Mercato razionale

Ernesto Felli e Giovanni Tria

Il nostro cervello è fatto per le scelte economiche?

Sulla scia dei contributi teorici e sperimentali di psicologi e psichiatri, i neuroscienziati si sono dati un gran da fare per trovare le basi cerebrali delle scelte individuali umane. E si sono imbattuti in comportamenti irrazionali, o meglio in comportamenti che possono essere spiegati solo alla luce dell’ipotesi che, in certe condizioni caratterizzate da incertezza e rischio, gli umani deviano da ciò che viene detto razionalità. Quando si tira in ballo un concetto forte come quello di ragione, bisognerebbe essere molto cauti, memori del fatto che continua a pendere sulle nostre teste il sillogismo hegeliano secondo il quale razionalità e realtà si giustificano a vicenda e dunque “ciò che è reale è razionale” (e viceversa), nonché un’aneddotica corposa che come minimo risale sino a Erasmo da Rotterdam e al suo elogio della follia (che i latini chiamavano “stultitia”, e “Stultitiae Laus” era il titolo originale dell’opera, 1511). Ma ignorando questi “grattacapi” filosofici, Massimo Piattelli Palmarini ci spiega dalla prima pagina del Corriere della Sera dell’altro ieri che “il nostro cervello non è fatto per le scelte economiche”.

  

Per la verità, questo giudizio alquanto sentenzioso viene attribuito a un lavoro di otto neuroscienziati del San Raffaele di Milano pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Neuroscience (“The Functional and Structural Neural Basis of Individual Differences in Loss Aversion”). L’idea che gli umani siano più sensibili alle perdite piuttosto che ai guadagni (un comportamento noto come “loss aversion”) è il cuore del modello di Daniel Kahneman – formulato insieme ad Amos Tversky nel 1979 in un articolo su Econometrica e denominato “prospect theory” – che gli economisti hanno preso molto sul serio tanto che lo psicologo israeliano è stato insignito del Nobel per l’Economia nel 2002. Il contributo del paper citato da Piattelli Palmarini sembrerebbe consistere, a giudicare dall’abstract, nel superare i risultati inconsistenti degli studi precedenti sulle basi neurali dell’ipotesi di avversione alle perdite. Nei 56 individui sani trattati dai ricercatori italiani con una tecnica speciale di risonanza magnetica (Fmri) per misurarne le reazioni a vari tipi di scommesse, è stato registrato il coinvolgimento dell’amigdala (un’area cerebrale della regione rostromediale del lobo temporale), ossia di una parte del cervello cui sono associate specifiche reazioni emozionali come la paura. Secondo Nicola Canessa, uno degli autori della ricerca, “a parità di somma in gioco, le risposte associate alle perdite sono più intense di quelle associate alle vincite e la forza di questa asimmetria… riflette la propensione individuale alle perdite. Ma quest’ultima è anche correlata al volume di materia grigia nell’amigdala…”. Nulla di nuovo dunque (salvo ovviamente la solidità dell’evidenza empirica rivendicata dal paper, sulla quale peraltro non siamo in grado di esprimerci). E tutto sommato non sono nemmeno particolarmente nuove, anche se fastidiosamente sentenziose, le osservazioni di un altro degli autori della ricerca, secondo il quale il cervello umano è inadatto a fare quello che vuole la teoria economica neoclassica, e dunque “i presupposti dell’economia della razionalità sono neurobiologicamente falsi o irrealistici” (sic), e ciò “non può non avere conseguenze su come progettiamo interventi di politica economica e sulle nostre istituzioni finanziarie”. Ora ciò che è falso o irrilevante è il contenuto di tale asserzione.

     

Apprendimento e correzioni

Non sappiamo ancora tanto bene come è stato “progettato” (per usare l’espressione fuorviante usata nell’articolo di Piattelli Palmarini) il cervello umano, ma esso è plasticamente adattativo e questo include la possibilità che “impari” a essere razionale reagendo alle esperienze negative e agli errori (e attivando altre aree del cervello). Dopotutto, la ragione fondamentale della rilevanza e della solidità della teoria economica, e di converso i limiti della economia comportamentistica (behavioral economics), consiste nel fatto che la dimensione chiamata da Hayek catallassi, ovvero in parole semplici il mercato, fornisce una pletora di meccanismi cognitivi di feedback. In altre parole, le scelte sbagliate dovute a distorsioni psicologiche (magari dettate da emozioni come la paura), che è ciò di cui si occupa l’economia comportamentistica, sono riconosciute e sanzionate dal mercato e quindi stimolano apprendimento e correzioni. Basterebbe questo, con la raccomandazione aggiuntiva di andarsi a rileggere ciò che dice proprio Kahneman su di uno sconcertante limite della nostra mente: “L’eccessiva sicurezza con cui crediamo di sapere le cose che crediamo di sapere, e la nostra evidente incapacità di riconoscere quanto siano estese la nostra ignoranza e l’incertezza del mondo in cui viviamo”. Tutte cose chiarissime ai “bravi” economisti, o almeno a quelli che hanno compreso la lezione di Herb Simon (Nobel per l’Economia nel ’78) con il suo seminale contributo sulla “razionalità limitata”.

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