Il teologo di Francesco

Matteo Matzuzzi

Poco prima di Natale, Francesco gli aveva fatto sapere che aveva scelto lui come unico relatore al concistoro straordinario sulla famiglia che si apre questa mattina in Vaticano. Dopotutto, il cardinale Walter Kasper era stato il protagonista involontario del primo Angelus del neoeletto Bergoglio, il 17 marzo scorso: “In questi giorni ho potuto leggere un libro del cardinale Kasper, un teologo in gamba, sulla misericordia”, aveva detto il Papa argentino, citando il volume che il porporato tedesco gli aveva regalato nella clausura di Santa Marta prima della fumata bianca – i due erano vicini di stanza.

    Poco prima di Natale, Francesco gli aveva fatto sapere che aveva scelto lui come unico relatore al concistoro straordinario sulla famiglia che si apre questa mattina in Vaticano. Dopotutto, il cardinale Walter Kasper era stato il protagonista involontario del primo Angelus del neoeletto Bergoglio, il 17 marzo scorso: “In questi giorni ho potuto leggere un libro del cardinale Kasper, un teologo in gamba, sulla misericordia”, aveva detto il Papa argentino, citando il volume che il porporato tedesco gli aveva regalato nella clausura di Santa Marta prima della fumata bianca – i due erano vicini di stanza. “Mi ha fatto tanto bene, quel libro (Misericordia, Queriniana). Diceva che la misericordia cambia tutto. E’ il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto”. E sul significato della misericordia, in questi ultimi mesi e in previsione del Sinodo, hanno discettato eminentissimi prìncipi della chiesa – dall’honduregno Oscar Maradiaga al capo dell’ex Sant’Uffizio Gerhard Ludwig Müller – e vescovi diocesani. Chi usando quel termine come strumento per lavare ogni colpa, chi invece ammonendo sul rischio di banalizzarlo fecendolo diventare sinonimo di compassione o tolleranza.

    Kasper, fine erudito formatosi alla gloriosa facoltà teologica di Tubinga – dove si voleva fare teologia “nel fluire aperto del tempo” –, premette che di entrare nel dibattito sulla riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati non ha alcuna intenzione. Il compito affidatogli dal Papa è di “fornire un fondamento teologico alla discussione”, nulla di più. D’altronde, la sua posizione circa la questione è chiara da tempo: “Ciò che è possibile a Dio, vale a dire il perdono, deve valere anche per la chiesa”, diceva un mese fa in un’intervista al periodico tedesco Zeit. Concetto ribadito ieri mattina, a margine di un evento romano: “Ogni peccato può essere assolto e perdonato. Questo è il punto di partenza. Non è immaginabile che uno possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa tirarlo fuori”. Le attese sono alte, ma è necessario agire con prudenza, perché il rischio di inciampare quando si ha a che fare con i sacramenti e il peccato è sempre dietro l’angolo: “Non abbiamo ancora i risultati completi dei questionari presinodali, sappiamo cosa si pensa in alcuni paesi d’Europa, ma gli altri? Vediamo cosa pensano gli africani”. In ogni caso, sottolinea Kasper, “la dottrina non è una laguna stagnante, la vita cristiana è un cammino, un punto di partenza, non di arrivo”.

    Ottantuno anni, fuori dal novero dei cardinali elettori in un futuro Conclave, presidente emerito del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, il “buon teologo” Kasper è stato per anni il contraltare curiale del connazionale Joseph Ratzinger, quando questi ricopriva la carica di custode dell’ortodossia cattolica. Dottore in Teologia a Tubinga nel 1961, assistente per tre anni di Hans Küng, chiamato a Roma nel 2001 da Giovanni Paolo II per occuparsi dei rapporti con i cristiani separati e con il mondo ebraico: “Dopo la stagione di Willebrands e Cassidy, da più parti si fece presente a Wojtyla che l’ecumenismo necessitava di un tedesco”, rivelò un vecchio curiale. E Kasper, allora segretario del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani dopo aver rinunciato alla cattedra episcopale di Stoccarda, fu promosso a presidente. Dopotutto, dell’argomento era uno dei massimi esperti: nel 1967 fu accolto nella commissione internazionale per il dialogo luterano-cattolico, e già allora era riconosciuto come il principale teologo della Germania post conciliare. Molti lo consideravano uno dei pochi in grado di reggere il confronto con Ratzinger su basi teologiche. Tra i due, i rapporti hanno vissuto fasi alterne, come aveva ricordato lo stesso Benedetto XVI nel 2008, in occasione del settantacinquesimo compleanno di Kasper: “Non sempre siamo stati della medesima opinione, ma ci siamo sempre saputi insieme nel cammino al servizio di Cristo e della chiesa”. Tra i due teologi – entrambi furono titolari della cattedra di Teologia dogmatica a Tubinga –, diversi sono stati i punti di contrasto: se Ratzinger difendeva il primato della chiesa universale su quella locale, Kasper ribadiva la necessità di attribuire sempre più autonomia alle chiese locali, fino al punto da far loro eleggere i vescovi. Una posizione ben presente ancora oggi in una parte considerevole dell’episcopato tedesco. E ancora un anno fa, nell’immediata vigilia del Conclave, Kasper ribadiva la necessità di attuare “una riforma” che desse vita “a un governo orizzontale della chiesa per uscire dalle secche del centralismo romano”. La stessa interpretazione del ruolo del Pontefice aveva creato un solco tra i due: mentre Kasper teorizzava la necessità di ripensare il ministero petrino per spogliarlo di tutti gli elementi anacronistici – non a caso avrebbe lodato in un’intervista al Foglio dello scorso luglio l’abbandono della corte pontificia da parte di Francesco –, già negli anni Settanta Ratzinger chiariva che “insistendo solo sull’aspetto pastorale si rischia di raffigurare non il pastore della chiesa universale, ma un burattino universale da manovrare a nostro piacimento”.

    Ma è sull’ecumenismo che il modo di vedere le cose tra i due era agli antipodi. Per Ratzinger, le varie chiese avrebbero dovuto riconoscersi unite cum e sub Petro, mentre per Kasper il dialogo sarebbe stato possibile anche senza tale riconoscimento. Eppure, nonostante profili così diversi, Benedetto XVI non si privò della “intelligenza del connazionale” fino al 2010, lasciandolo in curia ben oltre il compimento dei settantasette anni d’età. Di Kasper, il Papa oggi emerito apprezzava la prudenza e il rigore teologico, anche in riferimento alla lettura di ciò che è stato il Concilio Vaticano II, con il quale – ha detto anche di recente il porporato – “non si intendeva un adattamento banale allo spirito dei tempi, ma l’appello a far parlare la fede trasmessa e tradotta nell’oggi”. Il problema del mondo contemporaneo, notava qualche tempo fa un Kasper questa volta in sintonia con Ratzinger, è che “Dio per molti non è più un problema. Sembra che non interessi più. E’ sconcertante il fatto che quelli senza Dio non sono più cattivi e non sembrano meno felici rispetto a chi crede”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.