Perché le banche italiane non potranno evitare di autoriformarsi

Alberto Brambilla

Già otto anni fa un rapporto della società di consulenza Ibm (“Il paradosso delle banche nel 2015”) poneva ai banchieri una domanda tanto semplice quanto provocatoria: “I clienti del futuro avranno bisogno di una banca commerciale? La risposta, si scopre, dipende dalle banche stesse”. Oggi la stessa questione tocca direttamente i manager italiani: nei prossimi mesi dovranno pensare a come riformare un settore indebolito dalla crisi finanziaria e da prima ancora carente d’iniziativa, per non condannarlo all’irrilevanza nell’arco di cinque anni (orizzonte-limite su cui concordano sindacalisti e banchieri).

    Già otto anni fa un rapporto della società di consulenza Ibm (“Il paradosso delle banche nel 2015”) poneva ai banchieri una domanda tanto semplice quanto provocatoria: “I clienti del futuro avranno bisogno di una banca commerciale? La risposta, si scopre, dipende dalle banche stesse”. Oggi la stessa questione tocca direttamente i manager italiani: nei prossimi mesi dovranno pensare a come riformare un settore indebolito dalla crisi finanziaria e da prima ancora carente d’iniziativa, per non condannarlo all’irrilevanza nell’arco di cinque anni (orizzonte-limite su cui concordano sindacalisti e banchieri).
    Dovranno farlo per almeno tre ragioni. Primo: riuscire a competere con nuovi attori finanziari diversi dalle banche (ad esempio i fondi d’investimento, il cosiddetto shadow banking) capaci di erogare credito in maggiore quantità mentre loro non lo fanno abbastanza. Secondo: si tratta di riorganizzare la struttura societaria per rendere più versatili le figure oggi impiegate in banca. I manager bancari, infine, dovranno riallocare una parte della forza lavoro altrimenti destinata all’uscita dal mercato in un settore già troppo affollato (il 20 per cento dei dipendenti sono in esubero) e messo sotto pressione dallo sviluppo della “banca online”.

    Il tema è già sul tavolo dell’Associazione bancaria italiana (Abi) da inizio anno, ma a partire da questo mese riempirà con maggiore frequenza l’agenda degli incontri tra la lobby delle banche e i sindacati di categoria, dicono alcuni osservatori coinvolti nelle discussioni. In cinque anni i dipendenti sono passati da 350 a 309 mila, in larga parte grazie a prepensionamenti o uscite volontarie. Per ridurre i costi, i principali istituti bancari (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Banco popolare, Bpm, Ubi e altri) taglieranno 19 mila posti di lavoro nel prossimo triennio, secondo le stime del sindacato Fabi, il più rappresentativo. Le banche hanno cercato di ridurre il costo del lavoro a bilancio senza passare da una riorganizzazione del settore, “col risultato paradossale di ridurre i lavoratori impiegati allo sportello, dove c’è un deficit visto l’incremento degli orari di lavoro, senza risolvere le eccedenze nei back office, dove si tende a smaltire il surplus attraverso esternalizzazioni”, dice Giulio Romani, segretario Fiba-Cisl.

    Ora ci s’interroga su come ricollocare gli impiegati. Le ipotesi avanzate sulle possibili figure da creare o potenziare sono varie: agenti commerciali, project manager, consulenti per famiglie e imprese, promotori finanziari, oltre all’idea di costituire consorzi tra banche per condividere e gestire il personale in eccesso. Alcune mansioni richiedono una formazione aggiuntiva per chi è già dipendente, quindi una spesa ulteriore per le banche. Sono abilità peraltro introvabili tra i giovani appena laureati, carichi di teorie ma digiuni di pratica. E’ quindi difficile tratteggiare l’identikit del bancario del futuro. Più facile invece cogliere l’urgenza di una riforma onnicomprensiva, utile anche alle banche. “Bisogna capire che modello di banca si vuole costruire nei prossimi cinque-dieci anni e dopodiché trovare strutture di costo flessibili e non rigide come quelle attuali per recuperare redditività”, dice Andrea Beltratti, presidente di Eurizon (Gruppo Intesa). Infine, l’internet banking è un’incognita: a oggi in Italia si svolgono online meno della metà delle operazioni bancarie di Francia e Germania. L’impressione è che magari l’intervento di un istituto estero possa dare la scossa al segmento. Fino ad allora ci sarà un po’ più di tempo per gestire l’impatto sulla forza lavoro.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.