Algoritmo di Serra

Guido Vitiello

Ricordo una folgorante letterina di Mattia Feltri, qui sul Foglio, che cercava di individuare l’algoritmo della famosa regola dei vent’anni, quella per cui la sinistra riconosce, con vent’anni di ritardo appunto, che alcune cose che aveva ritenuto aberranti, losche, impresentabili, frivole, se non addirittura incarnazioni del male assoluto, a guardar bene tanto cattive non erano. Immagino fosse il 2001, perché l’occasione era il film “La stanza del figlio” di Nanni Moretti, che suscitò un’improvvisa infatuazione di gruppo per il tema della morte.

    Ricordo una folgorante letterina di Mattia Feltri, qui sul Foglio, che cercava di individuare l’algoritmo della famosa regola dei vent’anni, quella per cui la sinistra riconosce, con vent’anni di ritardo appunto, che alcune cose che aveva ritenuto aberranti, losche, impresentabili, frivole, se non addirittura incarnazioni del male assoluto, a guardar bene tanto cattive non erano. Immagino fosse il 2001, perché l’occasione era il film “La stanza del figlio” di Nanni Moretti, che suscitò un’improvvisa infatuazione di gruppo per il tema della morte. La sequenza di passi descritta da Feltri – che si può applicare indifferentemente a Nietzsche, Monicelli, gli album Panini, “Il Signore degli Anelli”, Carosello, la castità, le Kessler, la Mitteleuropa – è questa: 1) Una stronzata di destra; 2) Una commovente scoperta; 3) Da sempre patrimonio della sinistra. Formulazione ammirevole, ma incompleta. A questa efficiente procedura di rimozione, falsa coscienza, cancellazione delle tracce e creazione di una continuità fittizia tra posizioni inconciliabili occorre aggiungere un ulteriore passo, logicamente conseguente, ossia: 4) Chiunque d’ora in poi farà l’affermazione di cui al punto 1 (esempio: “Alberto Sordi è una stronzata di destra”), da noi consensualmente ripudiata, sia deriso e trattato da pusillanime.

    Una dimostrazione cristallina di questo procedimento l’ha fornita Michele Serra sull’Amaca del 21 novembre. L’occasione era la richiesta, avanzata dal Movimento cinque stelle alla commissione Cultura della Camera, di cancellare l’attributo “socialista” dalla legge che istituisce un premio in memoria di Giuseppe Di Vagno, ucciso dai fascisti, sostituendo a “socialismo” la tortuosa perifrasi “cultura sociale, economica, ambientale”. Serra biasima, e come dargli torto, la “modesta caratura culturale” di molti parlamentari grillini, che in casi come questi diventa perfino “oltraggiosa”. Auspica, come minimo, che per questa “scemenza censoria” qualcuno chieda scusa. E si rammarica che i nuovi eletti passino le giornate su internet e non leggano abbastanza libri, perché altrimenti dovrebbero sapere fin troppo bene che socialismo è parola alta e nobile. Da dove sbucano, allora, questi nuovi mostri? Dove nasce questa insultante banalizzazione della storia, che porta a screditare una tradizione tanto gloriosa? Serra pensa di averlo capito: il grillino che ha avuto la pensata è convinto “che ‘socialista’ voglia dire ‘ladro’, come nelle battute di Grillo”.

    Come nelle battute di Grillo. E’ su queste parole che ho perso i sensi, battendo la testa. Credo che il colpo mi abbia causato una temporanea amnesia, perché quando mi sono riavuto continuavo a chiedermi, da insensato: questo Michele Serra sarà per caso lo stesso Michele Serra che, da direttore di Cuore, si dedicò per anni con tenacia metodica e ossessiva a impiantare nei cervelli di sinistra l’equazione socialista=ladro? Lo stesso Serra di quel titolo formidabile e giustamente famoso, “Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti”? Lo stesso Serra di quell’altra copertina di Cuore in cui Gambadilegno, capo della Banda Bassotti, abbandonava il Psi perché, diceva, “rubare negli ospizi per vecchietti turba perfino un socialista della prima ora come me”? Lo stesso Serra che, ricorda Marco Gervasoni nel bel libro “Le due sinistre”, compose per Tango l’identikit del buon socialista che ha come livre de chevet “Le mie prigioni” e come film preferito “Il ladro di Bagdad”? Delle due l’una: o il colpo mi ha davvero annebbiato la memoria, tutto questo non è mai esistito, e lo stereotipo del socialista ladro nasce solo da una battuta di Beppe Grillo a “Fantastico” del 1986; oppure Serra, superata la terza fase (creazione di una continuità compiacente tra presente e passato), è corso difilato alla quarta: denigrazione e richiesta di pubbliche scuse a quegli stessi che ha allevato, fin dalla culla, a suon di socialisti gangster.

    Incerto tra le due ipotesi, ho pensato a lungo su come commentare il caso. Ma disgraziatamente ho più memoria che fantasia, e non posso che rispolverare un altro storico titolo di Cuore: “Dopo un giro di consultazioni, la nostra serena analisi: hanno la faccia come il culo”.