Salotti mutanti, forse sì

Corriere, tutto il potere ai manager e le azioni se ne stiano tranquille

Alberto Brambilla

Il capitalismo finanziario italiano è entrato in una fase di mutazione e cerca ispirazione anche in Gran Bretagna. Il modello dei “patti di sindacato” attraverso il quale pochi azionisti, con relativamente pochi capitali, si sono garantiti il controllo di grandi aziende è stato accantonato negli ultimi mesi sotto la pressione della crisi che ha ridotto utili e dividendi, e in parte per il progressivo disimpegno di attori quali Generali e Mediobanca.

    Il capitalismo finanziario italiano è entrato in una fase di mutazione e cerca ispirazione anche in Gran Bretagna. Il modello dei “patti di sindacato” attraverso il quale pochi azionisti, con relativamente pochi capitali, si sono garantiti il controllo di grandi aziende è stato accantonato negli ultimi mesi sotto la pressione della crisi che ha ridotto utili e dividendi, e in parte per il progressivo disimpegno di attori quali Generali e Mediobanca. La svolta storica è stata comunque sancita il 14 ottobre scorso, quando i soci della Rizzoli Corriere della Sera, gruppo editoriale del primo quotidiano nazionale, hanno deciso all’unanimità di sciogliere il “patto” con cinque mesi d’anticipo rispetto alla scadenza naturale. Rcs, gestita da banche e industriali, incarnava quel meccanismo di potere concentrato sulle relazioni personali tra grandi nomi del capitalismo più che sulla performance aziendale, il cosiddetto “salotto buono”. Un litigioso condominio di azionisti, arrivati a tredici, è stato il modello di controllo di Rcs fin dal 1984. Spesso ha comportato paralisi decisionali pericolose: in luglio si è arrivati vicini al fallimento perché non c’era accordo sulla sottoscrizione di un aumento di capitale. Ora ciascun socio dispone della propria quota senza alleanze prestabilite capaci di blindare le decisioni.

    Tra i decision maker non c’è però un’idea chiara su quale possa essere la formula migliore per gestire in futuro un’azienda di questo tipo. C’è solo il sentore che ciò comporterà l’avvicinamento a un governo societario basato su principi più mercatisti: “Il salotto buono si sta sgretolando da solo il che comporta sostanzialmente un’apertura al mercato” e porterà a “qualcosa di diverso”, ha detto il presidente della Consob Giuseppe Vegas. In Rcs il dibattito sulla revisione della governance si concentra su una riforma del consiglio d’amministrazione, oggi espressione dei soci. Vengono invocate capacità manageriali nell’editoria e indipendenza dagli azionisti come criteri fondamentali per scegliere i consiglieri. La settimana scorsa, all’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi, il presidente di Rcs, Angelo Provasoli, ha suggerito di seguire l’esempio anglosassone della società telefonica Vodafone, guidata dall’italiano Vittorio Colao che nel 2006 venne allontanato proprio dal vertice di Rcs perché ritenuto da alcuni incapace di gestirne i delicati equilibri politici interni. Colao, presente anche lui in Bocconi e forte dell’articolo-elogio dedicatogli il giorno prima dal quotidiano francese Echos (“La vendetta del condottiero di Vodafone”), aveva enfatizzato i pregi della “sua” public company, dove non ci sono soci più influenti di altri e nessuno degli azionisti siede in cda: “Questo è importante” perché “da noi le azioni si contano e non si pesano”, è stata la frecciata dell’ex Colao. Provasoli vede positivamente l’idea di un “cda imprenditoriale” con manager che siano “attori del processo gestionale e anche innovativo dell’azienda”, pur ritenendo che “non siamo la Gran Bretagna e non abbiamo un assetto così internazionale”.

    Ispirarsi a Londra, dove l’economia dà segni di vitalità che qui paiono lontani, rischia di diventare uno slogan? In Italia le public company sono poche, la più rilevante è Prysmian, e i consiglieri spesso non sono indicati dal cda uscente composto da manager scelti con criteri meritocratici (come in Vodafone), ma vengono cooptati. Alcuni osservatori notano pure che l’indipendenza del board non garantisce buoni risultati: secondo un paper della International Review of Finance, le banche americane che avevano ricevuto aiuti pubblici (il piano Tarp) erano quello con “i board più indipendenti, con una guida esterna”.

    Tutto muta, non il duello Bazoli Vs. DDV
    Come si posizionano gli azionisti rispetto all’ipotesi inglese? All’interno di Rcs anche Diego Della Valle ha chiesto un rinnovo del consiglio con “persone competenti” e qualche “ciambellano” in meno. Il patron di Tod’s si è ritagliato il ruolo di demolitore dello status quo, scontrandosi anche con Giovanni Bazoli, banchiere d’Intesa Sanpaolo e timoniere storico del Corriere. Bazoli, intervistato domenica da Repubblica, ha replicato a DDV che lo accusava di essere l’artefice del declino di Rcs ricordando di non avere mai ricoperto un ruolo operativo nella compagnia. Maliziosamente ha sottolineato invece il ruolo operativo di DDV all’epoca di scelte oggi criticate, come l’acquisto troppo oneroso di Recoletos, o l’allontanamento di Colao (“che disgrazia”, ha detto Bazoli). Il che, però, non trasforma automaticamente il banchiere in un fan di modelli esotici e mercatisti. Per lui, sui meriti del capitalismo di relazione ci sarebbe in realtà ancora “molto da dire”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.