Dillo con una parolaccia, usa Twitter

Michela Maisti

La parolaccia più usata su Twitter? “Fuck”. Secondo quel che emerge da una ricerca della Wright State University dell’Ohio l’incontinenza verbale è sbarcata da tempo anche sul social network più veloce del mondo. Il 37,4 per cento delle parole che scriviamo in 140 caratteri è “fanculo”. A seguire, “shit” (con il 15 per cento delle presenze) e “ass” (per un pugno di tweet, al 14,5 per cento). Alte le quotazioni anche per “bitch”, “hell”, “whore”, il sempreverde “dick” e “piss”.

    La parolaccia più usata su Twitter? “Fuck”. Secondo quel che emerge da una ricerca della Wright State University dell’Ohio l’incontinenza verbale è sbarcata da tempo anche sul social network più veloce del mondo. Il 37,4 per cento delle parole che scriviamo in 140 caratteri è “fanculo”. A seguire, “shit” (con il 15 per cento delle presenze) e “ass” (per un pugno di tweet, al 14,5 per cento). Alte le quotazioni anche per “bitch”, “hell”, “whore”, il sempreverde “dick” e “piss”. Chiude la classifica “pussy” (che non si nega a nessuno, e che in Italia, ad esempio, si può declinare in diverse accezioni: dal benaugurante e cameratesco “Viva la fica!” al “che fica!”, garbato nelle intenzioni – lusinghiere per la donna oggetto del complimento – un po’ meno nelle maniere).

    Ma il dato ancor più interessante è che mentre nella vita reale siamo più educati (gli studiosi dell’Ohio dicono che solo lo 0,7 per cento dei termini che usiamo è di cattivo gusto), in quella virtuale viene fuori il lato peggiore dell’essere umano e le percentuali si raddoppiano. Così un tweet ogni 13 contiene almeno un’oscenità.

    E se è vero che ormai le parolacce sono entrate a pieno titolo nel linguaggio comune, fino a ridursi spesso a un intercalare (l’Italia in particolare, dal Veneto alla Sicilia, fin dai tempi antichi è tutta una ripartizione geografica di innocui “suffissi” volgari), una delle ragioni per le quali molte delle cattive maniere si condensano su Twitter è forse quella dell’uso che se ne fa.

    Essere continuamente connessi significa anche curiosare in rete a tarda notte, magari dopo un sabato sera con qualche bicchiere di troppo, quando il pensiero del lunedì al lavoro è ancora lontano e si gode l’ebbrezza del giorno di riposo. E allora tutto è concesso, anche la parola in più. Anche dare libero sfogo al peggio di sé. Nei giorni del cazzeggio, si cazzeggia anche online. Come se col declinare dei giorni della settimana ci si spogliasse di una buona maniera alla volta.

    A ben vedere però la colpa non è dei social network. Secondo quanto riporta il Guardian, infatti, già da studi condotti in passato era emersa, prepotente, una sempre più diffusa tendenza all’imprecazione. Differente, a seconda del genere. In una chiacchierata tra donne, farne a meno è praticamente impossibile. I termini più quotati nella semantica del cattivo gusto, guardacaso, sono quelli al femminile: “Bitch” e “slut”. Non sono da meno gli uomini. Che la domenica, dopo una partita di calcio, di tweet da far impallidire i filologi dell’Accademia della Crusca ne scrivono a palate.