saprà se saranno arresti domiciliari o lavori socialmente utili. Il guaio è che Berlusconi non ha costruito attorno a sé un partito capace di vivere a prescindere da lui. E’ un monarca. Costituzionale. Ma monarca. In azienda era sicuro al mille per cento di tutto, aveva la velocità e l’occhio d’un falco. Ma in politica è stato diverso. E’ diventato insicuro. E ha pure sviluppato una certa diffidenza nei confronti degli altri”. Talvolta giustificata. Ci fu il ribaltone con la complicità di Bossi, poi gli anni del sottogoverno Casini-Fini (“e Follini”, aggiunge Confalonieri). “E’ diventato diffidente. E ha fatto alcuni errori. Sbagliò pure con Fini”. La baruffa non aveva senso. “Certo che no. Se stai in politica uno come Fini te lo devi ciucciare. Malgrado tutto”.

E in azienda dopo Berlusconi che succede? “Pier Silvio è bravo, capisce la televisione e bravi sono anche i nostri manager. Certo, adesso ci sono le difficoltà. Ma noi siamo su internet e siamo i primi. Abbiamo un’offerta completa. Abbiamo le tv tematiche, quella generalista, la pay tv, infinity che va alla grande”. Mediaset è un po’ vecchia, gli dico. Sky è la modernità, provoco. Non andrebbe rottamata la vostra tv? E allora Confalonieri inarca le sopracciglia in un tentativo elegante di stupore. Si fa ironico, ancora una volta. “Ma che Sky! E’ tutta roba da frigorifero quella lì. A parte lo sport, a parte il calcio. Forse hanno qualche squadra più di noi. Ma noi ci siamo. E siamo forti”. Mediaset è ancora “Drive in” e “Striscia la notizia”, dico. “Striscia” è un programma vecchio, obietto. “Ma quando mai. ‘Striscia’? Buttalo via ‘Striscia’! Fa sempre il 20 per cento”. Poi Confalonieri abbassa la voce, col suo tono di cordialità imperiosa, che carica di una leggera ironia verso se stesso, per aprire la strada a un colloquio benevolo. “Mio padre diceva sempre che quando una cosa piaceva a me, allora c’era da dubitare di quella cosa lì”, mormora. “Mi usava come una cartina di tornasole alla rovescia”, racconta ridendo. E aggiunge, fattosi serio: “Quello che abbiamo fatto è stato tutto merito di Berlusconi. Io, Adriano, Marcello e gli altri senza Silvio non saremmo stati le stesse persone che siamo oggi. Lui sì. Berlusconi sarebbe stato Berlusconi comunque. Io mi riconosco un certo talento nelle relazioni, il mio è un lavoro di lobbying, e credo di saperlo fare. Probabilmente ho anche un po’ di fiuto politico. Ma Berlusconi, è quasi ovvio dirlo, è un genio. Un genio vero”.

