La Sorellanza

Annalena Benini

Quando la signora Phoebe Ephron era in ospedale e stava per morire, raccomandò alla figlia Nora, giornalista, scrittrice, regista, sceneggiatrice e infine monumento nazionale americano: “Stai prendendo appunti?”, e disse invece all’altra figlia, Delia, la seconda delle quattro figlie: “Ho sempre odiato l’uncinetto”. Per sottolineare una differenza, o forse per offrire un’altra storia da raccontare su una famiglia in cui “essere chiamati noiosi era come essere chiamati assassini con l’ascia” (i genitori furono una coppia di sceneggiatori importanti, e la madre era orgogliosa di non avere tempo di andare alle riunioni scolastiche: “Io ho una carriera”, diceva).

    Quando la signora Phoebe Ephron era in ospedale e stava per morire, raccomandò alla figlia Nora, giornalista, scrittrice, regista, sceneggiatrice e infine monumento nazionale americano: “Stai prendendo appunti?”, e disse invece all’altra figlia, Delia, la seconda delle quattro figlie: “Ho sempre odiato l’uncinetto”. Per sottolineare una differenza, o forse per offrire un’altra storia da raccontare su una famiglia in cui “essere chiamati noiosi era come essere chiamati assassini con l’ascia” (i genitori furono una coppia di sceneggiatori importanti, e la madre era orgogliosa di non avere tempo di andare alle riunioni scolastiche: “Io ho una carriera”, diceva). Delia, nonostante le minacce della madre alcolizzata che un giorno, quando aveva quattordici anni, le disse: “Spero che tu non abbia mai raccontato a nessuno quel che succede in questa casa”, adottò verso i trent’anni la regola di famiglia secondo cui tutto è materiale narrativo e diventò scrittrice, sceneggiatrice, confidente e co-sceneggiatrice di Nora Ephron, la sorella maggiore (scrissero insieme “C’è posta per te”, fra le altre cose, scrissero insieme anche mentre Nora era in ospedale e Delia si chiedeva perché negli ospedali nessuno abbia mai pensato a mettere letti matrimoniali). Quella sorellanza, in cui non ci si rubavano soltanto borse, vestiti e consigli contro i carboidrati e contro l’umidità che uccide i capelli, ma anche frasi brillanti, aneddoti, storie con cui impastare il proprio lavoro e non diventare mai assassini con l’ascia, è stata in realtà una specie di matrimonio, una storia d’amore e di perdita che adesso Delia Ephron ha raccontato in un memoir (“Sister Mother Husband Dog etc.”), in cui la prima parola è appunto: sorella. E il primo capitolo racconta la perdita di Nora, paragonabile, per il mondo, all’assassinio di Kennedy, racconta la stranezza di vedere che la lancetta dell’orologio continua il suo cammino e il dispiacere di non poterle più raccontare storielle al telefono o per email (come ad esempio il fatto che il cane adesso è malato, ha un’allergia al cibo e il medico dice che deve mangiare solo carne di canguro) e anche l’impazzimento nel tentativo, sempre fallito, di farle dei regali che le piacessero: Nora era fantastica nel dare, ma non sapeva ricevere. Una volta Delia regalò a Nora uno zainetto. Una settimana dopo tornò al negozio e trovò lo zainetto, che Nora aveva già riportato indietro. Lo comprò e lo indossò per andare a casa di Nora, che lo guardò e disse: “Adoro quello zaino, ne voglio uno anch’io”. La sorellanza non è scontata, anzi a volte non riguarda le sorelle, ma le amiche: con le sorelle può succedere di non riconoscersi abbastanza, ci si sfiora senza parlarsi davvero, ci si ritrova magari troppi anni dopo e si pensa soltanto: che pettinatura terribile. Delia Ephron invece si sentiva completamente dentro “Piccole donne”, legatissima alle sue sorelle, e anzi era ossessionata da quel libro, si era convinta di essere Beth (la sorella cagionevole, buona e dolce, che muore). “Ero diventata Beth nella mia testa perché Nora era così indubbiamente Jo, quella con l’ambizione”. Tutta la vita si è portata addosso la paura di essere Beth, tutta la vita ha avuto accanto il pensiero della morte. “E poi la morte è arrivata, ma non la mia. Quella di Nora”. E adesso che non può più raccontarle del suo cane costretto a mangiare canguri per guarire dall’allergia, non può fare a meno di chiedersi se invece Nora l’avrebbe trovata una storiella noiosa, perché “quando si comincia a parlare di cani, significa che la festa è finita già da cinque minuti”.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.