I rottamatori del Rottamatore

Claudio Cerasa

“Forse Renzi non se n’è ancora accorto, ma a Palazzo Chigi, da mercoledì, è stata accesa una graticola. Su quella graticola ci sono due politici. Il primo si chiama Berlusconi. Il secondo Renzi”. Sono le diciotto e trenta, è giovedì pomeriggio ed Enzo Amendola, giovane parlamentare del Pd, dalemiano di ferro ma con simpatia renziana, si ferma un attimo a chiacchierare con il cronista offrendo uno spunto di riflessione utile a individuare una questione rimasta sottotraccia nelle ore successive al “capolavoro” realizzato da Letta e Alfano. La questione riguarda uno dei punti presenti nel contratto stipulato martedì dal sindaco di Firenze e dal presidente del Consiglio.

    “Forse Renzi non se n’è ancora accorto, ma a Palazzo Chigi, da mercoledì, è stata accesa una graticola. Su quella graticola ci sono due politici. Il primo si chiama Berlusconi. Il secondo Renzi”. Sono le diciotto e trenta, è giovedì pomeriggio ed Enzo Amendola, giovane parlamentare del Pd, dalemiano di ferro ma con simpatia renziana, si ferma un attimo a chiacchierare con il cronista offrendo uno spunto di riflessione utile a individuare una questione rimasta sottotraccia nelle ore successive al “capolavoro” realizzato da Letta e Alfano. La questione riguarda uno dei punti presenti nel contratto stipulato martedì dal sindaco di Firenze e dal presidente del Consiglio ed è legata a un tema che può sembrare secondario ma che diventerà centrale se questo governo andrà avanti: che scadenza ha la nuova grande coalizione? Martedì, Letta ha assicurato a Renzi che il termine del progetto resta quello individuato a maggio durante il discorso d’insediamento, i famosi diciotto mesi che si andranno a concludere alla fine del 2014. Ma come ammettono molti parlamentari Pd, di fronte alla prospettiva di un governo con i numeri giusti per dirsi deberlusconizzato, quella promessa potrebbe presto trasformarsi in una bugia. Sorride Amendola: “Il respiro di questa operazione non può essere di breve periodo. Serve tempo per dare forma al progetto. E sono pronto a scommettere che se questo esecutivo dovesse arrivare al semestre europeo, Renzi comincerà a sentire questo ritornello: ‘E ora che fai, non sarai mica così irresponsabile da voler votare nell’anno dell’Expo’?”. Il tema della durata dell’esecutivo è destinato a trasformarsi nel grande esplosivo piazzato sotto il governo “Aletta” (Alfano+Letta). Ma a giudicare dai colloqui avuti da Renzi dopo il successo di Letta, il primo sasso che verrà lanciato nello stagno della grande coalizione è legato a un punto che sarà centrale nella campagna del Rottamatore: la legge elettorale.

    Se fino a oggi il tema “legge elettorale” è stato utilizzato durante la legislatura come una bandiera dietro cui nascondere (a) la propria voglia di tornare presto al voto o (b) la propria voglia di tornare al voto il più tardi possibile, da oggi in poi la battaglia che verrà combattuta attorno al tipo di sistema da adottare per superare il Porcellum (Porcellum che andrà superato entro il tre dicembre, giorno in cui la Consulta dichiarerà l’incostituzionalità di questa legge elettorale) avrà un sapore diverso. E sarà una battaglia che verrà enfatizzata, soprattutto da parte di Renzi, per creare una dicotomia di questo tipo. Di qua ci sono i sostenitori del bipolarismo. Di là ci sono invece i sostenitori del tripolarismo. Di qua ci sono quelli che, a prescindere dal fatto che ci sia o no Berlusconi a puntellare il governo, in questo esecutivo vedono un’anomalia da superare il prima possibile. Di là ci sono invece quelli che vedono nella possibile evoluzione di questo governo un terreno utile per superare il bipolarismo coatto, e dare forma a una nuova forza politica di tendenza centrista. La traduzione politica di questa battaglia sarà la vecchia riproposizione dello schema del “modello semipresidenziale” contro “modello tedesco” (ovvero schema che metterebbe a “riparo” l’Italia nel futuro da nuove grandi coalizioni contro schema che creerebbe le condizioni nel futuro anche per nuove grandi coalizioni). Ma quello che finora è stato un semplice confronto accademico tra due modi diversi di intendere la legge elettorale diventerà una piccola guerra di civiltà tra due modi diversi di intendere il futuro del paese. Tra chi insomma crede che l’Italia dovrebbe adottare un sistema che le consenta di far rivivere gli anni di gloria della Prima Repubblica. E chi crede invece che il paese debba sfruttare questo passaggio per fare un salto carpiato e passare rapidamente dalla Seconda alla Quinta repubblica. In tre parole: bipolarismo contro spezzatino. Ecco. Questo il piano con cui Renzi vorrà marcare nei prossimi giorni una distanza culturale dalle larghe intese, ed evitare che nei prossimi mesi si possa venire a innescare un meccanismo di normalizzazione della grande coalizione (e non è un caso che ieri, su Repubblica, il ministro renziano Graziano Delrio abbia ricordato che “la fase politica finisce quando vi sarà una nuova legge elettorale”). Una mossa logica. Ma una mossa che – oplà – potrebbe essere facilmente disinnescata da Letta qualora il presidente del Consiglio decidesse di attingere alla proposta di legge elettorale suggerita dai saggi a metà settembre: sistema elettorale simile al modello dei comuni con ballottaggio eventuale tra le prime due coalizioni e i candidati premier. “Io – racconta al Foglio un esponente del Pd vicino a Renzi – credo che sia necessario che Matteo capisca che oggi va ricalibrata la corsa. Lo scenario che ci aspetta sarà più lungo e diverso rispetto a quello immaginato finora. Fino a qualche giorno fa eravamo convinti che le elezioni sarebbero state a marzo, dopo la conquista della segreteria. Oggi bisogna ammettere che se questo governo riuscirà a creare in laboratorio un centrodestra buono, diciamo così, per noi rischiano di esserci un mucchio di trappole”.

    Nonostante l’atteggiamento disteso ostentato dai renziani dopo la firma del patto con Letta (“diventeremo gli azionisti di maggioranza del governo!”) la verità è che nel cerchio ristretto del sindaco vi è la percezione che la rinascita della coalizione Letta-Alfano possa trasformarsi in una gioiosa macchina della rottamazione – dove gli asfaltati in questo caso rischierebbero di essere da un lato Berlusconi e dall’altro Renzi. Naturalmente, individuare già da oggi le traiettorie che verranno seguite dal sindaco e dal premier non è facile. Ma già da oggi si può dire che la battaglia tra Letta e Renzi non sarà legata solo al tema del bipolarismo ma anche a un altro tema. A un non detto. A una malizia. A un messaggio che nei prossimi giorni, a poco a poco, intervista dopo intervista, dichiarazione dopo dichiarazione, i sostenitori di Renzi cominceranno a far affiorare qua e là. Un messaggio di questo tipo. “Se Letta non sosterrà il nostro progetto bipolarista, se non seguirà la strada che tracceremo subito dopo il congresso, e se si farà garante di un sistema elettorale non maggioritario, è perché, sotto sotto, Enrico sa che quel partito che sta nascendo dentro il governo, quel partito formato dagli ex Dc, quel partito formato da Lupi, Alfano, Franceschini e compagnia un giorno potrebbe essere guidato proprio da lui”. E nel Pd, per quanto il messaggio possa essere malizioso, a fare questo ragionamento, oggi, non sono soltanto i renziani. Diciamo.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.