Le due strade di Renzi per conquistare il Pd passano dalla mozione Morando

Claudio Cerasa

 Quando oggi pomeriggio Matteo Renzi arriverà a Bari, al centro congressi della Fiera del Levante, e si presenterà ai blocchi di partenza di quella corsa che per cinquantotto giorni lo terrà impegnato a conquistare (o almeno a tentare di conquistare) il consenso necessario per raggiungere la segreteria del Pd ci sarà una domanda alla quale il sindaco dovrà rispondere per chiarire una questione che sarà centrale nelle prossime settimane. Una questione che potremmo sintetizzare così: ma il Renzi della campagna 2013 è lo stesso Renzi che si è fatto largo a forza di spallate e a forza di rupture e a forza di sportellate contro la vecchia sinistra conservatrice; o il Renzi di oggi sarà un Renzi diverso, meno di rottura, più allineato con la vecchia sinistra, e magari pronto a cambiare direzione per non mettere a disagio i nuovi compagni di viaggio che hanno scelto di cambiare percorso e salire sul suo carro?

    Quando oggi pomeriggio Matteo Renzi arriverà a Bari, al centro congressi della Fiera del Levante, e si presenterà ai blocchi di partenza di quella corsa che per cinquantotto giorni lo terrà impegnato a conquistare (o almeno a tentare di conquistare) il consenso necessario per raggiungere la segreteria del Pd ci sarà una domanda alla quale il sindaco dovrà rispondere per chiarire una questione che sarà centrale nelle prossime settimane. Una questione che potremmo sintetizzare così: ma il Renzi della campagna 2013 è lo stesso Renzi che si è fatto largo a forza di spallate e a forza di rupture e a forza di sportellate contro la vecchia sinistra conservatrice; o il Renzi di oggi sarà un Renzi diverso, meno di rottura, più allineato con la vecchia sinistra, e magari pronto a cambiare direzione per non mettere a disagio i nuovi compagni di viaggio che hanno scelto di cambiare percorso e salire sul suo carro? Gli oltre duecento parlamentari che hanno offerto il proprio sostegno al Rottamatore (un numero quattro volte superiore rispetto ai deputati e senatori inquadrabili sotto la definizione “renziani” all’inizio della legislatura) sommati ai numerosi endorsement ricevuti da una serie di storici anti renziani di ferro (Vendola, De Magistris, Orlando e naturalmente il gruppo Rep.) indicano che l’armata Brancaleone che il Rottamatore si ritrova sulle spalle potrebbe spingere il sindaco a seguire più la seconda che la prima strada. Ma dalle notizie che filtrano dal cerchio magico renziano – e dalle notizie che arrivano rispetto alla persona che più delle altre ha lavorato alla mozione congressuale – la strategia scelta per tenere insieme i nuovi arrivati e non deludere i vecchi arrivati a quanto pare prevede due punti precisi che sulla carta sembrano scongiurare la de-renzizzazione della campagna di Renzi. La strategia è questa: da un lato enfatizzare molto, durante i comizi, la virata a sinistra del Rottamatore (strizzando per quanto possibile l’occhio a Vendola, specie sui temi ambientali); dall’altro enfatizzare nel testo della mozione la fedeltà ai temi tradizionali delle Leopolde (liberalizzazioni, dismissioni del patrimonio pubblico, abbattimento della pressione fiscale, più soldi in busta paga ai lavoratori, detassazione del lavoro femminile).

    A testimoniare poi l’intenzione di voler proseguire lungo la strada della rottamazione della vecchia sinistra italiana, e a voler creare durante la campagna per le primarie un filo non solo virtuale con il Lingotto veltroniano, è anche la scelta fatta di affidare una parte significativa della stesura della mozione allo stesso ex senatore democratico che nel 2008 fu incaricato proprio da Veltroni di redigere il programma elettorale del Pd: Enrico Morando. La decisione di puntare su Morando, oltre che a segnare una progressiva adozione da parte dell’universo renziano dei contributi di alcuni esponenti del think tank liberal libertàEguale (contributi come quelli di Antonio Funiciello e Dario Parrini, due volti che avranno un peso in questa campagna), ha una sua suggestione anche dal punto di vista simbolico; e in un certo modo costituisce un altro colpo basso inflitto da Renzi ai vecchi compagni di scuola del Pci. Compagni di scuola che oggi, oltre ad avere un presidente del Consiglio di cultura democristiana e oltre ad avere un segretario in pectore (di cultura post-democristiana) che minaccia di rottamare il Pci-Pd, si ritrovano a farsi dettare la linea dal teorico di una dottrina politica che fino a qualche anno fa valeva il 4 per cento dei Ds (nel 2001, come è noto, Morando si candidò al congresso di Pesaro come segretario, e ottenne il 4 per cento) e che alla fine di quest’anno, se i sondaggi che girano non raccontano fesserie, potrebbe invece valere qualcosa come il 60 e rotti per cento dell’elettorato Pd. Un disastro!
    Morando, interpellato dal Foglio, sorride e la mette così. “Rispetto al congresso, sono convinto che una buona campagna per rivoluzionare il Pd dovrebbe essere centrata su un concetto di questo tipo: non si può cambiare il paese se prima non si cambia il Pd. E personalmente credo che l’unico modo per far stare insieme questi concetti sia fare una corsa non per eleggere un segretario ma un candidato premier”.
    Un candidato premier, già.

    “Questo – continua Morando – non significa che il segretario sia automaticamente il candidato, ed è ovvio che se qualcuno vorrà sfidarlo dovrà essere messo nelle condizioni di farlo. Piuttosto significa che un partito che vuole declinare la sua vocazione maggioritaria, difendere il bipolarismo e avvicinarsi a quota 40 per cento non può dividere i ruoli. Durante l’ultima assemblea nazionale i nemici di Matteo hanno provato a far saltare questo equilibrio. Il blitz per fortuna è stato sventato. E se oggi qualcuno teme che la coincidenza tra segretario e candidato possa essere una minaccia, beh, quel qualcuno dovrebbe chiedersi se ha più a cuore se stesso o la forza e la vita del Pd”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.