Io, io, io, io

Cosa c'è dietro la rivoluzione del marketing firmato Nutella e Coca-Cola

Michele Boroni

Da qualche giorno in tv in mezzo a tante pubblicità deludenti per creatività e messaggio, si può finalmente vedere uno spot bello e ben fatto. Sto parlando di quello della Nutella. Nei canonici 30 secondi lo spot ci fa vedere il protagonista vivere la sua vita a seconda dei ruoli che ricopre in un determinato momento o che gli altri gli assegnano: fidanzatino, padre, marito, stagista, capo,  giocatore di calcetto, cliente distratto di un taxi. Insomma, una rassegna dei tanti “io” che tutti noi ricopriamo a seconda dei momenti vissuti; poi però arriva il prodotto che ti conosce da sempre per quello che sei davvero, e che si permette di chiamarti per nome, al punto da sostituire il tuo nome al suo.

    Da qualche giorno in tv in mezzo a tante pubblicità deludenti per creatività e messaggio, si può finalmente vedere uno spot bello e ben fatto. Sto parlando di quello della Nutella. Nei canonici 30 secondi lo spot ci fa vedere il protagonista vivere la sua vita a seconda dei ruoli che ricopre in un determinato momento o che gli altri gli assegnano: fidanzatino, padre, marito, stagista, capo,  giocatore di calcetto, cliente distratto di un taxi. Insomma, una rassegna dei tanti “io” che tutti noi ricopriamo a seconda dei momenti vissuti; poi però arriva il prodotto che ti conosce da sempre per quello che sei davvero, e che si permette di chiamarti per nome, al punto da sostituire il tuo nome al suo. Nutella infatti dà la possibilità di inserire il tuo nome al posto del marchio Nutella. Bella pubblicità dicevamo, con quel trasporto emotivo tra la commozione e il sorriso. Poi però senti dentro di te quel gusto amarognolo del déjà vu che la nocciola della Nutella solitamente non ha. Sì, il concept è la stesso che la Coca-Cola ci ha propinato per tutta la scorsa primavera-estate. In realtà le dinamiche sono diverse tra loro.

    L’operazione della bevanda gassata si basava sulla condivisione (#condividiunacocacola era l’hashtag della campagna), quindi l’idea di marketing era far comprare la lattina con il nome dell’amico/collega/compagna, mentre quella di Nutella gioca sul nome dello stesso individuo/consumatore. Inoltre Coca-Cola aveva messo in vendita 200 diverse lattine e bottigliette personalizzate, mentre per la crema spalmabile della Ferrero è necessario fare la richiesta sul sito Nutella dell’etichetta con il proprio nome scritto con il carattere del logo, e poi questa viene spedita a casa. In molti si sono chiesti come sia possibile che un colosso dell’alimentare si permetta di copiare l’operazione in questo modo da un brand altrettanto gigante, e il tutto nel giro di pochi mesi. In verità l’operazione della Nutella era già partita questa primavera con grande successo in Belgio, Spagna e Francia, mentre quella della Coca-Cola era nata da una piccola operazione locale prima in Australia, poi in Nuova Zelanda e poi successivamente importata in Italia. Quindi non è così semplice risalire a chi è stato il pioniere dell’operazione e neanche ci interessa troppo saperlo, tanto si sa che nella comunicazione l’originalità è merce rarissima.

    E’ certo che anche l’operazione di Nutella – seppur più complessa e articolata – avrà successo, dal momento che è già partito un road show chiamato “Buongiorno Entusiasmo Show” (sic!) dove sarà possibile personalizzare dal vivo i vasetti di Nutella con il proprio nome. E il grandissimo successo che avrà è figlio dell’individualismo scellerato di questi tempi, sovralimentato dai messaggi pubblicitari (dalla “La C..p sei tu” a “Perché tu vali”) e dalla retorica da reality e talent show, tutto autostima e vuoto identitario. E’ evidente che la cosa funzioni con i ragazzini che attribuiscono naturalmente un valore simbolico a oggetti comuni, come una lattina o un barattolo, se questi ricordano persone o esperienze importanti o familiari; meno spiegabile vedere code chilometriche di uomini e donne mature sotto il sole milanese di luglio per vedere il proprio nome su un prodotto di largo consumo.

    C’è anche l’illusione per il “consumatore” di essere parte di un progetto di marketing collaborativo grazie anche all’uso delle tecnologie digitali, ma in realtà la comunicazione rimane controllata saldamente dall’azienda che usa cinicamente l’entusiasmo delle persone.