Hola Telecom, ¿qué pasa?

Alberto Brambilla

Per la prima volta nella sua storia, l’Italia cede il controllo di un settore strategico come le telecomunicazioni a una compagnia straniera. La società spagnola Telefonica ha rafforzato la sua posizione finanziaria in Telecom Italia e ha messo una seria ipoteca sulla futura gestione del gruppo. Ieri mattina Telefonica ha comunicato l’acquisto della maggioranza assoluta di Telco, la scatola di controllo che possiede il 22,4 per cento di Telecom Italia. L’operazione di aumento di capitale per 441 milioni (divisa in due tranche) permetterà a Telefonica di incrementare nel giro di un anno le sue quote azionarie dal 46,1 al 64,9 per cento e di assumere successivamente il controllo della holding; evitando un’onerosa offerta di pubblico acquisto su Telecom che vale 7,7 miliardi.

L'editoriale Lacrimucce per Telecom, bastonate alla Fiat, soldi pubblici per tutti

    Per la prima volta nella sua storia, l’Italia cede il controllo di un settore strategico come le telecomunicazioni a una compagnia straniera. La società spagnola Telefonica ha rafforzato la sua posizione finanziaria in Telecom Italia e ha messo una seria ipoteca sulla futura gestione del gruppo. Ieri mattina Telefonica ha comunicato l’acquisto della maggioranza assoluta di Telco, la scatola di controllo che possiede il 22,4 per cento di Telecom Italia. L’operazione di aumento di capitale per 441 milioni (divisa in due tranche) permetterà a Telefonica di incrementare nel giro di un anno le sue quote azionarie dal 46,1 al 64,9 per cento e di assumere successivamente il controllo della holding; evitando un’onerosa offerta di pubblico acquisto su Telecom che vale 7,7 miliardi. I rumors proseguono da settimane: determinante la visita del presidente di Telefonica César Alierta a Milano la settimana scorsa, cui sono seguiti lunedì i febbrili incontri tra gli azionisti italiani di Telco per definire i dettagli legali. I soci italiani di Telco (Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali) cederanno le loro azioni riducendo le rispettive partecipazioni con il duplice scopo di incamerare liquidità e di alleggerire un investimento considerato finora deludente (le azioni Telecom calano da cinque anni consecutivi). I soci italiani sono entrati nel capitale a 2,8 euro per azione e usciranno a 1,1 euro. Vista nel lungo periodo, la cessione dimezza il valore dell’investimento. Nonostante ciò i primi commenti sono positivi.

    Mediobanca già stima di ottenere 60 milioni di utili dalle dismissioni. Il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, è ottimista sul “contributo” di Telefonica. Generali, che fu la prima a dichiarare l’uscita da Telco, ora conta di distribuire il dividendo ai suoi azionisti grazie alla cessione. L’operazione però non ridurrà i 28 miliardi di debito di Telecom: resta perciò pendente la minaccia da parte dell’agenzia Moody’s di declassare il rating a livello “spazzatura” a novembre se il piano industriale che il cda di Telecom discuterà il 3 ottobre non ridurrà il fardello.

    Lo status quo di Telco rimarrà temporaneamente invariato: Telefonica infatti non si comporterà da dominus almeno fino al marzo 2014, quando scadrà il patto di sindacato che lega i quattro soci di Telco e quando Telefonica potrà convertire le azioni ordinarie appena comprate in azioni che garantiscono “diritto di voto”. Va detto che Telefonica è già decisiva: ha diritto di prelazione sulla vendita di azioni Telco e di veto sull’ingresso di nuovi soci dal 2007. Risale a quell’anno la creazione della holding, l’arrivo dell’unico socio industriale Telefonica e di quelli italiani per volere del banchiere di Intesa Giovanni Bazoli e dell’allora presidente di Generali, Cesare Geronzi, su spinta della politica. L’operazione di sistema servì a fermare le ventilate offerte d’acquisto di At&t e dell’América Móvil di Carlos Slim. Il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, con sottosegretario l’attuale premier Enrico Letta, le considerava scalate ostili. Ieri esponenti politici sia di centrodestra sia di centrosinistra hanno criticato la vendita e hanno premuto affinché il governo riferisse al Parlamento. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, lo farà il 1 ottobre. Letta, per anni promotore del Forum di dialogo italo-spagnolo del think tank Arel, è aperturista: “Capitali europei potrebbero aiutare Telecom a essere migliore rispetto a questi 15 anni”.

    “Sappiamo da tempo che gli azionisti italiani scalpitano per vendere e che Telco non poteva essere un’operazione di lungo termine: è nata per essere una diga temporanea e non un investimento industriale. Stupisce semmai che non si sia proceduto prima allo scorporo della rete Telecom, un asset strategico, ma sia rimasto tuttora in sospeso”, dice Fabrizio Spagna, presidente della società di consulenza Axia operante da vent’anni nel campo delle tlc.

    Sebbene Telefonica sia la tlc più indebitata d’Europa, si sta dimostrando attiva nel riassetto di settore cominciato a settembre con due accordi monstre (il divorzio di Vodafone da Verizon e l’acquisto di Nokia da parte di Microsoft). Alierta, a capo della quinta tlc del mondo, vuole espandersi in Germania con E-Plus e ora grazie al maturo mercato italiano (Telecom fa l’80 per cento degli utili ante imposte in Italia) si garantirà introiti consistenti. E poi attraverso Telecom punterà a espandersi in Sudamerica, o almeno questa è la lettura dei quotidiani spagnoli di ieri. Telefonica Brasil è il maggiore operatore carioca nel wireless attraverso il brand Vivo. L’obiettivo sarebbe controllare Tim Brasil, di Telecom, senza di fatto comprarla e bypassando i vincoli dell’Antitrust locale. Ma non è detto che Alierta riuscirà in questo intento.

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    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.