Alfredo intanto porta un antipasto di panzanella. Confalonieri si allontana un attimo, e io chiedo ad Alfredo perché ha lasciato il servizio a casa del Cavaliere. Che è successo lì? E lui a questo punto fa un gesto con la mano, come dire: non me lo chieda, per carità. “Io lo adoro Berlusconi”, dice. “Gli voglio bene”. Poi assume un’aria misteriosa: “Non c’erano più le condizioni per restare…”. Confalonieri ritorna e si siede. Alfredo si allontana frusciando. Allora chiedo al presidente di Mediaset che giornali legge al mattino. “Corriere, Giornale, Foglio e Financial Times”, risponde con sicurezza. E Repubblica? “Repubblica non la compro e non la leggo da parecchio tempo. Sono stati troppo schierati contro di noi. L’hanno costruita loro la cattiva fama di Berlusconi in giro per il mondo”. Allora gli racconto della mia intervista con Ezio Mauro, gli dico che il direttore di Repubblica, qui e là, manifestava persino un po’ di simpatia per il Cavaliere. “Pensa se gli stava antipatico”, risponde Confalonieri. E racconta: “Mi ricordo la mia prima intervista a Repubblica, quando ancora stavano a Piazza Indipendenza. Me la fece Curzio Maltese, che allora faceva il cronista, e lo sapeva fare bene. Da editorialista invece non funziona. E’ noioso. C’era anche Ezio Mauro, quella volta, e io ero accompagnato da Mauro Crippa. Ebbene, alla fine dell’intervista il direttore di Repubblica mi disse questa frase: ‘Se a destra fossero tutti come lei…’. Ecco. Di me parlano più o meno tutti bene, almeno credo, perché non do fastidio a nessuno. Ho questo ruolo qui. Ma quegli altri della destra perché non gli piacciono? E’ la cultura azionista di Repubblica. Loro sono vittime di quel genere di complesso di superiorità che distingue i dogmatici. Hanno maturato un disprezzo sacro per gli eretici. Quelli col Rolex, quelli che fanno le vacanze a Cortina, che guardano i film dei fratelli Vanzina… Guardi, io un po’ diffido di coloro che sguazzano nel proprio bagno di galantomismo, di rispettabilità, di virtù. Le sventure d’Italia nascono tutte dal conformismo”.
Gli chiedo se ci sono dei giornalisti che gli piacciono particolarmente. E lui mi dice: “Carlo Verdelli mi fece la prima intervista in assoluto. E’ uno che scrive alla grande. Peccato che non sia molto valorizzato. La seconda intervista me la fece Stella Pende. Bravissima”. Poi Confalonieri dice una cosa sorprendente: “Mi piace Scalfari, anche se è diventato brodoso. Una volta non era così. Mi ricordo il primo Espresso, grande, largo… Scalfari è un direttore come dev’essere un direttore. Montanelli era un giornalista. Scalfari è stato anche un formidabile imprenditore, invece. Mi ricordo di un suo editoriale in cui mi massacrava, anche in modo un po’ becero. Ma diceva che suonavo bene la ‘Rapsodia in blu’ di Gershwin. E questo mi fece piacere. Anche lui suona. E mi dicono che suona bene”. Berlusconi invece non suona nulla. “Un po’ il pianoforte, ma soprattutto, come tutti sanno, canta. Ha un buon repertorio francese e americano”. Dopo di lui c’è Marina in politica? “Marina in politica, ma no. Poveretta. No”. Ma è l’unica. “Io capisco che utilizzare l’asset del cognome è un valore. Ma la politica non è un negozio di scarpe”.

