Le due scalate

Pd & Poteri. Così Renzi si affianca a Prodi per indebolire Letta

Claudio Cerasa

Nella corsa parallela che nei prossimi mesi Matteo Renzi ed Enrico Letta metteranno in scena per tentare di non far crollare il Pd sotto il peso delle larghe intese (missione di Renzi) e non far precipitare il governo sotto il peso del Pd renziano (missione di Letta) ci saranno due elementi da tenere sotto controllo per valutare quali saranno i rapporti di forza tra il presidente del Consiglio e il leader in pectore del Pd.

    Nella corsa parallela che nei prossimi mesi Matteo Renzi ed Enrico Letta metteranno in scena per tentare di non far crollare il Pd sotto il peso delle larghe intese (missione di Renzi) e non far precipitare il governo sotto il peso del Pd renziano (missione di Letta) ci saranno due elementi da tenere sotto controllo per valutare quali saranno i rapporti di forza tra il presidente del Consiglio e il leader in pectore del Pd. Il primo elemento riguarda la dialettica, complicata, di Enrico Letta con il suo partito. Il secondo riguarda invece le relazioni tra i due gemelli diversi del Pd e quel mondo dell’establishment che il sindaco di Firenze vorrebbe rottamare. Sulla prima partita i contenuti delle mozioni congressuali presentate dai candidati del Pd certificano un fenomeno che, in prospettiva, potrebbe indebolire il presidente del Consiglio e che forgia l’identità del nuovo partito con un obiettivo preciso: trasformare Letta in un premier tecnico e dimostrare che il Pd del futuro non vuole avere nulla a che vedere con il lettismo della grande coalizione. La conseguenza di questa lenta, e traumatica, evoluzione del rapporto tra Letta e un Pd a trazione renziana è quella di togliere terreno sotto i piedi del presidente del Consiglio per provare a limitare le lunghe attese delle larghe intese e scongiurare, per lo meno, che il governo possa avere un orizzonte più ampio della fine del 2014. Il Pd però non è l’unico campo sul quale Renzi sta giocando una partita per circoscrivere il raggio d’azione del presidente del Consiglio. Andando a indagare, accanto ai movimenti e ai riposizionamenti interni al Pd, l’altro terreno da osservare per comprendere la competizione tra Renzi e Letta riguarda il tentativo del sindaco di portare dalla propria parte alcuni pezzi da novanta del mondo economico e finanziario. Tentativo che, nonostante le severe parole renziane sulla rottamazione dell’establishment, vede il sindaco decisamente in prima linea. E i nomi dei poteri più o meno forti che si trovano sulla lista del Rottamatore offrono una buona istantanea dell’arsenale a cui il rottamatore potrà attingere anche nella sua futura battaglia contro il presidente del Consiglio.

    Renzi, e il sindaco lo dirà anche nel corso della sua Leopolda, ha ripetuto più volte di voler imporre un ricambio generazionale nel mondo della classe dirigente italiana. Ma ciò che invece non ha detto è relativo ai nomi con i quali intende costruire, anche in vista di una scalata a Palazzo Chigi, una grande coalizione tra politica ed establishment. Nell’ultimo anno Renzi ha già fatto avvicinare attorno alla sua orbita, oltre ai noti Davide Serra (Algebris), Oscar Farinetti (Eataly), Patrizio Bertelli (Prada), alcuni cavalli di razza della finanza come Fabrizio Palenzona (Unicredit) e Alberto Nagel e Renato Pagliaro (Mediobanca). Ma, investigando un po’, i nomi sui quali il sindaco dice di voler puntare di più per scardinare il vecchio establishment sono altri, e sono principalmente quattro. Il primo è Diego Della Valle, con cui Renzi, dopo un periodo burrascoso, ha ricucito i rapporti (complice anche il clima propizio generato dai successi della Fiorentina). Il secondo, con cui Renzi è entrato in contatto da pochi mesi, è Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone, monumentalizzato due giorni fa dal quotidiano economico francese Les Echos dopo i 130 miliardi di euro fatti incassare a Vodafone con la cessione del 45 per cento di Verizon Wireless, e inserito, insieme con l’ad di Generali Mario Greco e con quello di Luxottica Andrea Guerra, nell’elenco degli italiani capaci di incarnare “una nuova generazione di manager decisi a rompere col capitalismo delle connivenze”.

    E accanto a Colao, in effetti, i due nomi esaltati dall’Echos sono gli stessi ai quali Renzi negli ultimi tempi, tramite contatti a volte diretti e a volte indiretti, si è avvicinato in modo significativo. A dire il vero, il feeling che si è creato con Guerra è maggiore rispetto a quello che si è formato con Greco. Ma Renzi, al di là delle sfumature, sostiene di voler investire su questi nomi per tentare di rottamare definitivamente il vecchio establishment. Vecchio establishment che poi è un’espressione che in questa fase si traduce con i nomi dei due grandi vecchi – pilastri anche del vecchio patto di sindacato Rcs – che si trovano nel mirino dei rottamatori: Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, e Giuseppe Guzzetti, presidente di Cariplo. Ai quattro nomi ai quali Renzi sta cercando di legarsi – anche per avere le spalle coperte in quel mondo che il sindaco dice di voler rottamare ma con cui tuttavia dimostra di avere una buona confidenza – ne vanno aggiunti altri due destinati ad avere un peso nella galassia del rottamatore (e che potrebbero essere coinvolti a novembre quando il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, organizzerà a Milano un incontro con alcuni importanti esponenti dell’establishment). Il primo è Gianfelice Rocca, numero uno di Assolombarda, da qualche tempo sincero fan del sindaco. Il secondo è Giuliano Poletti, numero uno della Lega Coop, che, anche grazie alla mediazione del segretario regionale emiliano del Pd Stefano Bonaccini (ex bersaniano passato all’organizzazione della campagna di Renzi), è entrato in contatto con l’universo renziano. La robusta rete con cui Renzi intende dar vita alla sua “rivoluzione capillare” indica che nel mondo dell’establishment il sindaco è attivo non solo sul fronte della rottamazione ma anche della conquista. E da questo punto di vista il percorso imboccato da Renzi assomiglia più a quello di Prodi (che a Palazzo Chigi si presentò anche spinto da un imponente cordata di imprenditori amici) che a quello di Veltroni. Prodi, già. Che fine ha fatto l’ex presidente? Secondo molti collaboratori del sindaco nei prossimi mesi la corsa di Renzi potrebbe entrare in sintonia con quella del prof. e i renziani sono convinti che da qui al tre dicembre – giorno in cui la Consulta si esprimerà sulla costituzionalità del Porcellum e giorno entro il quale è fissato il limite per cambiare la legge elettorale, come ricordato ieri da Giorgio Napolitano a Firenze, dove il presidente ha incontrato anche il Rottamatore – Prodi potrebbe trasformarsi in un alleato prezioso di Renzi. Non per staccare subito la spina al governo, cosa che tra l’altro a Renzi non verrebbe perdonata dai suoi alleati dell’establishment (che scalpitano per vederlo in campo ma che prima vorrebbero veder cambiata almeno la legge elettorale). Ma per portare avanti un’operazione diversa: togliere  a poco a poco alle larghe intese il terreno su cui poggiare i piedi. Renzi, evidentemente, per prendere il posto di Letta. Prodi, evidentemente, un domani per prendere il posto di qualcun altro. Chissà.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.