Google logora chi non ce l'ha più

Michela Maisti

Mentre in Italia si pensa a una tassa da fargli pagare, dall’altra parte del mondo Google deve vedersela con i suoi dipendenti. E con la cattiva pubblicità che rischia di travolgere il suo successo finora incontestato. Non solo di mercato, ma anche di modello aziendale. E’ di pochi giorni fa infatti la notizia riportata da un po' di quotidiani anglosassoni di un post apparso lo scorso aprile su Quora, pubblicato in forma anonima da uno dei dipendenti dell’azienda di Mountain View intitolato “Le cose peggiori di lavorare in Google”.

    Mentre in Italia si pensa a una tassa da fargli pagare, dall’altra parte del mondo Google deve vedersela con i suoi dipendenti. E con la cattiva pubblicità che rischia di travolgere il suo successo finora incontestato. Non solo di mercato, ma anche di modello aziendale. E’ di pochi giorni fa infatti la notizia riportata da un po' di quotidiani anglosassoni di un post apparso lo scorso aprile su Quora, pubblicato in forma anonima da uno dei dipendenti dell’azienda di Mountain View dal titolo “Gli aspetti peggiori del lavoro in Google”.

    Nel post il dipendente misterioso, dopo aver intessuto un elogio proforma al più grande motore di ricerca del pianeta e alla sua “positive work culture”, partendo dall’assunto che la media dei profili impiegati dall’azienda risulta “ultraqualificata” rispetto alle mansioni che deve svolgere, inizia a elencare tutta una serie di ragioni per cui lavorare lì dentro può rivelarsi controproducente.
    Per prima cosa, la difficoltà di fare carriera. Stando alle parole del nostro anonimo pare infatti che la scalata ai piani alti del motore di ricerca risulti particolarmente complicata proprio in ragione del livello di preparazione molto elevato che contraddistingue i suoi impiegati. Una sorta di monopolio del merito, per intenderci, che porta all’immobilismo. Seconda nota dolente: talvolta i compiti da svolgere possono risultare non particolarmente stimolanti a livello intellettuale, o addirittura noiosi.

    Terzo e ultimo punto, spesso chi lavora per Google si abitua alla routine e perde qualunque spinta a migliorare.

    L’anonimo tuttavia sembra non voler far perdere ogni speranza ai lettori e conclude il suo post con una precisazione: nonostante i limiti, se si entra in Google, con un po’ di costanza e di sana ambizione si può diventare padroni del proprio destino aziendale. Raggiungendo così le tanto insperate vette del management, e non solo.

    E’ probabile che il pubblico sfogo dell’anonimo impiegato non avrebbe avuto tutta la visibilità che ha avuto, se non fosse stato per il particolare che le sue critiche hanno dato il via a un dibattito piuttosto vivace fra altri dipendenti (ed ex) che si sono affrettati a raccontare le loro pessime esperienze nell’azienda. Togliendosi dalla scarpa macigni, più che sassolini. Così, basta scrollare più giù nella pagina dei commenti al post per scoprire, solo per fare alcuni esempi, che la disciplina, in Google, è un fattore pressoché assente, che tra colleghi ci si manda mail in cui si parla di argomenti a caso, che si cazzeggia, che spesso ci si insulta e che no, di sicuro chi lavora in Amazon (il principale concorrente) a certi spettacolini non deve assistere. Oppure, dettaglio tecnico, che l’azienda tende a non considerare o perfino a cestinare a priori i progetti sviluppati nelle sedi dislocate rispetto a quella centrale di Mountain View. Quando poi ad andare in porto sarebbero solo il 20 per cento delle idee incartate in presentazioni coi fiocchi. Qualcun altro, ancora, arriva perfino a lamentarsi del cibo. Nel quartiere generale di Google ce ne sarebbe troppo in giro, tanto che l’ennesimo utente anonimo – che sostiene di aver frequentato lì un master – si lamenta di aver preso 18 chili. Per noia. Ci si accorge così che non è solo la tv a fare ingrassare, ma anche il lavoro. E si esce fuori da questo brainstorming al contrario con una convinzione, che può prendere la forma di un consiglio, o quella di un rimpianto: ambiziosi di tutto il mondo, rassegnatevi. Se volete diventare qualcuno, non crediate di poterlo fare lavorando per Google. Lì “le decisioni importanti le prendono solo quelli che stanno ai vertici”.