Come te non c'è nessuno

Se Renzi flirta più con il Cav. che con il Pd una ragione c'è (elettorale)

Salvatore Merlo

Gli dice: “Caro Matteo, se potessi farti capire…”. E il condizionale, accanto al caro Matteo, non è il segnale di un distacco, ma diventa la cifra di un affetto rispettoso, di un riguardo solidale. L’altro gli risponde con un: “Caro Silvio, tu ti fai capire come nessun altro”. E la proverbiale ironia è sovrastata dall’indulgenza, anzi da una certa qualità di tenerezza. “Amici di telefono”, come direbbe Charlie Brown. E tutti sanno che Renzi e Berlusconi si fanno promesse.

Leggi anche Lo Prete Debiti e veti dei sindaci, ecco il primo sgambetto in Aula al sindaco d’Italia

    Gli dice: “Caro Matteo, se potessi farti capire…”. E il condizionale, accanto al caro Matteo, non è il segnale di un distacco, ma diventa la cifra di un affetto rispettoso, di un riguardo solidale. L’altro gli risponde con un: “Caro Silvio, tu ti fai capire come nessun altro”. E la proverbiale ironia è sovrastata dall’indulgenza, anzi da una certa qualità di tenerezza. “Amici di telefono”, come direbbe Charlie Brown. E tutti sanno che Renzi e Berlusconi si fanno promesse. “Dobbiamo ricominciare dal principio, azzerare tutto, aiutiamoci ad aiutare l’Italia”, si sussurrano all’orecchio. E dunque tutto s’intreccia attorno alla riforma elettorale, che nella prima settimana di marzo sarà incardinata alla Camera, e poi intorno alle nomine nelle aziende a partecipazione statale, ad aprile. Un corteggiamento che corre sul filo del telefono, tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli, tra il Castello di Arcore e la casa di Pontassieve. Un amorevole pissi pissi, e un solido orizzonte comune: le elezioni anticipate, anche se – shhh – non si può dire. Ed è una corrispondenza perfetta, perché da parte del Cavaliere prevede anche il graffio e l’attacco del Giornale di riferimento, talmente innamorato da costringersi, ancheggiando un po’, a tenere il muso al governo. Così Denis Verdini già si divide in due, gioca tutte le partite, rassicura il Sovrano di Arcore, gli dice che l’accordo sul nuovo sistema di voto non è in discussione (“Matteo rispetterà i patti”). Ma nel suo gioco spettacolare Verdini tiene insieme anche la partita delle nomine, invade il campo che fu del solo Gianni Letta, e dunque discute con l’ambasciatore renziano Marco Carrai, tratta, tesse, baratta: la legge elettorale, sì, ma anche i posti di comando nelle società che fanno capo al Tesoro. Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Ferrovie, Terna… Tutto si tiene.

    Adesso il Cavaliere sorride seducente: “Ho sempre predicato che bisogna farsi amare dai propri avversari”. Poi, ammiccando verso il compiaciuto Verdini: “In fondo Matteo è il mio carissimo competitor”. E Renzi stesso non saprebbe dire quanto Berlusconi gli si è rivelato. La pantomima raggiunge nel Cavaliere una grazia acrobatica, nel suo fascino c’è anche una sfacciataggine o una sapienza di istrione. Renzi lo sa, e dunque un po’ diffida (ricambiato). Ma certo è che il giovane presidente del Consiglio ha anche l’impressione di avere più amici nell’opposizione, dove persino Daniela Santanchè fatica molto a occultare il suo sguardo innamorato, che nella maggioranza dove siede Pier Luigi Bersani, o nel governo dove siede Angelino Alfano. E sia Bersani sia Alfano puntano a perdere tempo, che per loro significa guadagnare tempo, cioè allungare la legislatura. Entrambi premono perché la riforma elettorale vada appaiata a quella ben più lenta del Senato, e tra loro, un po’ come Renzi e Berlusconi, adesso se la intendono. “Di Renzi non possiamo fidarci. Quello è un pericoloso giocatore d’azzardo”, mormorano nel partito di Alfano, rivelando rapporti complicati e tesi.

    “Se ce la fa, bene. Sennò bene lo stesso”
    A volte il telefono trilla, a volte sussurra, a volte urla. Con un po’ di immaginazione si può vedere la signora Agnese che risponde infastidita, e i più fantasiosi possono immaginare Matteo, interrotto nei preparativi del trasloco verso Palazzo Chigi da un “è ancora lui”, abbandonare gli scatoloni e le scartoffie, i libri di Steve Jobs e le commedie di Fausto Brizzi, i pacchi di Eataly, per correre al telefono. “Se ce la fa, meglio: andremo a votare. Ma se non ce la fa è uguale. Nei sondaggi noi saliamo”, si fa sfuggire in un corridoio della Camera Mariastella Gelmini. E tutti sanno che dietro l’angolo, silente, forse riluttante, ma pronta, c’è sempre Marina Berlusconi, supercandidata premier. Ma anche questo è vietato dirlo. Agli uomini e alle donne di Forza Italia è proibito accennare alla successione dinastica. Ed è un silenzio che spesso si accompagna, tuttavia, a sguardi eloquenti.

    Dipende dalla legge elettorale, in definitiva dipende da Matteo. Così, l’altro giorno, il Cavaliere è rimasto incuriosito dal libro che Renzi ha portato alla Camera: “L’arte di correre”, di Haruki Murakami. Raccontano che a casa Berlusconi sorrideva silenzioso, una sfinge, socchiudendo gli occhi come fessure orientali. E una battuta, più seria che faceta: “Corri, Matteo, corri”. Il Sultano di Arcore non è oberato da complicazioni esistenziali, si tortura per i guai con la giustizia, ma appare ancora padrone nel suo godereccio disordine. E ancora riempie lo schermo della politica con la sua vasta, gaia, cinica presenza. Così, con le sue troppe telefonate, e attraverso le mascoline pacche di Verdini, è Berlusconi che ha stretto con Renzi il vero patto di legislatura.

    Leggi anche Lo Prete Debiti e veti dei sindaci, ecco il primo sgambetto in Aula al sindaco d’Italia

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.