Dire l'indicibile

Guido Vitiello

Due sono le categorie di persone per le quali si ricorre, quasi di prammatica, all’ossimoro “dire l’indicibile”: i mistici e i sopravvissuti di Auschwitz. Da oggi dobbiamo aggiungerne una terza, i magistrati del processo sulla trattativa, che – lo ha detto domenica Barbara Spinelli a un incontro del Fatto quotidiano in loro sostegno – “cercano di dire l’indicibile”. Che cosa accomuni l’inchiesta palermitana alla Shoah è difficile a dirsi, ma è pur vero che Travaglio chiama il processo “la Norimberga italiana” e usa l’epiteto “negazionisti” per quanti mettono in dubbio l’impianto dell’accusa.

    Due sono le categorie di persone per le quali si ricorre, quasi di prammatica, all’ossimoro “dire l’indicibile”: i mistici e i sopravvissuti di Auschwitz. Da oggi dobbiamo aggiungerne una terza, i magistrati del processo sulla trattativa, che – lo ha detto domenica Barbara Spinelli a un incontro del Fatto quotidiano in loro sostegno – “cercano di dire l’indicibile”. Che cosa accomuni l’inchiesta palermitana alla Shoah è difficile a dirsi, ma è pur vero che Travaglio chiama il processo “la Norimberga italiana” e usa l’epiteto “negazionisti” per quanti mettono in dubbio l’impianto dell’accusa. Più misteriosa ancora è l’analogia tra la rivelazione giudiziaria degli arcani di stato e le estasi di una Maria Maddalena de’ Pazzi, ma anche qui c’è materia per qualche congettura. L’ipotesi più semplice conduce al tardo stile profetico di Barbara Spinelli, che scrive ormai come una Simone Weil all’acqua di rose (o all’acqua di Bose) componendo arditi intrecci teologico-politici tra cui spicca, nell’ultimo libro “Il soffio del mite”, l’accostamento tra Berlusconi e la seconda bestia dell’Apocalisse giovannea.

    Anche sul palco del teatro Golden di Palermo, dove sedeva, in tenuta da badessa, tra Padellaro e Travaglio a mo’ di bue e asinello, ha voluto esordire con le parole di Isaia e chiudere con quelle di Pilato al Sinedrio.
    Eppure ho il sospetto che quell’ossimoro, dire l’indicibile, sia la spia linguistica di qualcosa di più vasto. Non si tratta di una mera citazione dalla lettera di Loris D’Ambrosio sugli “indicibili accordi”, e anche se fosse resterebbe da chiedersi perché l’aggettivo ricorra così spesso nella pubblicistica sulla trattativa. Da un libro di Ingroia: “C’è una verità indicibile nelle stanze del potere, un potere non conoscibile dai cittadini che si nasconde”. Mezza dozzina di topoi del linguaggio mistico racchiusi in una frase – le stanze (il “Castello interiore” di Teresa d’Avila), la “non conoscenza” dell’anonimo trecentesco, il deus absconditus e, appunto, l’indicibile. Sono, le mie, spigolature di un ozioso, ma chissà che non aiutino a rispondere alla domanda che il Fatto ha scelto come titolo dell’incontro: “A che punto sono la mafia e l’antimafia?”. Che l’antimafia palermitana, almeno dai tempi di Orlando, abbia preso un vistoso aspetto devozionale, d’impronta mezzo cattolica e mezzo folclorica, è cosa ben nota. Ma si può ipotizzare che, accanto a questa “religione civile” vernacola, se ne stia stabilendo una in lingua, più spirituale ed esoterica, e che questo accada proprio per le immani aspettative generate in alcuni dal processo sulla trattativa, quelle di una resa dei conti storico-morale che riguarda tutta la nazione. E’ una religione civile che ha i suoi testi sacri, i suoi santi e i suoi martiri, e che si fonda sull’annuncio millenaristico dell’Armageddon tra lo stato e l’Antistato, categoria così fumosa da essere ormai un’ipostasi teologica, un equivalente politico dell’Anticristo.

    Chi vorrà un giorno studiare questa nota esoterico-religiosa che risuona nel discorso antimafia farà bene a riascoltare parola per parola l’intervento di Barbara Spinelli. A guidare le schiere dell’apocalittica battaglia saranno gli arcangeli togati che “lavorano per la verità”, “convinti che lo stato dura ma l’Antistato può perire” (versione secolare del “non praevalebunt”), e spetterà a loro sconfiggere gli angeli ribelli che si sono messi al servizio dell’Antistato. A proteggerli sarà il fervore dei fedeli (“siamo le loro sentinelle”) in vista del giorno del giudizio in cui ciò che è nascosto sarà rivelato e la Repubblica potrà essere rifondata: nuovi cieli e nuova terra (“questo vogliamo, difendendo i magistrati: un clima ‘costituente’”).

    Ecco, su una cosa Barbara Spinelli ha ragione: le polemiche di Sciascia sono roba d’altri tempi. Non è più l’ora dei professionisti dell’antimafia. E’ l’ora dei profeti, dei chierici, dei carismatici e delle badesse.