I cristalli del Rottamatore

Claudio Cerasa

“Le rivoluzioni vengono fatte e dopo annunciate. Generalmente, chi le annuncia prima, poi non le fa. Questo dice la storia”. Il commento da cui partire per comprendere un aspetto importante nascosto tra le righe dell’intervista rilasciata da Renzi al Corriere è una battuta maligna consegnata ieri alle agenzie da Massimo D’Alema che centra una questione chiave legata al percorso politico del sindaco: come riuscirà Renzi a tenere insieme la necessità di essere il portavoce di una rupture della sinistra evitando che la rupture si trasformi in una rottura e in un’esplosione del partito?

    “Le rivoluzioni vengono fatte e dopo annunciate. Generalmente, chi le annuncia prima, poi non le fa. Questo dice la storia”. Il commento da cui partire per comprendere un aspetto importante nascosto tra le righe dell’intervista rilasciata da Renzi al Corriere è una battuta maligna consegnata ieri alle agenzie da Massimo D’Alema che centra una questione chiave legata al percorso politico del sindaco: come riuscirà Renzi a tenere insieme la necessità di essere il portavoce di una rupture della sinistra evitando che la rupture si trasformi in una rottura e in un’esplosione del partito? E come riuscirà Renzi a federare senza perdere la sua forza riformatrice; a tenere insieme i pezzi della sinistra senza rinunciare a cambiare l’identità della sinistra; e soprattutto a trasformare in progetti non virtuali, diciamo, le belle parole consegnate regolarmente agli intervistatori? Per quanto si possa essere infatti ottimisti rispetto alla corsa solitaria di Renzi, il Pd immaginato dal sindaco rappresenta un Pd diverso da quello osservato negli ultimi tre anni, praticamente un altro partito, e il passaggio da un Pd all’altro non può che essere molto traumatico. Ci si chiederà: ma se il Pd di oggi è un partito diverso dal Pd di ieri non c’è il rischio che l’esplosivo piazzato nel cuore del partito possa generare esplosioni anche più grandi (ricordate Mussi, Angius, Salvi?) rispetto a quelle viste ai tempi di Veltroni? L’ipotesi al momento non sembra avere alcuna consistenza – se non altro perché, come ricorda in modo efficace un dirigente del Pd di fede bersaniana, “anche se le cose dovessero andare in quel modo, nd’annamo noi?” – ma nonostante questo Renzi sa che non si può scherzare con il fuoco.

    Sa che il suo successo ha qualcosa di simile a una ciambella di salvataggio che un popolo stufo di perdere accetta di indossare un secondo prima di affogare. E sa che la leadership di un politico che si candida a guidare la sinistra chiedendo l’abolizione del finanziamento pubblico e la rimozione delle scorie comuniste a sinistra continua a essere vista come verrebbe osservata nella chiesa la presenza di un vescovo che si candida a fare il capo della Cei chiedendo l’abolizione dell’otto per mille. E per questo è difficile che sulla traiettoria di Renzi prima o poi non compaia un qualche ostacolo, o una qualche esplosione. “Matteo – dice un collaboratore del sindaco – oggi è un elefante che entra al galoppo in un negozio di cristalli. Ed è ovvio che se l’elefante comincia a preoccuparsi dei cristalli rischia di diventare un altro animale. Direi un topolino”. Tra i renziani in realtà c’è chi sospetta che Renzi sia diventato più sensibile di un tempo al tema dei cristalli, attento cioè a fare sforzi per evitare che le sue rupture si trasformino in esplosioni. E per questo tra i sostenitori del sindaco non è difficile trovare qualcuno che dica che per Renzi preoccuparsi troppo dell’unità del partito rischia di significare una cosa semplice: vincere le primarie trasformandosi in una specie di Bersani. Scenario pur sempre possibile, certo.

    Ma a giudicare dai temi affrontati nell’intervista di ieri i cristalli che Renzi è pronto a far esplodere, e in un certo modo a sacrificare, sembrano ben altri. In Italia, ha detto ieri a Cazzullo, c’è un establishment da rottamare che ha fatto perdere troppo tempo e troppe occasioni all’Italia. Renzi, genericamente, lo chiama establishment. Ma non ci vuole molto a capire che nella sua ottica i garanti supremi di quell’establishment, prima di tutto, coincidono con i nomi di Enrico Letta e Giorgio Napolitano. I grandi stabilizzatori. Ovvero i due politici che alla fine del percorso di Renzi rischiano di diventare loro i cristalli che l’elefante sacrificherà per evitare che la sua scalata al Pd possa produrre un’esplosione diversa: quella della sua sinistra, naturalmente.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.