Il sillogismo del proporzionale

Salvatore Merlo

“Si può votare, si può votare benissimo con il sistema proporzionale che ci ha restituito la sentenza della Corte costituzionale. Il maggioritario in Italia ha fallito, la Repubblica è rimasta parruccona e ingovernabile. Napolitano credo si dimetterebbe, meglio questo che un altro pasticcio”. Piccolo, lievemente curvo in un golfino grigio, il volto che raggia un’intelligenza vitale, a marzo Emanuele Macaluso compirà novant’anni, “l’età della ragione” dice scherzando mentre si cala con precauzione nella poltroncina coperta di cretonne rosso in questa stanza che gli fa da studio  ma anche da salotto ingombro di libri e di giornali, nella sua vecchia casa al quartiere Testaccio.

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    “Si può votare, si può votare benissimo con il sistema proporzionale che ci ha restituito la sentenza della Corte costituzionale. Il maggioritario in Italia ha fallito, la Repubblica è rimasta parruccona e ingovernabile. Napolitano credo si dimetterebbe, meglio questo che un altro pasticcio”. Piccolo, lievemente curvo in un golfino grigio, il volto che raggia un’intelligenza vitale, a marzo Emanuele Macaluso compirà novant’anni, “l’età della ragione” dice scherzando mentre si cala con precauzione nella poltroncina coperta di cretonne rosso in questa stanza che gli fa da studio  ma anche da salotto ingombro di libri e di giornali, nella sua vecchia casa al quartiere Testaccio. Yasser Arafat sorride dentro una cornice avorio, sensuale e rivoluzionaria ammicca una femminea trinacria di Renato Guttuso (“me la regalò per le elezioni regionali in Sicilia, negli anni Settanta”). E dunque, mentre Denis Verdini ordisce la trama d’un patto tra il suo Cavaliere inafferrabile e Matteo Renzi sul sistema spagnolo, mentre l’intendenza del Pd si prepara ad accogliere a fischi nel suo umorale ribollire Silvio Berlusconi al Nazareno, e insomma nel momento in cui s’è messa in moto la politica spettacolare e ultramaggioritaria di questi due leader ribaldi, così diversi eppure così simili, lui, Macaluso, l’ultimo dei riformisti amendoliani, aggrotta la fronte e manifesta un neghittoso scetticismo siciliano: “Renzi è come Mario Segni”, sentenzia. “Voi che siete giovani, come Renzi, forse non ve lo ricordate Segni”, dice il vegliardo con un tono un po’ tenero e un po’ dispettoso (“essere giovani è bello, ma lo siamo stati tutti. Non è precisamente una qualità unica. A ventitré anni ero nella segreteria nazionale della Cgil, Romagnoli ne aveva ventitré anche lui, Pajetta era a capo della proganda del Pci a trentaquattro, Amendola ne aveva quaranta, Longo ci sembrava vecchio perché ne aveva quarantacinque. E poi nemmeno mangiare i panini di Eataly è una gran novità, io e Berlinguer ci facevamo la rosetta con la mortadella in segreteria a Botteghe Oscure”). E dunque Renzi è uguale a Segni? “Certo. La somiglianza è incredibile. Anche lui era il jolly della situazione”. Spaccava il culo ai passeri. “Eccome no? Segni era tutto, e i giornali se lo bevevano golosi: Segni che fa il referendum, Segni che spacca la Dc, Segni che è indicato alla presidenza del Consiglio, Segni che fonda il patto Segni, Segni che piace a Berlusconi, Segni che immagina un nuovo Partito democratico…”. E poi com’è finita? “Nel nulla, aveva in mano il biglietto vincente della lotteria”. Ma lo ha perduto. “E anche Segni era fissato col maggioritario. Proprio come Renzi che propone il sistema spagnolo, più un quindici per cento di premio; propone il Mattarellum, più un quindici per cento di premio; propone il doppio turno, più un quindici per cento di premio. Insomma lui alle elezioni prende all’incirca il 30 per cento dei voti, ma vuole il sessanta per cento dei seggi. E io mi chiedo: Ma ‘picchì’?, ma perché?” (Macaluso è convinto che non avere accento, sfuggire le reminiscenze regionali equivalga a dare alle parole un che di neutro, d’inconsistente, dunque ogni tanto lascia cadere un’inflessione dialettale): “Ma picchì?”, si chiede con una risatina metallica, e contagiosa: “Una legge fatta così è una forzatura democratica, che già contrasta con la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha bocciato il premio di maggioranza del Porcellum”.

    “In mancanza delle riforme istituzionali, è auspicabile che si vada a votare il prima possibile con il proporzionale. Il maggioritario non funziona, l’Italia è instabile da vent’anni. Non ha funzionato con Berlusconi, non ha funzionato con Prodi”. Ma Renzi e Berlusconi pare si stiano accordando sul sistema spagnolo, con il premio di maggioranza. “Il patto non può escludere Alfano, che lo spagnolo non lo vuole. Con i suoi numeri in Parlamento Alfano ha un potere fortissimo e la Corte costituzionale, che ha restituito una magnifica legge elettorale con uno sbarramento all’8 per cento in Senato e al 4 alla Camera (e un tetto minimo del 10 per cento per le coalizioni), gli ha dato la pistola in mano. Se Berlusconi e Renzi si accordano, Alfano può aprire la crisi, e senza governo non si fanno leggi: si vota così, con questo proporzionale. E Sarebbe la soluzione migliore”. Detta così sembra un paradosso. “Non lo è. Il guaio è pensare che il sistema elettorale sia una medicina ai guasti del sistema politico. In Italia abbiamo un sistema parlamentare imposto dalla Costituzione ma con partiti deboli, e la crisi economica s’è attorcigliata su una preesistente crisi politica. E’ come una casa costruita su fondamenta fradice. Visto che le riforme istituzionali non le vogliono fare, malgrado le raccomandazioni di Napolitano (altrimenti perché discutere di legge elettorale?), allora è meglio il voto subito e con un sistema, quello proporzionale, col quale inaugurare una legislatura costituente davvero legittimata. L’Assemblea costituente del 1946 fu eletta col proporzionale, non a caso, perché offre il massimo della rappresentanza”. E Macaluso fissa lo sguardo come volesse contemplare la politica nella sua carnale interezza, paternamente ammonitore: “Sul tavolo della politica non ci sono proposte e forze in grado di affrontare la crisi di sistema. Il Pd vive in un eterno presente, il mondo di Berlusconi è un marasma inafferrabile, Alfano è poca cosa, Grillo è un partito web che fa solo opera di distruzione ma senza offrire soluzioni. E poi ci si chiede perché Napolitano esercita un ruolo così forte. E’ ovvio che il presidente tenti di surrogare gli altri poteri pazzi. Per uscirne bisogna decidere cosa siamo: parlamentaristi? presidenzialisti? semipresidenzialisti? E scriverlo nella Costituzione. Per intanto la nostra è una Repubblica parlamentare”. E il sillogismo di Macaluso è semplice: i sistemi parlamentari funzionano con partiti forti e rappresentativi, i partiti forti e rappresentativi si nutrono di proporzionale, il proporzionale è il meglio che c’è.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.