Renzi e Letta, termini di una sfida

Claudio Cerasa

Adesso però bisogna capire: mozione Pulici-Graziani oppure mozione Mazzola-Rivera? Cioè: opzione “dolce e virtuosa e amabile convivenza” oppure opzione “eterno, violento e traumatico conflitto”? Oggi pomeriggio, quando le agenzie cominceranno a battere le parole che Matteo Renzi ed Enrico Letta offriranno più o meno alla stessa ora dai palchi delle feste del Pd di Borgo Sisa e di Genova, si può dire che all’interno del centrosinistra, messa per qualche settimana in cassaforte la questione della stabilità del governo grazie all’abolizione dell’Imu che di fatto condanna il Pdl a dover appoggiare l’esecutivo almeno fino all’abolizione della seconda rata dell’imposta sulla prima casa (ottobre 2013), comincerà a tutti gli effetti un derby molto gustoso che riguarda l’azionista di maggioranza della Grande coalizione: il Pd.

    Adesso però bisogna capire: mozione Pulici-Graziani oppure mozione Mazzola-Rivera? Cioè: opzione “dolce e virtuosa e amabile convivenza” oppure opzione “eterno, violento e traumatico conflitto”? Oggi pomeriggio, quando le agenzie cominceranno a battere le parole che Matteo Renzi ed Enrico Letta offriranno più o meno alla stessa ora (17.30 e 18) dai palchi delle feste del Pd di Borgo Sisa (Forlì) e di Genova (festa nazionale del partito), si può dire che all’interno del centrosinistra, messa per qualche settimana in cassaforte la questione della stabilità del governo grazie all’abolizione dell’Imu che di fatto condanna il Pdl a dover appoggiare l’esecutivo almeno fino all’abolizione della seconda rata dell’imposta sulla prima casa (ottobre 2013), comincerà a tutti gli effetti un derby molto gustoso che riguarda l’azionista di maggioranza della Grande coalizione: il Pd. Naturalmente i protagonisti del derby sono i due gemelli diversi della sinistra, ovvero il presidente del Consiglio Enrico Letta e il segretario in pectore del Pd Matteo Renzi, e l’impressione che si ricava dallo studio delle traiettorie imboccate dai due leader della gauche italiana è che nei prossimi mesi Renzi e Letta potranno anche far finta di nulla, potranno anche continuare ad abbracciarsi in pubblico, a lanciarsi sguardi carichi d’amore, a camminare a braccetto per le strade di Firenze e a battersi il cinque a favore di telecamera (o yea), ma più passa il tempo, più il governo va avanti, più le larghe intese affrontano e risolvono i loro problemi e più i tragitti di Letta e Renzi saranno destinati a ritrovarsi all’interno di una rotta di collisione. Il sindaco di Firenze, come spiega sull’Espresso in un’intervista a Marco Damilano, oggi dice di non voler creare problemi all’amico Enrico e di non voler mettersi di traverso e dice di essere davvero contento se “il governo dura e fa le cose”. Eppure è un fatto che nel centrosinistra i sostenitori della mozione Pulici-Graziani diminuiscano di ora in ora ed è un fatto che a tutti risulti evidente che il problema della convivenza oggi è un problema più di Renzi che di Letta. Ed è un problema che, a ben vedere, sta tutto nel paradosso temporale relativo alla galoppata del Rottamatore. E il paradosso è questo: Renzi, nonostante l’anagrafe amica, sente improvvisamente l’orologio politico che fa “tic tac”, che gli annuncia inesorabilmente il rischio di un invecchiamento politico e che lo mette di fronte a un rischio mica da poco: a ogni tic tac somigliare sempre di più ai suoi avversari di un tempo.

