Perché ora Obama nicchia anche sulla riforma del Fmi

Domenico Lombardi

La fase più acuta della crisi alle spalle, i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali dei 188 paesi membri del Fondo monetario internazionale (Fmi) si ritroveranno per tre giorni, a cominciare da oggi, a Washington, per valutare le prospettive dell’economia mondiale per la quale il Fondo prevede un ulteriore contenimento del tasso di crescita al 2,9 per cento (lo 0,3 per cento in meno rispetto allo scorso aprile). Parteciperà anche il ministro dell’Economia italiano, Fabrizio Saccomanni. Nella riunione del comitato ministeriale del Fmi e in quella del G20, le delegazioni nazionali si concentreranno su tre questioni fondamentali e una “distrazione”.

    La fase più acuta della crisi alle spalle, i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali dei 188 paesi membri del Fondo monetario internazionale (Fmi) si ritroveranno per tre giorni, a cominciare da oggi, a Washington, per valutare le prospettive dell’economia mondiale per la quale il Fondo prevede un ulteriore contenimento del tasso di crescita al 2,9 per cento (lo 0,3 per cento in meno rispetto allo scorso aprile). Parteciperà anche il ministro dell’Economia italiano, Fabrizio Saccomanni. Nella riunione del comitato ministeriale del Fmi e in quella del G20, le delegazioni nazionali si concentreranno su tre questioni fondamentali e una “distrazione”. La distrazione riguarda il congelamento delle attività del governo federale americano in seguito alla mancata approvazione della legge di bilancio e la prospettiva imminente che la prossima settimana, il 18 ottobre per la precisione, il Tesoro americano tocchi la soglia massima autorizzata dal Congresso oltre la quale il governo non può più emettere titoli di debito.

    Naturalmente la prospettiva di un default generalizzato rappresenta una possibilità del tutto teorica, non avendo nessuno dei due partiti l’incentivo a scatenare un evento con conseguenze catastrofiche per l’economia mondiale nel suo complesso. Il presidente della Camera bassa del Congresso, il repubblicano John Boehner, alla fine convocherà una seduta della Camera consentendo a una maggioranza eterogenea di democratici e repubblicani centristi di votare un provvedimento mirato a fornire una boccata di ossigeno, sia pure di corto respiro e a condizioni particolarmente gravose, all’Amministrazione in carica. In tal modo, Boehner otterrà un duplice obiettivo. In primo luogo, il suo partito avrà dimostrato di avere la forza di fissare il perimetro di azione dell’Amministrazione Obama nel suo secondo mandato. Dall’altro, scegliendo tatticamente la tempistica della sua regia, punterà a ottenere un riequilibrio all’interno del partito, convocando il voto non appena diventerà chiaro alla base del partito il potenziale devastante associato alle frange più oltranziste raccolte attorno al Tea party.

    In questo contesto, qualsiasi dibattito sulla riforma del Fmi piuttosto che sulla cooperazione economica internazionale in sede G20 si limita a speculazioni di natura puramente accademica. Il pacchetto di riforme del Fmi approvato dai leader al summit di Seul del 2010 non è stato ancora ratificato, a un anno dalla scadenza inizialmente concordata, non avendo il Congresso sinora approvato il provvedimento. Il pacchetto comporta lo spostamento dei diritti di voto pari al 6 per cento a favore delle economie più dinamiche e sottorappresentate e, per la prima volta in vent’anni, una riforma della composizione del consiglio, così da rafforzare la rappresentanza delle economie emergenti nella struttura decisionale dell’istituzione multilaterale. Data l’attuale involuzione nella dinamica politica, l’Amministrazione non si esporrà nel richiedere al Congresso la ratifica del pacchetto che nella scala delle priorità a Washington ricopre un posto tutto sommato marginale. Per i repubblicani, il risultato del lontano summit di Seul è percepito come un’eredità dell’Amministrazione Obama e dell’impegno, anche personale oltre che politico, con cui il presidente ha partecipato alle attività del G20 nella prima parte del suo mandato. Senza alcuna decisione di rilievo da annunciare alla fine della settimana, il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, condividerà con le delegazioni ministeriali, oltre all’evidente disappunto, una lettura della congiuntura economica mondiale tutta incentrata sulla “grande transizione” che segue la “grande recessione”, per sottolineare il carattere duraturo dell’uscita dalla crisi che ha colpito l’economia mondiale nel 2007. In particolare, tale lettura si concentrerà su tre aspetti: i rischi legati alla strategia di uscita dalle politiche monetarie non convenzionali; il rafforzamento dell’architettura dell’Eurozona; e, infine, il ribilanciamento e il rallentamento delle economie emergenti.

    A differenza delle precedenti recessioni, l’uscita dalle politiche monetarie iperespansive avverrà in un arco temporale piuttosto esteso. La tempistica sarà naturalmente decisa dalle autorità monetarie americane sulla base della loro valutazione del passo e dei rischi della ripresa economica. Date le conseguenze per il resto dell’economia mondiale, i paesi membri del G20 e del Fmi vaglieranno da vicino ogni mossa della Fed, richiedendo che il Fmi eserciti un’azione di moral suasion sul suo maggiore azionista, volta a ricalibrare la strategia d’uscita dalle misure di stimolo sulla base delle conseguenze che essa avrà sul resto dell’economia mondiale.

    L’Unione bancaria in agenda al Fmi
    Per quanto concerne l’Eurozona, le delegazioni ministeriali valuteranno i progressi, ancora largamente insoddisfacenti, sull’Unione bancaria, la cui costruzione sta procedendo in misura asimmetrica. Se la Bce ha avviato il rafforzamento della sua struttura per far fronte ai nuovi compiti di vigilanza bancaria, il progresso su un meccanismo di assicurazione dei depositi paneuropeo e una comune Autorità per la risoluzione delle crisi bancarie è ancora di là da venire. Al contempo, l’Eurozona deve ancora affrontare un problema sostanziale di recupero della domanda aggregata. I primi timidi segnali di ripresa non dovrebbero essere sopravvalutati poiché l’entità e la sostenibilità di tale ripresa per l’Eurozona sono da verificare. Infine, le economie emergenti si trovano nel mezzo di una doppia transizione. Da un lato tali economie, Cina in primis, devono ricalibrare le fonti di crescita riducendo la componente di domanda estera e accrescendo il peso di quella domestica. Dall’altro, tale transizione rischia di essere compromessa dagli inpulsi destabilizzanti derivanti dalla politica monetaria americana, dalla domanda piatta dell’Eurozona, o dalle politiche iperespansive del Giappone. In ogni caso, il rischio rimane: un rallentamento marcato delle economie emergenti rischia di comprimere l’anemica ripresa mondiale. Martedì il capo economista del Fmi ha annunciato l’ennesimo taglio alle previsioni di crescita delle economie emergenti, ben mezzo punto percentuale sia per quest’anno che per il 2014, determinando una generale revisione al ribasso delle prospettive di crescita dell’economia mondiale.