Guerriglia fredda

La battaglia a Kiev è provvidenziale per l'Ue che non decide mai

David Carretta

Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ieri ha telefonato all’uomo forte dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, per avvertirlo che, se la situazione “non sarà stabilizzata, l’Unione europea valuterà possibili conseguenze per le relazioni bilaterali”. Il commissario all’Allargamento, Stefan Füle, oggi sarà a Kiev per fare pressioni a favore del dialogo. L’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, potrebbe volare nella capitale ucraina mercoledì. L’Ue corre così ai ripari dopo i “Primi morti per l’Europa” – come Libération ha definito in copertina le prime cinque vittime nei ranghi dei manifestanti pro Ue che si oppongono a un regime “sempre più liberticida”.

    Bruxelles. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ieri ha telefonato all’uomo forte dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, per avvertirlo che, se la situazione “non sarà stabilizzata, l’Unione europea valuterà possibili conseguenze per le relazioni bilaterali”. Il commissario all’Allargamento, Stefan Füle, oggi sarà a Kiev per fare pressioni a favore del dialogo. L’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, potrebbe volare nella capitale ucraina mercoledì. L’Ue corre così ai ripari dopo i “Primi morti per l’Europa” – come Libération ha definito in copertina le prime cinque vittime nei ranghi dei manifestanti pro Ue che si oppongono a un regime “sempre più liberticida”. Ma l’Europa non solo si è fatta cogliere impreparata di fronte all’escalation violenta tra le forze di sicurezza di Yanukovich e i manifestanti di “Euromaidan”. Incapace di definire i suoi confini geografici e politici, malgrado l’umiliazione subita al vertice di Vilnius quando Yanukovich ha preferito i contanti di Vladimir Putin alle vaghe promesse europee, l’Ue è priva di una dottrina su un paese strategico ai suoi confini orientali, dove è in diretta competizione con la Russia. Mentre gli Stati Uniti hanno già iniziato a revocare i visti di alcuni alti responsabili, l’Ue non vuole parlare di sanzioni. “La priorità non è ridefinire le nostre relazioni con l’Ucraina. La priorità è il dialogo”, ha spiegato un portavoce di Barroso.

    Ieri a Kiev si è vissuta una giornata di calma apparente, dopo gli scontri iniziati domenica a seguito dell’imposizione di alcune leggi liberticide. I manifestanti hanno accettato una tregua di otto ore, mentre i loro leader – l’ex campione di boxe Wladimir Klitschko, l’ex ministro dell’Economia Arseny Yatsenyuk e il nazionalista di estrema destra Oleh Tyahnybok – proseguivano il tentativo di mediazione con Yanukovich. Il presidente ucraino ha assicurato a Barroso che non decreterà lo stato d’emergenza e ha chiesto al Parlamento di riunirsi per discutere della situazione. Ma la rivolta si è estesa a Leopoli, Lutsk e Rivne, tre città della parte orientale dell’Ucraina, roccaforte di nazionalisti e anti russi.

    Yanukovich non sembra disposto a fare concessioni: nel primo round di colloqui il presidente ucraino ha rifiutato di licenziare il suo governo o ritirare le leggi anti opposizione. Dopo gli appelli alla nonviolenza, anche l’opposizione moderata moltiplica le minacce: “Se il presidente non ci ascolterà, passeremo all’attacco. Non c’è altra via”, ha detto mercoledì il boxeur Klitschko. Paradossalmente, la svolta violenta dei più nazionalisti permette all’Europa di voltarsi dall’altra parte. “Gli ucraini ci stanno togliendo le castagne dal fuoco”, riconosce al Foglio un diplomatico europeo: “L’Ue non può sostenere forze ultra-nazionaliste”. A Bruxelles, in molti hanno notato che nelle dichiarazioni di Barroso è scomparsa la promessa di “tenere aperte le porte” all’Ucraina.

    Come nel caso della Turchia, l’adesione di un grande paese di 45 milioni di abitanti, in bilico tra due mondi – culla della Russia medievale, poi parte dell’Impero asburgico – divide l’Ue. Secondo Michael Emerson, del Centre for European Policy Studies, la responsabilità per la crisi ucraina è da attribuire in parte alle contraddizioni degli europei, che non hanno saputo offrire a Kiev un chiaro percorso per entrare nel loro club. L’accordo di associazione che Yanukovich aveva rifiutato di firmare in novembre, innescando “Euromaidan”, prevedeva di “rispettare circa 300-400 atti legali dell’Ue”, ma senza  includere “la sacra espressione di prospettiva di adesione”. Per Emerson, i leader Ue sono stati “incapaci di superare i disaccordi” sui confini europei: certo “non è una questione di per sé facile, ma rimane una questione di scelta strategica”. Tra i Ventotto, solo Polonia e Svezia si sono chiaramente espresse a favore di sanzioni contro il regime Yanukovich. La Germania, con il ritorno di un ministro degli Esteri vicino ai russi, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier, ha ammorbidito i toni. “Il ministro degli Esteri e io pensiamo che le sanzioni attualmente non siano all’ordine del giorno”, ha detto la cancelliera Angela Merkel. Anche l’Italia preferisce non irritare l’orso russo. “Con la Russia ci sono una serie di dossier internazionali (Siria e Iran, ndr) su cui abbiamo interessi comuni e anche convergenze”, ha detto lunedì il ministro degli Esteri, Emma Bonino. La Lituania, per contro, in vista del Vertice Ue-Russia di martedì prossimo ha chiesto di “rivedere” la partnership strategica con Putin, che agli occhi della sua presidente Dalia Grybauskaité “non ha nulla di strategico”.