Tira più un pelo di Premier

Jack O'Malley

In 109 anni l’Hull City non aveva mai sconfitto il Liverpool – e del resto è stato in Premier per tre stagioni in tutto – e ha deciso di iniziare questa gioiosa tradizione proprio quando i Reds avevano bisogno assoluto di punti per non scollarsi dal gruppo che marcia compatto in testa, con il solito Arsenal a fare l’eterna prima dopo una vita passata a fare l’eterna seconda. Una volta i giocatori si toccavano il ginocchio o la caviglia dopo un gol sbagliato a porta vuota, pestavano zolle irregolari del terreno per giustificare gli errori, trovavano scuse plastiche per non dover ammettere l’ovvio. Ora il giustificazionismo ha raggiunto nuove frontiere: l’accusa di insulto razzista, come se l’insulto o il razzismo fossero novità dell’ultim’ora.

Leggi Crippa La sindrome del pareggio - Pace Ora d'aria - Giuli Ultras bergamaschi, montanari gentiluominiFox Arbitro cornuto

    Londra. In 109 anni l’Hull City non aveva mai sconfitto il Liverpool – e del resto è stato in Premier per tre stagioni in tutto – e ha deciso di iniziare questa gioiosa tradizione proprio quando i Reds avevano bisogno assoluto di punti per non scollarsi dal gruppo che marcia compatto in testa, con il solito Arsenal a fare l’eterna prima dopo una vita passata a fare l’eterna seconda. L’Hull però è riuscita a rovinarsi la festa innaffiandola con la solita polemica sterile del proprietario Assem “Cristiano” Allam, che vuole assolutamente cambiare il nome della squadra in Hull Tigers, un sogno degno della Nba o di una squadra giovanile allenata da Gianni Riotta (il quale, vale la pena ricordarlo, aspetta a braccia aperte Roberto Saviano in fuga per la libertà). I tifosi tengono molto all’appellativo informale di Tigers, ma non ne vogliono minimamente sapere di cambiare nome per assecondare i desideri di un padrone capriccioso. L’Hull City si tiene stretto il suo nome, punto.

    Leggi Crippa La sindrome del pareggio - Pace Ora d'aria - Giuli Ultras bergamaschi, montanari gentiluominiFox Arbitro cornuto

    Caldo sereno. Mancano sei mesi al Mondiale in Brasile e già abbondano i luoghi comuni. E’ di questi giorni l’allarme-caldo lanciato dal sindacato mondiale dei calciatori. Alcune partite del Mondiale verranno giocate alle 13, e logica vuole che tutti sappiano che a quell’ora fa più caldo che alle 20.30. Eppure per arrivarci quelli del sindacato hanno fatto una serie di esperimenti molto belli: nel luglio scorso hanno fatto ingoiare una capsula termometro a 80 atleti che poi sono scesi in campo in varie città del Brasile. Dopo 25 minuti hanno controllato la temperatura corporea dei giocatori e si sono accorti che raggiunge quella toccata dai tagliatori di canna da zucchero. Non male esserci arrivati a tre giorni dai sorteggi delle partite. Bastava riguardarsi i filmati di Usa ’94, quando i giocatori svenivano per i crampi nel crudele luglio di Los Angeles: adesso Blatter ha poche ore per sistemare la cosa e cambiare gli orari dei match. Vorrà dire che finalmente farà qualcosa oltre a mangiare, fare imitazioni e soldi con gli arabi.

    Siamo tutti wags. Caroline Berg Eriksen è la moglie di un dimenticabile calciatore della Premier league norvegese, dunque è una wag, e in quanto tale si trova perfettamente a suo agio nello svolgere le attività tipiche della sua categoria sociale, prima fra tutte quella di farsi delle foto a caso con pochi vestiti addosso e condividerle su un social network a scelta. La Eriksen ha messo online parecchi centimetri di pelle, con risultati che hanno ottenuto la “vivissima approvazione”, come direbbe un capo di stato in visita all’estero, del pubblico maschile. Poi ha documentato puntualmente i vari stadi della sua gravidanza. E va bene, la wag ha dei doveri sociali da rispettare. Il problema è venuto fuori quando ha postato un selfie in biancheria intima quattro giorni dopo il parto, roba da far sembrare flaccida Miley Cyrus, e figurarsi le altre donne normali che hanno inscenato su Instagram una virtuale lotta nel fango non senza ragioni. “Non sembra nemmeno che apparteniamo alla stessa specie” ha scritto una, interpretando sentimenti popolari assai diffusi. D’accordo la perfezione fisica, il narcisismo, la dissipazione da autoscatto e tutto il resto, ma il mondo non è pronto per la wag che sbatte in faccia al mondo la sua superiorità antropologica.

