Direzione pericolosa

Carte scoperte e coltelli nascosti. Renzi e Letta si fronteggiano così

Salvatore Merlo

E’ destino che i due si cerchino, si spiino, si sfuggano, in un conflitto tormentoso e profondo. Mentre dietro l’angolo spunta il capino interessato del terzo incomodo, Lui, ovviamente, Silvio Berlusconi. E così Matteo Renzi ed Enrico Letta intervengono alla direzione del Pd. Il giovane segretario fa capire che le riforme le fa il partito (cioè lui), mentre le rogne spettano al governo (cioè a Letta), a quell’esecutivo di larghe intese sul quale Renzi non esprime valutazioni, cosa che suona già, in sé, come una valutazione.

    E’ destino che i due si cerchino, si spiino, si sfuggano, in un conflitto tormentoso e profondo. Mentre dietro l’angolo spunta il capino interessato del terzo incomodo, Lui, ovviamente, Silvio Berlusconi. E così Matteo Renzi ed Enrico Letta intervengono alla direzione del Pd. Il giovane segretario fa capire che le riforme le fa il partito (cioè lui), mentre le rogne spettano al governo (cioè a Letta), a quell’esecutivo di larghe intese sul quale Renzi non esprime valutazioni, cosa che suona già, in sé, come una valutazione. “I giudizi spettano innanzitutto al presidente del Consiglio”, dice, “se Letta ritiene che le cose vadano bene come stanno andando, che vada avanti. Se ritiene che ci siano dei cambiamenti da apporre, affronti il problema nelle sedi politiche e istituzionali. Giochiamo a carte scoperte”. L’altro, il cinquantenne presidente del Consiglio, si mantiene invece “sulle generali”, come si diceva una volta, sfiora cioè la polemica (“non è mia intenzione galleggiare”), ma poi trova rifugio nel richiamo all’unità, “la squadra vince solo se gioca unita”, e liscia per il verso giusto il pelo ispido di Renzi: “Le riforme vanno fatte per bene, cioè di corsa”. Troncare sopire, sopire troncare. Giocare negli angoli morti del campo. E dunque Renzi contro Letta, e Letta contro Renzi, uno stile felpato contro un incedere baldante, due modi d’intendere la vita e la politica nell’Italia moderna.

    Neanche un cenno all’ipotesi della staffetta, all’eventualità che Renzi possa sostituire Letta a Palazzo Chigi. Nel salone che ospita la direzione del Pd nessuno ne parla, ma è a questo che tutti pensano. E molto. Anche Berlusconi ci pensa, lui che dal Castello segue con curiosità divertita e rapace questa danza allusiva, malgrado le preoccupazioni sul processo Mediatrade (che si complica). Sono settimane che il Cavaliere fantastica d’un nuovo governo, con Renzi premier e i ministri di Forza Italia. “Se si fa, meglio. Ma se non si fa è uguale”, ha detto ai suoi uomini. E in questa condizione d’indeterminatezza, in questo incedere pensile del Pd, sospeso tra Renzi e Letta, tra continuità e rivoluzione, Berlusconi si trova a suo agio. S’adombra per la manovra di Pietro Grasso, che ha costituito Palazzo Madama parte civile nel processo sulla cosidetta compravendita dei senatori. Ma la confusione gli consente di giocare più parti in commedia, di tirare i fili della politica con mano rapida e birbante: Daniela Santanchè mena fendenti contro “l’asse Grasso-Napolitano”, ma Renato Brunetta già parla come un membro del governo Renzi (“stia attento che il golpe è anche contro di lui”). E Berlusconi non ha potuto che sorridere, ieri, soddisfatto nel sentire le parole a lui rivolte dal giovane segretario del Pd: “Considero un valore che Forza Italia sia con noi in questa discussione sulle riforme”. Applausi davanti alle agenzie. E i sospetti – e le trame – che s’infittiscono nel partito dei suoi avversari ora gli fanno intravvedere nuovi e golosi orizzonti.

    La tentazione della staffetta a P. Chigi
    Ma nell’ambiguità si muove a suo agio anche Renzi. “L’idea che uno vince il congresso e il giorno dopo chiede di avere un governo più assomigliante a se stesso aveva senso solo nella Prima Repubblica e non adesso”, ha detto il segretario del Pd, come ad allontanare da sé non solo l’idea del rimpasto, ma anche quella della staffetta con Letta. Eppure attorno a lui è tutto un’agitarsi di spin e controspin, con una strana alleanza tra i suoi avversari interni, come Stefano Fassina, e alcuni dei suoi fedelissimi, che lo invitano a sedersi sul trono di Palazzo Chigi: il saggio Graziano Delrio, i parlamentari Angelo Rughetti, David Ermini e anche il fidato Lorenzo Guerini. Guglielmo Epifani lo ha sostenuto quasi esplicitamente nel corso della direzione. Altri renziani, come Paolo Gentiloni, non sono d’accordo, “è un trappolone”, ha detto ad “Agorà”, su Rai3. E i lettiani? Per lo più tacciono, come il loro presidente del Consiglio, o altrimenti mormorano: “Non può accadere nulla prima che la legge elettorale sia in cassaforte. Se dovesse fallire, con Renzi a Palazzo Chigi, lui ne avrebbe la colpa”. Chissà. Intanto Berlusconi dicono trovi “appassionante” seguirli e osservarli, Letta e Renzi, sempre più immersi nel loro conflitto che serpeggia e scoppietta, ma che pure democristianamente mai davvero esplode. Acceso dalla propria fantasia, il Cavaliere pensa anche alle dimissioni di Napolitano, e ai magnifici giochi che si aprirebbero per l’elezione – in questo Parlamento – del nuovo presidente.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.