Pennsylvania Avenue

Draghi garantisce tempo a Renzi. S'avanza l'idea di una Bce “salva debito” per chi sa rigare dritto

Domenico Lombardi

Lo spread a livelli bassi e i mercati finanziari stabilizzati in seguito all’introduzione del programma Omt della Banca centrale europea, la cornice è quella giusta affinché il nuovo governo Renzi si concentri sui problemi di medio termine – primo fra tutti la crescita – ma anche sulla riduzione del debito pubblico. Le due variabili sono strettamente collegate poiché una bassa crescita rende difficile la stabilizzazione del rapporto debito/pil, fondamentale per la solvibilità di un’economia.

    Lo spread a livelli bassi e i mercati finanziari stabilizzati in seguito all’introduzione del programma Omt della Banca centrale europea, la cornice è quella giusta affinché il nuovo governo Renzi si concentri sui problemi di medio termine – primo fra tutti la crescita – ma anche sulla riduzione del debito pubblico. Le due variabili sono strettamente collegate poiché una bassa crescita rende difficile la stabilizzazione del rapporto debito/pil, fondamentale per la solvibilità di un’economia. Ma è vero anche il contrario, poiché un debito molto elevato incoraggia un regime di tassazione opprimente che finisce col mortificare l’iniziativa economica. E’ questa la situazione in cui si trova l’Italia, e molte economie dell’Eurozona. Il debito pubblico dell’Eurozona nel suo complesso si sta avvicinando alla soglia del 100 per cento del pil.

    Alcuni paesi hanno già sforato tale soglia: Grecia (176 per cento), l’Italia (133), il Portogallo (128) e l’Irlanda (124). Altre economie l’hanno appena raggiunta o si stanno avvicinando. Le previsioni di crescita anemica che il Fondo monetario internazionale fa per l’Italia, congiuntamente alla bassa inflazione, rischiano di mantenere il rapporto debito/pil sui livelli attuali per i prossimi anni. Qualsiasi strategia di rientro comporterà parecchi decenni, almeno dando per scontata l’ipotesi – per la verità irrealistica in un periodo così prolungato – che non vi saranno choc avversi. Il costo in termini di reddito mancato sarà sostanziale. A Harvard, gli economisti Ken Rogoff e Carmen Reinhart hanno stimato che il limite nel rapporto debito pil oltre il quale la crescita economica rallenta è del 90 per cento per le economie avanzate e del 60 per quelle in via di sviluppo. Tenuto conto che i paesi dell’Eurozona non hanno singolarmente il controllo della propria valuta, è ragionevole assumere che la soglia appropriata sia più vicina a quest’ultima piuttosto che alla prima. Anche il Fiscal compact riconosce il valore del 60 per cento, imponendo ai paesi firmatari un rientro dal debito al di sopra di tale valore nell’arco del prossimo ventennio. Per un economia come l’Italia, il costo del non far nulla potrebbe essere pari sino al doppio del pil attuale in termini di mancata crescita futura. Il problema, tuttavia, è che l’alternativa di una ristrutturazione del debito potrebbe essere non meno problematica. Le conseguenze di una riduzione forzata del valore dei titoli del debito ricadrebbero in gran parte su famiglie e banche, compromettendone la capacità patrimoniale. L’attuale generazione ne subirebbe l’intero costo mentre i benefici sarebbero “spalmati” sulle generazioni future. Sull’Italia si abbatterebbe una stigma che ne comprometterebbe l’accesso al mercato e ne incrinerebbe il profilo internazionale. L’inerzia, pur non senza costo, è politicamente premiante.

    Due economisti di stanza a Ginevra, Pierre Pâris e Charles Wyplosz, un banchiere e un accademico di prestigio internazionale, hanno formulato una proposta che intende ovviare al problema. Il loro schema, denominato Padre (Politically acceptable debt restructuring in the Eurozone), prevede la trasformazione di titoli del debito in annualità a interesse zero. Poiché tale operazione riguarderebbe tutti i paesi dell’Eurozona, non vi sarebbe un problema di stigma. La Bce acquisterebbe tali attività emettendo obbligazioni; l’impatto sugli aggregati monetari sarebbe, pertanto, nullo. Poiché le prime non pagano interesse ma le seconde sì, il saldo netto dell’operazione avrebbe un costo a cui gli autori propongono di fare fronte utilizzando il reddito da signoraggio che la Bce trasferisce periodicamente agli stati membri per il tramite delle Banche centrali nazionali. Nella loro proposta, la Bce acquisterebbe titoli di debito in proporzione alla quota detenuta da ciascuno stato membro nel suo capitale. Tale elemento è necessario per neutralizzare obiezioni sul fronte dei trasferimenti intra-euro che minerebbero sul nascere qualsiasi iniziativa europea in tale materia (ad esempio gli Eurobond).

    Pertanto, se l’obiettivo fosse la riduzione della metà del debito dell’Eurozona, la Bce ripartirebbe, a livello nazionale, gli acquisti di tale stock utilizzando come pesi le quote del proprio capitale. Pertanto, l’Italia vedrebbe ridursi il suo debito dal 133 all’80 per cento, la Germania dall’80 al 34 e così via. I benefici in termini di maggiore crescita ricadrebbero equamente sulle varie generazioni come anche i costi. Naturalmente è possibile che i governi che sono stati indisciplinati approfittino della bonaccia per tornare a spendere senza controllo. In tal caso, superata una certa soglia nel (nuovo) rapporto debito/pil, la Bce potrebbe richiedere il rimborso di parte delle annualità detenute in portafoglio sanzionando il paese indisciplinato. La proposta – una bozza è stata discussa al Bellagio Group, consesso internazionale di banchieri centrali – verrà formalmente presentata a Londra la settimana prossima. Gli autori saranno anche alla Commissione Ue e alla Bundesbank. Facile presagire le obiezioni da Francoforte. Ma i due economisti hanno una versione politicamente più accettabile. Il loro schema funziona con l’intermediazione di qualsiasi agenzia europea, incluso il Meccanismo di stabilità (Esm), purché i redditi da signoraggio, che competono ai paesi membri, siano trasferiti a tale agenzia per compensare i costi dell’operazione. La fattibilità per l’Italia dipende dalla sua capacità di imboccare credibilmente un percorso di riforme che il governo Renzi ha promesso di intraprendere per recuperare competitività. A ogni modo, avvertono gli autori, “più a lungo si aspetta, maggiore sarà l’ammontare di debito da ristrutturare”.