Intanto Alfredo torna ad accostarsi al tavolo. Ha la perfetta aria del maggiordomo, confidenziale rispettoso, un po’ inclinato; e parlando con inflessione romana raccomanda, oltre al resto, la “sua” tartare di chianina. Ma Confalonieri non mangia la carne cruda. Meglio una tagliata. E da bere? Quando accenno all’idea di non bere vino, Confalonieri mi motteggia: “La vita è vino e muchachas”, ride. E questo è un codice che un po’ ricorda il Cavaliere. Ordina un contorno di puntarelle. Un po’ di salame. “A pranzo mangio tutto”, spiega. “E bevo anche un bicchiere di vino. Poi la sera solo verdure bollite però”. Berlusconi invece è astemio, o quasi. “Da ragazzo credevano avesse qualcosa al pancreas, beveva sempre il latte. E’ per questo che non ha mai nemmeno fumato. Poi l’abitudine gli è rimasta”. Dunque Confalonieri ordina un rosso di Bolgheri. Domanda sospettosa: si dice che lei e Berlusconi facciate un gioco delle parti, da tutta la vita. Lei recita il ruolo di quello intelligente, raffinato, luciferino. Il Cavaliere invece è quello che ogni tanto tira un po’ di cazzate, parla dei comunisti… Poi in realtà siete una cosa sola. “Il Cavaliere, col suo carattere variabile, è capace di eccessi sia nel bene sia nel male, come succede per tutte le creature che ebbero dal destino troppi doni. Il genio ha dei momenti di up e dei momenti di down. Maurizio Costanzo diceva che Silvio qualche volta tira fuori la cloche e se ne va. Ha presente il film di Milos Forman su Mozart, ‘Amadeus’? Ecco, Berlusconi è un po’ così. Ma lo hanno massacrato, è tutta la vita che combatte. La mafia, i primi soldi? In quei primi anni si sgobbava come matti. E Silvio portava la Carla – la prima moglie – in cantiere, le diceva: vieni che prendi il sole. Berlusconi è un misto di fantasia e secchioneria. Quando costruivamo le prime case, quello andava lì a controllare anche i fili d’erba. Pignolo. Rompiscatole. La sua grande capacità è che sa mettersi in sintonia con… con… diciamolo alla Ghedini: con l’utilizzatore finale. Ecco. Cioè lui costruiva quegli appartamenti pensando a chi ci sarebbe andato a vivere. E poi ha fatto lo stesso con la televisione. Lui pensa sempre come penserebbe la signora Maria. La vicina di casa. La casalinga. E’ così che sono arrivate le soap opera in Italia. Lui ha fatto così in azienda, e poi anche in politica. Il genio non ha bisogno di leggere Marx. Mi ricordo la polemica che Berlusconi ebbe con il suo omonimo, Francesco Merlo, a proposito di don Sturzo” (Francesco Merlo è mio zio, lo correggo. “Lo so”, mi risponde Confalonieri con un sorriso, “è un po’ stronzo ma è bravo”). E il presidente di Mediaset riprende a raccontare. “Parlavamo di questa polemica a tavola, ad Arcore. E Silvio era incazzato e diceva di conoscere Sturzo a memoria. E io gli rispondevo: ma che te ne frega. Meno male che non l’hai letto Sturzo! Ecco, lei prima mi chiedeva se facciamo un gioco delle parti. No, non lo facciamo. Lui è un genio, mentre io sono normale. Io sono un buon collaboratore. Ciascuno di noi, degli uomini che lo hanno accompagnato in questi anni, può aver interpretato il suo ruolo a modo suo. Qualcuno è stato un po’ bauscia, altri hanno avuto maggiore understatement. Ma tutti sappiamo che non saremmo stati nulla senza Berlusconi”. Alcuni sono scomparsi. Come Dotti. “Pochi. E la scomparsa di Dotti è, come dire… self-explanatory. Ovvia”.

Confalonieri continua a becchettare con la sua forchetta nel piatto, con gesti precisi, sorridendo e parlando. A un certo punto estrae l’orologio da polso dalla tasca sinistra della giacca. Se l’era sfilato. C’è disegnato, sul quadrante, uno stemma del Milan. “E’ l’orologio del primo scudetto”, mi dice. “Lei per che squadra tifa?”. Parma. “Masochista”. Eh. “Il Parma era di Tanzi. Gli hanno dato diciassette anni a Tanzi. Non saranno mica troppi diciassette anni? Certo, era colpevole. Ma certe volte io penso una cosa, che in Italia c’è una giustizia di classe. Ma alla rovescia, rispetto a come la raccontano. Alcuni magistrati inseguono i ricchi e i potenti. Come se volessero fargli pagare d’essere quello che sono”. E qui, a proposito di giustizia, chiedo a Confalonieri se Berlusconi rispetterà i patti con Renzi. Senza farsi condizionare dai suoi guai giudiziari. Anche a Letta aveva promesso sostegno, poi non andò così però. E lui: “Ma con Renzi l’accordo è molto più circostanziato. E’ limitato alle riforme”, dice con franca scorrevolezza. Lei lo conosce Renzi? “No. L’ho incontrato solo una volta a ‘Vedrò’, quella cosa che organizzava Enrico Letta ogni anno. Gli strinsi la mano. Che poi, quello lì è il mio lavoro: stringere mani, curare relazioni”. Intanto Alfredo scivola silenzioso verso il nostro tavolo. E rivolto a Confalonieri racconta: “L’altro giorno è venuto qui Cesare Lanza assieme al fratello del senatore Dell’Utri, Alberto. Sa che mi ha detto? Mi ha detto: ‘Dovresti scrivere un libro di memorie’”. Allora io mi rivolgo a Confalonieri: come fece Montanelli con Quinto Navarra, il cameriere di Mussolini, gli dico. E Confalonieri mi corregge: “Montanelli e Longanesi”. Giusto. Allora porgo a Confalonieri un volumetto di Longanesi che casualmente ho in tasca, “Faust a Bologna”, s’intitola. Lui lo guarda, lo sfoglia, e dice, come tra sé e sé: “… che poi Longanesi è quello dello schiaffo a Toscanini”. E io: in odio ai vecchi. Come Renzi e la rottamazione. E Confalonieri: “Io non sono contrario alla rottamazione. Si rottamano le auto che non vanno più”. Ecco, ma Renzi ha rottamato anche Letta. Allora chiedo a Confalonieri se è stato difficile per il Cavaliere mollare Enrico Letta, che è nipote di cotanto zio Gianni. “Letta Jr. era uno preparato”, dice lui. “Però…”. Però? “Però io ho notato una cosa, che vale come regola generale. Quando si arriva al potere si va un po’ via di testa. E si comincia a peccare di Ubris”. E Letta Jr. ha peccato di Ubris, di tracotanza? “Ma sa, quando uno s’incontra con i grandi della terra, quando parli con Obama, quando vedi Angela Merkel, alla fine finisce che sottovaluti quel ragazzino un po’ bullo che ti sta accanto. Quello che ti dice ‘stai sereno’. E questo vale anche per il mio amico Silvio. In politica devi essere Machiavelli, ma anche Guicciardini. In politica, ma in generale nella vita, c’è una regola aurea…