    Al netto di tutte le disquisizioni politico-culturali che riguardano la sfida tra Renzi e Letta, ad allargare sempre di più il delta tra il sindaco di Firenze e il presidente del Consiglio non c’è soltanto un modo diverso di intendere la politica, di osservare la società e di relazionarsi con gli strumenti di governo, e non c’è solo la famosa differenza che esiste tra la politica del cacciavite (Letta) e la politica del trapano (Renzi), ma c’è anche un problema legato a un percorso in cui il Rottamatore rischia di avvitarsi: un percorso in cui, essendo destinato a diventare il capofila del partito anti governativo del centrosinistra (quello che sogna di vedere il prima possibile schiantarsi contro uno scoglio il galeone del governo), per forza di cose Renzi perderà parte del suo charme riformista. E tra un abbraccio con Nichi Vendola, un’intesa con Leoluca Orlando, un give-me-five con Luigi De Magistris, un accordo con Michele Emiliano e una coccola di Rep., il Rottamatore corre il pericolo di rimanere prigioniero del suo improvviso spostamento a sinistra e di accelerare un altro fenomeno paradossale:  osservando il “Matteo” di qualche tempo fa (quello della Leopolda 2010-2011-2012, quello del dialogo con il centrodestra, quello della lontananza dalla Cgil, quello della distanza da Vendola), non c’è dubbio che tra Renzi e Letta, dal punto di vista dei contenuti, oggi il renziano doc tra i due sia più Letta che Renzi.
    I renziani sostengono che questo slittamento sia calcolato, non casuale, e che sia dovuto al fatto che senza uno spostamento a sinistra sarebbe complicato conquistare il Pd (ed evitare poi di fare la fine di Romano Prodi, che si presentò all’appuntamento con Palazzo Chigi senza avere in mano un partito). Gli stessi collaboratori del sindaco ammettono anche che oggi Renzi somigli più a Prodi che al vecchio Renzi ma si dicono fortemente convinti che nonostante il renzismo momentaneo di Letta difficilmente il presidente del Consiglio avrà la forza di far pesare alle elezioni il suo possibile consenso maturato nel paese.

    E dunque, dicono i renziani, in realtà la sfida tra Renzi e Letta non esiste: perché è vero che Letta oggi ha sondaggi personali pazzeschi (testa a testa con Renzi nel gradimento degli italiani) ed è vero che i lettiani dicono che se cadrà il governo Enrico si candiderà alle elezioni; ma in realtà, è questa la versione dei rottamatori, non appena le larghe intese finiranno, Enrico capirà che non avrà possibilità di giocare una sua partita nell’agone elettorale (“a meno che non si illuda che il sostegno di Stumpo e Zoggia possa essere sufficiente per conquistare una coalizione”) e dunque farà un passo indietro e aspetterà nuovamente il suo turno. Semmai, all’interno di questa cornice, il sospetto inconfessabile del sindaco di Firenze – che si indovina dietro una frase offerta oggi all’Espresso (“le larghe intese non possono diventare una ideologia”) – è che in realtà la sfida del futuro con l’amico Enrico un domani potrebbe essere combattuta da due partiti diversi, perché – come dice al Foglio uno dei più stretti collaboratori del sindaco – “il vero tema è se Enrico, andando avanti con il tempo, riuscirà a trasformare questo governo in un partito, diventando anche lui per il centrodestra il punto di riferimento del post berlusconismo”. Nonostante Renzi e il suo cantuccio magico si dicano sostenitori della mozione Pulici-Graziani (“Enrico e Matteo in teoria sarebbero compatibili persino nei loro difetti”), a giudicare dagli ingredienti utilizzati da Renzi per condire la sua corsa alla guida del Pd, è difficile però negare che una volta conquistata la segreteria aumenti per Renzi il rischio di diventare la tessera numero uno del partito degli sfascisti. E si capisce bene dunque perché i primi a non credere alla convivenza virtuosa, e a temere uno scontro mortale tra il cacciavite di Enrico e il trapano di Matteo, si trovino più a Palazzo Chigi che a Palazzo Vecchio.

    Da mesi ormai i rapporti tra Renzi e Letta, al di là della diplomazia di facciata, sono ogni giorno meno amichevoli e calorosi. In fondo Letta sa perfettamente che quando Renzi dice “il Pd dovrà incalzare ogni giorno questo governo con una sua proposta” lo spirito costruttivo nasconde il principio di una battaglia inevitabile. Una battaglia che il sindaco di Firenze promette di combattere puntando sui temi economici (diminuzione dell’Irpef, lotta alle pensioni d’oro, critiche circostanziate anche al “regalo” fatto al Pdl sull’Imu, e nelle prossime ore dal fronte renziano potrebbero arrivare bordate di fuoco amico sul tema). Una battaglia che i vecchi eredi del Pci (che ovviamente accettano a fatica il fatto che le prime due stelle del centrosinistra oggi siano due ex Dc) osserveranno con piacere e divertimento sperando che i due demo-toscani del Pd riescano nell’impresa di farsi male a vicenda. E una battaglia che per forza di cose il sindaco, spinto dai molti falchi che svolazzano sul cielo della sinistra, sarà costretto dunque a combattere con il premier. Un po’ per inerzia. Un po’ per non perdere freschezza. Un po’ per non scontentare gli sfascisti. Un po’ per tenere insieme la sinistra. Un po’ per tutto questo. E soprattutto con la consapevolezza che a ogni giro di orologio, e a ogni tic tac, Renzi rischia di essere sempre meno Renzi e di somigliare sempre di più, tafazzianamente, ai suoi avversari di un tempo.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.