    Come Mario Sechi e Alessandro Giuli anche Kelly Hall tifa West Ham

     

     

     

     

     

     


    I vecchi hanno sempre ragione. Succede che alla disperata ricerca di qualcosa di originale si incappi nel già visto, banale e ripetuto. La maggior parte delle volte questo succede con i giovani, più propensi a dare risposte prandelliane e a ripetere la lezione a memoria. Cosa che raramente capita con i grandi vecchi (se non ancora affetti da Alzheimer). Di passaggio in Italia, domenica sera ho fatto un salto negli anni Ottanta e ho guardato la “Domenica sportiva”. Quelle luci sparate sul volto della Ferrari per ringiovanirla di una trentina d’anni, le banalità di Collovati, la grafica fatta con Windows Paint, i servizi degli inviati con più pause di un discorso di Romano Prodi e le battute di Gene Gnocchi più bollite del Manchester United. Ospite in studio, Emiliano Mondonico: dopo il servizio sui disordini di Bergamo la Ferrari gli chiede come fare per impedire ancora certe vergogne, forse inasprire le leggi? Candido e liberale, Mondonico le fa notare che le leggi, aspre, già ci sono, e che vengono pure applicate. Gli ultras lo sanno, ma se ne fottono. Gelo in studio, e Ferrari che chiude con un paio di banalità sulla violenza negli stadi. Lunedì mattina su Radio1 è intervenuto invece Trapattoni, che dopo una serie di aneddoti clamorosi ha fatto la supercazzola a Casarin, che lo invitava – una volta lasciata la panchina – a insegnare ai giovani il suo mestiere. Ineffabile Trap, che risponde più o meno: “Ma, vedi, io quando vedo certi portieri che invece di fare il lancio lungo passano la palla alla difesa quando manca un minuto e bisogna recuperare – e tempo che la palla è su è già finita la partita – io mi arrabbio e dico di lanciare lungo”. Casarin sta ancora cercando di capire che cosa ha detto. Avercene.

    Juve coreana. Quanto sono furbi, alla Juventus. Con la paraculaggine di cui solo gli Agnelli sono capaci, hanno trasformato uno svantaggio in occasione di lode da parte dei perbenisti del calcisticamente corretto. Con le due curve entrambe squalificate per quella regola demenziale della discriminazione territoriale, i bianconeri sono andati in tutte le scuole della città a chiedere ai bambini chi di loro volesse assistere al match contro l’Udinese gratis in curva. Ovviamente si è iscritto chiunque, anche piccoli tifosi di Torino, Napoli, Milan e Inter. Che bravi, che bello, finalmente il calcio nelle innocenti mani dei bambini, che con i loro occhi stupefatti possono godere senza pregiudizi delle cavalcate dei propri beniamini sul manto verde, e che con le loro flebili voci possono sostituire gli odiosi buuu e i vaffanculo con più sportivi viva! e alè! Per fortuna, però, che la deportazione in stile coreano della Juventus dalle scuole torinesi non aveva tenuto conto di un aspetto, e cioè che questi bambini ancora non sono stati educati alla coreana, cioè ad applaudire a comando e a dire bravo all’avversario. Quando, al primo rinvio del portiere dell’Udinese, dalla curva un coro di voci bianche ha scandito “Ooooooooh, merda!”, ho sorriso. Ma mai quanto al primo coro contro l’arbitro. Adesso che faranno, squalificheranno pure i bambini?

    Facce vince. Erick Thohir era in tribuna a San Siro per Inter-Sampdoria. A sinistra, la sua esultanza dopo il gol di Guarín. A destra il suo sconforto dopo il pareggio dei blucerchiati

     

     

     

    Razzismi. Una volta i giocatori si toccavano il ginocchio o la caviglia dopo un gol sbagliato a porta vuota, pestavano zolle irregolari del terreno per giustificare gli errori, trovavano scuse plastiche per non dover ammettere l’ovvio. Ora il giustificazionismo ha raggiunto nuove frontiere: l’accusa di insulto razzista, come se l’insulto o il razzismo fossero novità dell’ultim’ora nei rapporti umani sui campi di calcio. Si corre dall’arbitro denunciando un sopruso a sfondo razziale, una discriminazione territoriale, una qualche forma di sopruso etnico, ci si rifiuta di giocare, si minaccia di abbandonare il campo e tutte le moviole si indirizzano, invece che sul vivo dell’azione, sul labiale incriminato alla ricerca del “negro di m…” sul quale inchiodare il suprematista bianco in trasferta. Il razzismo è una brutta bestia, premessa ovvia come una telecronaca della Rai, ma la rivendicazione in forma pubblica di ciò che dovrebbe rimanere sul campo è faccenda a suo modo perniciosa. Una volta dispute del genere si risolvevano nello spazio fra il garretto e il parastinco, ora sono merce per il teatrino del politicamente corretto e vie di fuga per giocatori inconcludenti. 

    ***

    TAGLI DI LUCE POTENTI
    I migliori tweet di Aldo Serena

    Perle di saggezza, foto poetiche, pensieri improvvisi regalati ai follower e luoghi comuni da commentatore collettivo. Non seguire Aldo Serena su Twitter sarebbe come non leggere la Gazzetta il lunedì, un piacere non necessario ma fondamentale. Questa rubrica intende salvare i tweet migliori dell’ex punta di un po’ tutte le squadre perché non vengano obliati nelle timeline di tutto il mondo.

     

     

     

     

    (Il 27 novembre Aldo Serena risponde kerouachianamente così a @GinoTweet che gli scrive: “Felicissimo di averti come compagno della serata di Coppa. Mi piace sempre il tuo commento tecnico pacato e preciso”)