Alchimie per nuovi capi

La monarchia anarchica tra successione dinastica e investitura di Mr. Toti

Salvatore Merlo

Chiuso ad Arcore Silvio Berlusconi ascolta tutti, prevede tutto, aggiusta tutto. E lo fa col suo sorriso un po’ incantato che spesso diventa il sorriso eroico del padrone, se no inalberando sul viso quell’aria stanca propria dei tipi instancabili come lui: vuole promuovere Giovanni Toti, ma non vuole scontentare Denis Verdini, asseconda il desiderio del cambiamento, ma non coltiva intenzioni punitive, ha una parola buona per ciascuno.

    Chiuso ad Arcore Silvio Berlusconi ascolta tutti, prevede tutto, aggiusta tutto. E lo fa col suo sorriso un po’ incantato che spesso diventa il sorriso eroico del padrone, se no inalberando sul viso quell’aria stanca propria dei tipi instancabili come lui: vuole promuovere Giovanni Toti, ma non vuole scontentare Denis Verdini, asseconda il desiderio del cambiamento, ma non coltiva intenzioni punitive, ha una parola buona per ciascuno. E intanto guadagna tempo, mentre nelle notti insonni del suo partito e della sua corte si diffondono voci, si esercita la modernissima arte dello spin, s’ode un allegro rullare di tamburelli, e dunque c’è chi soffia all’orecchio del Fatto che “è deciso, Toti sarà coordinatore unico di Forza Italia” – ed è vero – e chi invece suggerisce al Corriere che “è fatta, Toti è sconfitto. Sarà semplicemente il capolista delle europee” (ed è vero anche questo). Perché Berlusconi ha deciso già tutto, ma anche il contrario di tutto. E così, in questa dimensione eternamente sospesa, l’inesausto ricercatore, il Cavaliere insondabile, si tormenta, si ripete, si corregge di continuo, mentre ciascuno dei suoi uomini, il taciturno e ombroso Raffaele Fitto come l’emergente e scalpitante Toti, brucia, dissimulandola, una scoria di tristezza: i tanti cavalli del Cavaliere si adeguano alle spire contraddittorie della vita di corte con un soffio di animosa rassegnazione. Ma cosa accadrà allora? Giovanni Toti, il direttore unico di Studio Aperto e del Tg4, è davvero l’erede del Cavaliere, come in passato, nell’altalena delle sue voglie, Berlusconi incoronò Maurizio Scelli, Michela Vittoria Brambilla, Angelino Alfano? “Forza Italia non è un partito, non lo è mai stato. Siamo un movimento politico, siamo una monarchia anarchica, siamo la prima lista civica d’Italia. Qui da noi non può esistere un’alternativa alla leadership di Berlusconi”, dice Daniela Santanchè, imparzialmente divisa fra eccitazione, contentezza e ansietà. E quando la Pitonessa pronuncia la parola “Berlusconi” non intende soltanto Silvio Berlusconi, la persona in carne e ossa, “ma un brand”, dice, “un marchio che è la nostra forza”. E dunque la donna più tosta di Forza Italia allude alla soluzione dinastica, all’immortalità se non dell’uomo almeno del nome, forse pensa a Marina, o a chissà chi, alla perpetuazione della specie berlusconiana come unica via per un futuro che potrebbe essere aspro ma dovrà anche essere degno. “Noi siamo un’altra cosa rispetto al Pd, che ha bisogno di scovare sempre nuovi leader nel suo mucchio confuso”. E insomma eredi, che non si chiamino Berlusconi, non possono esistere, dice la Pitonessa.

    Altrimenti avrebbe ragione Angelino Alfano, l’ex segretario del Pdl che immagina primarie aperte per la guida del centrodestra, in previsione delle elezioni politiche. “Ma il nostro mondo”, dice Santanchè, “non è fatto di contendibilità della leadership. Non è possibile, non è pensabile”. Né Alfano, né Toti, né nessun altro, dunque. E la memoria corre al passato più recente, alla fondazione del Pdl, alla fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale, quando venne chiesto a Ignazio La Russa, allora braccio destro di Gianfranco Fini, se al congresso fondativo il leader di An si sarebbe candidato contro Berlusconi per la presidenza del nuovo partito. “Fini non è un matto da neurodeliri”, rispose La Russa. “Noi dobbiamo pensare a cosa proporre, dobbiamo dare un’idea per l’Europa, per le tasse che asfissiano l’economia, dobbiamo parlare una lingua chiara. E invece discutiamo troppo di una questione che non esiste: il problema della leadership”, dice Santanchè. “Berlusconi può scegliersi i suoi collaboratori”, spiega la Pitonessa, alludendo a Toti (“che stimo moltissimo”). “Ma deve decidere nel rispetto di chi si è impegnato, di chi ha lavorato, di chi ci ha creduto. I ruoli e le promozioni uno se li deve meritare”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.