Il Cav. della patria

Salvatore Merlo

Gli va bene tutto, gli va bene il doppio turno proposto da Matteo Renzi, ha accolto con una scrollata di spalle la notizia (attesa) che il 10 aprile sarà deciso il suo affidamento in prova ai servizi sociali, e ormai ha accettato persino l’idea che il governo possa durare, “così Letta un anno di vita lo guadagna”, lo ha avvertito al telefono Denis Verdini, l’uomo della trattativa. E insomma per Silvio Berlusconi si sta schiudendo, con l’inverno, una speranza di pace.

    Gli va bene tutto, gli va bene il doppio turno proposto da Matteo Renzi, ha accolto con una scrollata di spalle la notizia (attesa) che il 10 aprile sarà deciso il suo affidamento in prova ai servizi sociali, e ormai ha accettato persino l’idea che il governo possa durare, “così Letta un anno di vita lo guadagna”, lo ha avvertito al telefono Denis Verdini, l’uomo della trattativa. E insomma per Silvio Berlusconi si sta schiudendo, con l’inverno, una speranza di pace. Certo il Cavaliere rimane un commediante intenso, se non sovrano, dunque sempre capace d’improvvise acrobazie e repentini cambi d’umore, eppure “si respira un’aria nuova”, dice Daniela Santanchè, “d’entusiasmo e di speranza”, esagera la Pitonessa. Il Giornale titola “La guerra è finita”, e poi titola “Rosiconi” indirizzato all’obliqua furia della sinistra diessina del Pd. Ma ad Arcore tira aria di champagne, per il momento. “Renzi non ha pregiudizi, non soffre il malanno dell’ideologia”, esulta Mariastella Gelmini, “ha una visione pragmatica, punta al risultato, cioè a una legge elettorale che garantisca stabilità e governabilità. Non era mai accaduto prima, con nessuno degli interlocutori con i quali, a sinistra, Berlusconi aveva cercato di dialogare”. E insomma non si vota – pare – il Cavaliere ha accettato il doppio turno – pare – e ha accettato persino l’idea di riformare il Senato (così pare), anche se ci vorrà almeno un anno. Il Sultano di Arcore in fondo pensa che un anno da “padre della patria” – sono parole sue – sia sempre meglio di vedere subito un altro leader alla guida del suo centrodestra, Giovanni Toti o chiunque altro, un candidato alle elezioni che non sia lui medesimo, Berlusconi Cavalier Silvio. “Adesso può nascere una nuova Repubblica”, si sbilancia Altero Matteoli, e Maurizio Gasparri si spinge fino a dire che “se si concorda un programma, non escludo che Forza Italia torni al governo”. E tutte queste parvenze sono giustificate, corrispondenti a una verità di Berlusconi, ma non la esauriscono. Di fronte agli occhi del Cavaliere ora si estende il quasi sconfinato oceano da cui sorgono le bufere e i miraggi.

    Gli ingranaggi della giustizia sono implacabili e il sorriso del Cavaliere si raggela improvvisamente quando pensa alla penombra ingrata dei servizi sociali, e allora sembra che il mondo luttuosamente si scolori. Ma poi una speranza vibra nel cuore, l’accordo con Renzi gli ha restituito quel tanto di fiducia nel destino che forse gli era venuta a mancare. Così ieri Berlusconi ha provato una profonda soddisfazione per le parole che il segretario del Pd ha pronunciato alla direzione del suo partito. La legittimazione da parte dell’avversario è sempre stata un suo pallino, dunque ieri il Cavaliere ha potuto indossare i panni dello statista, che tanto gli piacciono, immedesimandosi: “Renzi ha rappresentato in modo chiaro e corretto il contenuto dell’intesa che abbiamo raggiunto e che offriamo con convinzione al Parlamento e al paese”. Dunque pensa di poter sopravvivere a lungo imperando sulla tribù di Forza Italia, patriarca incandidabile, non domabile dalla frusta giudiziaria, ma costretto ai servizi sociali. In Berlusconi c’è una calibrata follia. La sua disinibizione consumata e potente adesso lo spinge a rivolere Angelino Alfano accanto a sé, e ogni tanto lo dice pure, con molle e distratta innocenza: “Dovrebbe tornare. Tornerà”. Perché come spiega Gasparri, con prosaica evidenza, “ormai è ancora più chiaro di prima. Gli amici del nuovo centrodestra hanno fatto una gran cazzata ad andarsene”. E se Alfano sostiene di non sentire Berlusconi da Capodanno, alla corte di Arcore c’è invece chi racconta di telefonate frequenti. “Dovrebbero ripensarci”, dice persino la Pitonessa Santanchè, “come minimo dovranno fare un’alleanza con noi”. Anche questo è un effetto del doppio turno, che Berlusconi non ama, ma accetta, almeno finché potrà fare il padre della patria.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.