[Arriva del gelato, dei biscottini, e Alfredo versa gli ultimi due bicchieri della bottiglia di vino]
“… La regola aurea è questa: il primo avversario che hai è il tuo vicino di banco. E Letta questo non l’ha capito”. Adesso c’è Renzi, solo lui. “E questo ragazzo può essere il segnale della pacificazione. Io ci credo. Non è roba da inciuci. Ma è la fine di un periodo storico. Io l’ho vissuto così l’incontro tra Berlusconi e Renzi nella sede del Pd al Nazareno. Penso che sia possibile, adesso, un’Italia diversa. Senza più Ludovico il Moro che chiama i francesi. Insomma un paese normale”.

Chiedo a Confalonieri se ha mai pensato a come sarebbe stata la sua vita se non avesse conosciuto il Cavaliere. “Probabilmente sarei stato un buon impiegato di banca”, dice con molle indifferenza. Non un pianista? “Ma no. Per quelle cose ci vuole talento vero”, risponde lui, che a settant’anni si è diplomato al conservatorio (“possiedo quattro pianoforti a coda”, mi racconta. “Uno a casa a Milano, uno a Dolcedo in Liguria, uno a Parigi, e uno lo tengo in ufficio a Cologno”. E lo suona? “Quello di Cologno poco, ché sennò mi licenziano”). E riprende il filo della conversazione. “Di pianisti ce ne sono tanti”, dice. “Con la musica noi, io e Berlusconi, ci siamo soltanto divertiti, da ragazzi. Quelli erano anni pazzeschi”. Ricorda allora la sua giovinezza con il Cavaliere, una giovinezza da lottatore, piena di ragazze e di un decoro piccolo borghese, poi di vittorie, fino alla ricchezza. Confalonieri ricorda la fame di scalare la vita, le ultime lire divise, il primo affare: “Abbiamo fatto di tutto. Silvio vendeva elettrodomestici. Se uno pensa che cosa ha fatto lui nella vita. Per poi finire qui, così, condannato e agli arresti. Che tristezza. Questo paese è sempre uguale. Come Ludovico il Moro che chiamò i francesi in soccorso. La cattiva fama del Cavaliere all’estero? Ma la cattiva fama di Berlusconi all’estero è stata costruita qui, in Italia, dai suoi nemici. Quante cose, quanti poteri abbiamo avuto contro in questi anni… Incredibile. Hanno pure detto che i primi soldi glieli aveva dati la mafia. Roba da matti. Io c’ero. Quelli erano i soldi della liquidazione di suo papà”.

