I Lupi e i Formigoni nel bestiario orrendo dei sepolcri imbiancati

Giuliano Ferrara

Ho molto amato il popolo ciellino e alcuni dei loro leader che si esposero con passione e foga rudimentali ma autentiche nelle battaglie culturali dei primi anni del nuovo secolo. Non posso non detestare l’ala politica e business che quel popolo sopporta, ha sopportato e sopporterà in nome del valore dell’obbedienza gerarchica così radicato, non senza grandi ragioni di cuore e di fede ecclesiale, nei cristiani, anche in quelli di movimento.

Ferrara Perché Napolitano non deve temere il voto degli italiani - Sechi Ristrette intese

    Ho molto amato il popolo ciellino e alcuni dei loro leader che si esposero con passione e foga rudimentali ma autentiche nelle battaglie culturali dei primi anni del nuovo secolo. Non posso non detestare l’ala politica e business che quel popolo sopporta, ha sopportato e sopporterà in nome del valore dell’obbedienza gerarchica così radicato, non senza grandi ragioni di cuore e di fede ecclesiale, nei cristiani, anche in quelli di movimento.

    Rivedo Maurizio Lupi che regge la coda battesimale di Magdi Cristiano Allam e mi sembra il solito incubo di chi combatte per certe idee e incontra il becchino delle cause giuste sul suo cammino. L’idea che si possa scroccare un simbolo di conversione alla presenza di un Papa come Ratzinger, e nei giorni della Pasqua, mi ha sempre fatto ribrezzo, mi è sempre sembrata una cattiva sceneggiatura spiritualista di una specie di Totò-cerca-casa. Ma cosa fatta capo ha, visto che dal giorno dopo, passata la Pasqua, il battezzato non ha fatto che cercare nuovi grotteschi battesimi del fuoco nei meandri e nei recessi più improbabili della politichetta nazionale di serie B (mi pare che il figlioccio di Lupi abbia anche lasciato la chiesa, come ha scritto, e sia di recente inquadrato, dopo molte stazioni di posta senza croce, in Fratelli d’Italia, oooops!).

    Ma a proposito di scrocco, ecco Roberto Formigoni che audacemente si sottopone allo screening televisivo di Santoro dopo l’emancipazione opportunista dei ministeriali, nella cui compagnia recita con entusiasmo. Mamma mia, che spettacolo. Marco Travaglio, che nella circostanza sembrava un angelo da quel demonio che è, gli ha fatto una domandina semplice: che senso avesse mollare Berlusconi una settimana prima della decadenza da senatore senza nemmeno accennare a uno scarto di identità, a un mezzo esame di coscienza dopo vent’anni di fedeltà mielosa e di carrierismo appetitoso. Formigoni avrebbe potuto essere sincero, avrebbe potuto dire che non ce la facevano più, che la sua e quella dei suoi amici opportunisti era una storia individuale e collettiva tutta da riscrivere, che aveva vissuto un dramma tra fede e sacrestia, tuffi e case in Sardegna, buona amministrazione e cattiva amministrazione, disinvoltura, sobrietà da memores domini, lussi da favorita d’alto bordo: tutto questo avrebbe potuto dire, guadagnandosi se non altro la credibilità personale minima necessaria di un peccatore in cerca di perdono, aggiungendo che con tanti dubbi si accingeva a verificare se sia possibile continuare a fare politica su una posizione diversa da quella del passato, per questo e per questo e per quest’altro motivo.

    Niente di tutto ciò. Quello che ha parlato con lingua biforcuta e poco evangelica era un burocrate dalla pronuncia di legno, un volto di una ipocrisia irritante, spocchiosa e vana, con un sorriso così tremendamente italiota, un linguaggio del corpo così confortevolmente impacciato, così falso e inelegante da fare venire i brividi anche a un immoralista quale mi ritengo. Si intuiva il progetto di ritessere, con qualche compiacente intervista a Repubblica, e lasciando cadere i compagni d’avventura di un tempo che l’avevano difeso contro i denti aguzzi delle procure e delle inquisizioni mediatiche, un’immagine perbene e accettabile in società al riparo del partito del nipote di Gianni Letta. Roberto Cristiano Formigoni: ora a ribattezzare un infedele e ad aprirgli la via della salvezza non sarebbe più servito un Ratzinger di Pasqua, bastava un Carmelo Lopapa d’autunno.

    Se questi avessero detto: siamo stati protagonisti di un incubo, ci tagliamo i ponti alle spalle, vogliamo costruire qualcosa di nuovo senza rinnegamenti ma nella felice discontinuità e libertà di una scelta, lasciamo il governo per dignità e ci dissociamo dalla linea della nuova Forza Italia per convinzione politica, bah, forse si sarebbero guadagnati un angolo di paradiso tra le persone intelligenti e sincere. Ma passare dal voto per la nipote di Mubarak a quello per il nipote di Gianni con la stessa callidità di sempre è stato, in particolare per leader che avevano giocato la carta cristiana in politica, uno spettacolo che sfida perfino la misericordia di Francesco. Ci vuole lo stomaco di una antica maïtresse-à-penser come Scalfari per considerare nuova destra repubblicana un’accolita di sepolcri imbiancati.

    PS So che un domani si coalizzeranno con Forza Italia, ove necessario e conveniente, e mi va bene così. Non sono un “credente” della politica, e da laico accetto anche l’alleanza fraterna con i miscredenti dell’acqua santa.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.