Guinzaglio lungo

Salvatore Merlo

Arcore, interno sera. Tavola imbandita, cena domenicale. Silvio Berlusconi al centro, intorno: Giovanni Toti con la moglie, Daniela Santanchè, Mariastella Gelmini, il capo dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan, e ovviamente Mariarosaria Rossi, assistente particolare. Si parla del libro di Alan Friedman – la sera prima dell’uscita delle anticipazioni sul Corriere. E si parla di Renzi, e di Letta, del “simpatico” Matteo che “si è incartato”.

    Arcore, interno sera. Tavola imbandita, cena domenicale. Silvio Berlusconi al centro, intorno: Giovanni Toti con la moglie, Daniela Santanchè, Mariastella Gelmini, il capo dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan, e ovviamente Mariarosaria Rossi, assistente particolare. Si parla del libro di Alan Friedman – la sera prima dell’uscita delle anticipazioni sul Corriere. E si parla di Renzi, e di Letta, del “simpatico” Matteo che “si è incartato”. Qualcuno porta anche una notizia: lunedì Letta e Renzi andranno al Quirinale, insieme, alle 21. Negli occhi del Cavaliere si specchiano gradatamente la sorpresa, un entusiasmo effimero, l’offesa, un’angosciata protesta, l’impeto d’una ribellione. Le rivelazioni dei fatti e delle manovre del 2011 che portarono al governo Monti, contenute nel libro di Friedman, fatti che lui già conosceva da tempo, che ha vissuto da protagonista molto meno passivo di quanto non voglia credere (e far credere), ora gli mettono in bocca un gusto acidamente vibrante, di dispetto emotivo. “Prodi al Quirinale sarebbe meglio di Napolitano”, dice il Cavaliere a un certo punto, forse facendo eco a certe vaghe conversazioni che Denis Verdini deve aver intrattenuto con Renzi intorno al futuro della presidenza della Repubblica. E le parole di Berlusconi – “meglio Prodi” – pronunciate di fronte agli ospiti di Arcore, molti dei quali gliele hanno già sentite dire parecchie volte, rendono l’immagine d’una contrarietà dura, ma non lontana dal gioco. Maestro nella ricombinazione della realtà, artista dell’autosuggestione, il Cavaliere ha ormai assegnato un ruolo espiatorio a Napolitano. E nel furore post prandiale, ad Arcore, adesso sogna un contrappasso: Prodi. Ma come sempre accade a corte, l’autosuggestione del Sovrano prende vita propria e si trasforma in alimento per le fiere mansuefatte del berlusconismo. Così ieri Renato Brunetta ha interpretato con eloquenza fluviale gli umori del suo Cavaliere dal guinzaglio lungo: “Golpe, golpe, golpe”. E Augusto Minzolini: “Non escludiamo di votare con i Cinque stelle l’impeachment contro Napolitano”.

    Ma la loro condizione, con esatta similitudine, è di strumenti: strumenti musicali in un orchestra, o strumenti meccanici in un ingranaggio. “A parti invertite, se Berlusconi avesse fatto ciò che ha fatto Napolitano, sarebbe stato lapidato. Golpe!”, esplode per esempio Daniele Capezzone. Talvolta gli strumenti suonano più forte o scattano con maggiore frequenza, ma la matassa del romanzo berlusconiano si dipana sempre nell’anarchia, in uno strano sentimento d’indeterminatezza. E i morsi di queste tigri dipendono solo da quanto lungo s’è fatto il guinzaglio nel giardino di Arcore, a volte è molto lasco, altre meno. Ma nessun morso, nessun suono, nessuno scatto di rotelle e ingranaggi dipende mai da una determinazione determinata e irrevocabile del Sovrano. E infatti: “Non potevamo stare zitti dopo aver letto le parole di Monti e De Benedetti. La cosa andava denunciata. Ma ci dobbiamo andare un po’ cauti. Tra dire e fare c’è differenza”, confessa al Foglio uno dei massimi e assennati dirigenti parlamentari di Forza Italia, area Confalonieri. Uno che ieri ha parlato contro Napolitano, ma “golpe e impeachment non l’ho detto”.

    E insomma il Cavaliere Supremo si muove con disinvoltura irrequieta, impossibile interrogare la sua anima elusiva: oggi fa denunciare un colpo di stato, ma domani chissà. La fantasia è il suo elemento, ma più spesso il solido principio di realtà finisce col persuaderlo. Così nel tepore domestico e favoloso del Castello, il nome di Prodi, domenica, è scintillato ai suoi occhi come un’incongrua e surreale promessa di felicità, ma poi tutti i suoi fedelissimi (con poche eccezioni) ammettono: “E’ ovvio che Prodi sarebbe peggio di Napolitano”. Ciascuno degli uomini del Cavaliere sa bene, in cuor suo, che Berlusconi tende a un’ambiguità suggestiva, gioca tutti i giochi, e che insomma questo inconoscibile Sovrano tende a utilizzarli, aprendo e chiudendo le gabbie, sguinzagliandoli a suo piacere. E senza che ciò corrisponda necessariamente a un disegno. “Di Quirinale, con Renzi, già si parla. E ancora si parlerà”, sussurrano al Foglio dal Castello. “Ma è presto”, ammettono. “Tutto è ancora troppo confuso”, dicono i più smaliziati. Malgrado il Cavaliere abbia persino teorizzato, di fronte ai commensali di Arcore, che se gli accordi con Renzi dovessero funzionare, persino uno come Prodi, l’arcinemico, potrebbe diventare il sigillo sulla pacificazione. “Solo Prodi potrebbe fare certe concessioni senza passare per berlusconiano”, mormora una voce estranea al Parlamento ma molto vicina al Cavaliere, e agli ambienti Mediaset. Chissà. Arcore è la capitale mondiale dello spin, quel movimento inebriante, quella sostanza psicotropa che può causare alterazioni della percezione e dell’umore. Nei politici, ma anche nei giornalisti.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.