La metà dei sardi non ha votato, è un assoluto segno di civiltà

Diana Zuncheddu

Pare che l’unico cui importi, a Roma, delle elezioni sarde, sia il Fai. E’ partito subito un appello al neo governatore della regione sarda Francesco Pigliaru perché ritiri il piano paesaggistico approvato dal predecessore in tutta fretta. Per il resto, il sole splende su Roma e i suoi palazzi, e anche sul Frecciarossa che sposta il giovane premier da Roma in su, mentre l’unica vera grande isola italiana se ne va decisa verso il suo destino solitario.

    Pare che l’unico cui importi, a Roma, delle elezioni sarde, sia il Fai. E’ partito subito un appello al neo governatore della regione sarda Francesco Pigliaru perché ritiri il piano paesaggistico approvato dal predecessore in tutta fretta. Per il resto, il sole splende su Roma e i suoi palazzi, e anche sul Frecciarossa che sposta il giovane premier da Roma in su, mentre l’unica vera grande isola italiana se ne va decisa verso il suo destino solitario. Silvio Berlusconi, che pure ha ancora casa in Sardegna ed è calato nell’isola due volte per sostenere il governatore uscente, Ugo Cappellacci, sta zitto: il suo commercialista ha perso. Ha perso proprio lui, la persona, che è riuscita a catalizzare meno voti della coalizione che lo sosteneva. Ha perso per tre punti percentuali, dopo cinque anni di quasi niente e un fuoco d’artificio dell’ultima ora di proposte demagogiche che non si sono bevute nemmeno i sardi: facciamo la zona franca in Sardegna, ma sì, spariamole alte quanto il nuraghe di Barumini. Lo stato romano non ha nemmeno i soldi per andare a votare, figurarsi per una zona franca ai confini del suo impero. Dicono abbiano contribuito al risultato anche quei voti sfilati da Mauro Pili, ex delfino del Cavaliere, ex governatore della regione, deputato eletto tra le file dell’ex Pdl, e che si è messo in testa di fare esattamente il contrario di quanto indicava il nome dato al suo movimento politico, Unidos, un ossimoro in significato e in realtà. Non entreranno in Consiglio regionale né lui né Michela Murgia, scrittrice, che è arrivata al 10 per cento in pochi mesi, ma non è bastato, nonostante l’assenza di Grillo, che non si è palesato proprio (“le liste presentate erano troppo in disaccordo fra loro”, si era giustificato sul suo blog, eppure alle ultime politiche era al 30 per cento, primo partito).

    E finalmente si arriva al vincitore, Francesco Pigliaru, docente di Economia politica e prorettore dell’Università di Cagliari ma nato e cresciuto a Sassari, liceo classico Azuni, lo stesso dei Cossiga e dei Berlinguer, le famiglie dell’altissima borghesia sarda che non hanno governato l’isola, ma l’Italia. Noioso, per sua stessa ammissione; freddo, come i professori; figlio di quell’Antonio Pigliaru, giurista e filosofo, che studiò la vendetta barbaricina come ordinamento giuridico. Compie 60 anni quest’anno, Francesco Pigliaru, un nome venuto fuori a 40 giorni dalle elezioni, unico in grado di non far litigare troppo i capetti sardi del partito, slegato dai giochi baronali, nonostante sia stato per due anni assessore al Bilancio nella giunta Soru (si era dimesso perché il presidente-padrone aveva man mano avocato a sé alcune sue deleghe: “Senza lavoro, che ci sto a fare?”, aveva detto andandosene). Con il neo governatore si è congratulato Renzi, via Twitter prima, per telefono poi, mentre il professore brindava con un bicchiere di plastica bianco in mano. Eppure tutti, fino a domenica, da Parisi allo stesso Renzi, ci tenevano a dire che il risultato, comunque, era nato in Sardegna. I sondaggi non erano così positivi, tanto valeva dire: non ci cercate, o in altre parole, chissenefrega. Così si compie l’elezione in un’isola che non riesce a fare niente per contare; che non esiste a Roma, figuriamoci a Bruxelles; che resta disunita e ancillare davanti agli Emirati che si comprano le coste, ai turisti che nonostante i prezzi alti e i servizi bassi continuano a bagnarsi al mare; che muore di pioggia o di non lavoro nella noncuranza di una classe dirigente che, con rare eccezioni, è irrilevante. La metà dei sardi non ha votato. Un assoluto segno di civiltà.