Google Confusion

Alberto Brambilla

Le forze politiche stanno cercando risorse aggiuntive per modificare una manovra finanziaria dai saldi tuttora incerti, a due settimane dall’approvazione da parte dell’esecutivo. Con degli emendamenti alla Legge di stabilità da presentare entro il 7 novembre, il Partito democratico ha intenzione di obbligare le multinazionali di internet a fatturare con partita Iva la raccolta pubblicitaria e le vendite di servizi realizzate nel nostro paese, la cosiddetta “Google tax”.

    Le forze politiche stanno cercando risorse aggiuntive per modificare una manovra finanziaria dai saldi tuttora incerti, a due settimane dall’approvazione da parte dell’esecutivo. Con degli emendamenti alla Legge di stabilità da presentare entro il 7 novembre, il Partito democratico ha intenzione di obbligare le multinazionali di internet a fatturare con partita Iva la raccolta pubblicitaria e le vendite di servizi realizzate nel nostro paese, la cosiddetta “Google tax”. Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, avanzando tale ipotesi ha auspicato un “sì” anche da parte dell’opposizione. Intervistato ieri dalla Stampa, il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, si è detto “favorevole” alla creazione del nuovo regime, così come a una tassazione sulle rendite finanziarie, per incrementare di 2,5 miliardi i finanziamenti statali da destinare nel 2014 a un’ulteriore riduzione del cuneo fiscale per lavoratori e imprese; il tutto in ossequio a un accordo politico tra Pd, Confindustria e sindacati. Tra gli osservatori sentiti dal Foglio c’è scetticismo riguardo alla “Google tax” che interesserebbe multinazionali di dimensioni globali come Google, Facebook, Amazon, che hanno sede fiscale in paesi a regime agevolato come Irlanda e Lussemburgo.

    Secondo l’agenzia stampa Public Policy, i provvedimenti allo studio dei tecnici del Pd riprendono due emendamenti alla legge delega fiscale presentati a settembre da alcuni parlamentari renziani su cui il governo era però scettico. Si chiedeva al governo di prevedere che “chiunque venda campagne pubblicitarie online erogate sul territorio italiano debba avere una partita Iva italiana, ivi incluse le operazioni effettuate mediante i centri media e gli operatori terzi” e di “prevedere l’introduzione, anche in Italia, in linea con le migliori esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle imprese multinazionali basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”, si legge nel testo. Secondo fonti a conoscenza della trattative sulla legge delega, nel governo c’erano dubbi. In primis circa i possibili contrasti con il diritto europeo, per il fatto di imporre a un’impresa globale di divenire “italiana”  attraverso l’obbligo della partita Iva. E poi circa gli effetti politici di un gesto unilaterale dell’Italia nei confronti di altri paesi occidentali riguardo al trattamento fiscale dei colossi del web, proprio mentre al G20 si sta cercando una posizione comune, tuttora in discussione. La Francia, favorevole a un regime di tassazione, intende però portare la questione a Bruxelles, in Gran Bretagna il dibattito è in corso. Il premier inglese, David Cameron, ha recentemente incontrato il capo di Google, Eric Schimdt, senza porgli direttamente il problema. Schimdt non chiede sgravi, bensì regole certe per tutti a livello transnazionale. “Sarebbe una fuga in avanti dell’Italia dal risultato pratico incerto. Le imprese del web non hanno bisogno di noi, possono andare altrove come hanno sempre fatto, siamo noi ad avere bisogno di loro. Le multinazionali sono bellissime, non le tasse”, dice, parafrasando Tommaso Padoa-Schioppa, Piercamillo Falasca, direttore editoriale della rivista Strade e critico della Google tax. Tassa che, inoltre, stride in linea di principio con i propositi del piano Destinazione Italia del premier Enrico Letta, teso ad attrarre gli investimenti esteri.

    Oggi Facebook, Google e Amazon pagano allo stato poco più di 2 milioni di euro. I proponenti della riforma stimano un gettito da almeno un miliardo per la nuova tassa. A una prima analisi la cifra appare eccessiva visto che, nel caso di Google, le operazioni da assoggettare a Iva avrebbero generato un gettito per  96 milioni di euro in quattro anni (2002-’06), come detto in un’audizione dal sottosegretario alle Finanze, Vieri Ceriani. Difficile dunque capire, considerato questo indizio, come sia possibile raggiungere il miliardo complessivo.

    Il rischio di frenare innovazione e pubblicità
    Gli operatori paventano il rischio di veder frenato lo sviluppo di un settore innovativo ma fragile che “ha bisogno di fare un salto di qualità”, come ha detto Giorgio Santini, cauto senatore del Pd e relatore della Legge di stabilità in Senato. La pubblicità su internet va in controtendenza rispetto a quella su altri media: nel 2012 è cresciuta del 5,3 per cento con un numero di inserzionisti in crescita del 20, ed è l’unico canale dove sono aumentati gli investimenti pubblicitari nel 2013 (dati Nielsen). Per Sara Colnago, vincitrice dello Smau 2013 come “migliore donna imprenditrice” in qualità di amministratore di BusinessCompetence, società di Milano creatrice di applicazioni per mobile e online, “proporre la tassazione di una pubblicità sul web significa tassare uno strumento alla portata di molti imprenditori, anche dei più piccoli, che adesso si stanno approcciando a internet come fonte di visibilità per le loro imprese o per la loro nicchia di prodotto”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.