Eccoci sotto le forche di Benevento

Salvatore Merlo

Angelino Alfano la conforta, le dice “brava”, mentre tutt’intorno nei corridoi di Montecitorio e nella piazza del Parlamento, di fronte al Palazzo mezzo vuoto, i deputati del Pd e di Scelta civica si rimpallano un’altra parola, ma se la scambiano come di contrabbando: “Dimissioni”. Persino Pippo Civati, scavezzacollo com’è, scopre la virtù del dire e non dire, “non chiedo le dimissioni della De Girolamo come invece feci per il ministro Cancellieri, ma penso che dovrebbe fare un passo indietro perché la vicenda è imbarazzante”. Non chiede le dimissioni, eppure le vuole.

    Angelino Alfano la conforta, le dice “brava”, mentre tutt’intorno nei corridoi di Montecitorio e nella piazza del Parlamento, di fronte al Palazzo mezzo vuoto, i deputati del Pd e di Scelta civica si rimpallano un’altra parola, ma se la scambiano come di contrabbando: “Dimissioni”. Persino Pippo Civati, scavezzacollo com’è, scopre la virtù del dire e non dire, “non chiedo le dimissioni della De Girolamo come invece feci per il ministro Cancellieri, ma penso che dovrebbe fare un passo indietro perché la vicenda è imbarazzante”. Non chiede le dimissioni, eppure le vuole. Gli equilibri di potere, il destino incerto del governo di Enrico Letta e i rapporti personali tappano la bocca all’Italia politica, nessuno dice fino in fondo quello che pensa, e il Parlamento, di solito così sguaiato, lo stesso luogo dei cappi penzolanti e della mortadella, per un giorno è come avvolto da un incantesimo di seta, un gioco di delicate sordine, uno strano e imbarazzato minuetto di omissioni e timide ammissioni. “Se fare un passo indietro può essere utile a dare più serenità anche al governo, vale la pena prendere in considerazione l’eventualità”, mormora Dario Nardella, che pure è uomo di Renzi, e di quel mondo (di solito) condivide il linguaggio esplicito. E c’è un che di strano, come se i volti, le parole, i toni, non corrispondessero più tra loro. Sparuto, solo un deputato di Sel espone un cartello, e per un attimo par di riconoscere l’Italia e i suoi rappresentanti, “non mi occupo di agricoltura, ma di Asl e bar”, si fa in tempo a leggere prima che arrivino i commessi a censurare l’onorevole contestatore. Ma è da solo. L’Aula è vuota, e il deputato più vicino sembra stare a un chilometro di distanza, le voci rimbombano come nelle navate d’una chiesa. E i giornalisti – che sono più degli onorevoli – osservano questo solitario deputato di Sel con la stessa curiosità con cui si può guardare un uomo in cravatta sulla spiaggia ad agosto. Così Nunzia De Girolamo legge la sua difesa, incespicando, eppure aggressiva nel descrivere la sua tragedia sannita, ma lo fa di fronte a una Camera che non c’è, “l’impalcatura dello stato democratico è sovvertita da manovratori occulti”, dice. “Questa vicenda è kafkiana, a leggere i giornali sembra che sia io a essere sotto inchiesta. Voglio chiarire tutto affinché mia figlia nei prossimi anni possa andare a testa alta e sapere che sua madre mai e poi mai ha abusato del suo ruolo di deputato e mai e poi mai ha calpestato la bandiera cui si inchina ogni mattina quando entra nel suo ufficio”. Ma i colleghi deputati non ci sono, non la ascoltano, dunque non hanno il problema di doverle credere, anche se chiudendo gli occhi sembra ancora di sentirla parlare come nelle registrazioni di Pisapia: “Mandagli i controlli e vaffanculo!... ’Sti stronzi! Stronzi!”. Ed è per evitare l’imbarazzo di cui parla Civati che i deputati della sinistra di Francesco Boccia, il marito del ministro, come quelli della destra berlusconiana da cui De Girolamo proviene, hanno disertato la seduta. L’unico gruppo rappresentato per intero, favorevole al ministro, è quello di Alfano. Sono gli unici ad applaudire, persino Boccia resta immobile, le mani sulle guance. Tace Letta, mentre parole che si credevano morte – rimpasto, governo bis – tornano ad affacciarsi sul proscenio, come sempre accade nei momenti in cui la politica è disperata. Il M5s ha presentato una mozione di sfiducia che dovrà adesso venire calendarizzata. E il silenzio di Montecitorio, il suo vuoto straniante, la timidezza, l’assenza d’una difesa così come d’un attacco, la svogliatezza con cui si è svolto questo surreale dibattito forse valgono già come una mozione di sfiducia. Ma sono anche il segno un po’ ridicolo d’un cortocircuito familiare e politico, il ricamo sgangherato su uno scandalo provinciale. “Non chiediamo le dimissioni del ministro ma riteniamo opportuno che valuti se si trova a suo agio nel governo”, sibila, delicata, Stefania Giannini, segretario di Scelta civica. Nessuno chiede le dimissioni, eppure tutti le vogliono.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.