Berlusconi si è fatto molto male, spesso da solo. “Il Bunga Bunga è stato devastante. Ma Berlusconi è uno che non distingue il privato dal pubblico, è di un candore quasi ingenuo”. Ha rotto con Fini, poi con Alfano. “Non si può parlare del Cavaliere senza pensare alla sua psicologia”, risponde Confalonieri. “La parola ‘tradimento’ in politica è una parola stupida. Ma rende l’idea. Berlusconi sa che prima o poi se lo dovrà riprendere Alfano. Ma lui, davvero, non ha il cinismo del politico di una volta. Non è una di quelle vecchie volpi democristiane impomatate. Ha visto il suo figlioccio andare via, di là. E si è risentito. Si è incazzato. La verità è che in politica, Berlusconi non è riuscito fino in fondo a creare gli stessi rapporti che aveva costruito nella sua prima vita da imprenditore. Quando eravamo agli inizi, tutti insieme, in azienda, io, Dell’Utri, Galliani… ci divertivamo. Venivamo via dall’ufficio anche alle due di notte, poi alle otto eravamo di nuovo lì a lavorare. In un clima incredibile: c’era la battuta, il cazzeggio, il parlare del Milan. Un entusiasmo e una solidarietà pazzeschi”. Confaloneri si ferma per un attimo. Ed è come se stesse frugando nei cassetti della memoria, buttando tutto all’aria, cercando un’idea, una storia, un fatto. Eccolo. “Le dico una data: 26 febbraio. Alla mattina abbiamo comprato il Milan, al pomeriggio abbiamo inaugurato La Cinq in Francia. Berlusconi era un fulmine, e quando hai un capo così è un piacere lavorare. Abbiamo sviluppato per lui un rapporto d’amore quasi omoerotico. Faceva delle cose che noi ritenevamo impossibili. Mi ricordo ancora il mio ultimo colloquio con Craxi. Parlavamo dell’ingresso di Berlusconi in politica. Io ero contrario, e chiesi a Craxi quanto avrebbe potuto prendere Berlusconi alle elezioni. Lui mi disse: mah, il 6 per cento al massimo. E invece fu una roba napoleonica. Berlusconi ha costruito Milano due che aveva trent’anni. E con Renzi ha questo in comune, rischia. Entrambi parlano una lingua semplice, al confine con la banalità: pensi alle slide di Renzi. La gente ride delle slide. Ma sono una cosa che fanno anche a Princeton. La cifra della genialità di Berlusconi, come di Renzi, sta nella sua semplicità”. E Confalonieri mi racconta una scena di lui, Berlusconi e Niccolò Ghedini che guardano ammirati Renzi in televisione: “Parlava a braccio, in Senato, con la mano in tasca”.

Abbiamo finito. Ci alziamo dal tavolo. Nell’altra sala del ristorante, verso l’uscita, seduto, c’è un tizio che credo di riconoscere in Diego Volpe Pasini. Si rivolge a Confalonieri: “Buongiorno presidentissimo”, gli dice, affettando una confidenza che tuttavia Confalonieri non sembra ricambiare fino in fondo. Alfredo ci saluta, mi guarda: “Mi raccomando. Non scrivere cose brutte del presidente, sennò poi Ferrara ti tritura”. Per strada Confalonieri viene inseguito da una giornalista con cameraman, è della “Gabbia”, la trasmissione di Gianluigi Paragone. La mia intervista viene interrotta così, a gomitate. La collega, bionda, imita un certo stile aggressivo. Sorriso stolido. “Con Renzi salgono le azioni Mediaset, eh?”; “Bello, eh?”; “Le piace Renzi, eh?”; “state facendo i soldi, eh?”. Saluto Confalonieri, che intanto un po’ risponde e un po’ s’incazza.

La collana “A tu per tu” di Salvatore Merlo ha ospitato finora Ferruccio de Bortoli (19 febbraio), Ezio Mauro (22 febbraio), Giancarlo Leone (1° marzo), Flavio Briatore (7 marzo).

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.