Voto di castità

Renzi e le elezioni a febbraio per evitare la sindrome Prodi

Claudio Cerasa

Sul calendario di Matteo Renzi, il mese cerchiato con un tratto di matita rossa in cui provare a far scattare l'operazione X, e verificare con le buone o con le cattive se il governo guidato dall'“amico” Enrico (Letta) ha davvero la forza di andare avanti in questa complicata legislatura, al contrario di quello che si potrebbe credere non si trova sull'agenda 2013 ma si trova all'inizio del prossimo anno, tra febbraio e marzo 2014, quando il percorso che il sindaco ha in testa per conquistare il centrosinistra potrebbe arrivare a un punto utile a scongiurare quello che oggi, come confessano molti parlamentari del “cantuccio magico renziano”, è il vero incubo del Rottamatore: fare la fine di Romano Prodi.

    Sul calendario di Matteo Renzi, il mese cerchiato con un tratto di matita rossa in cui provare a far scattare l’operazione X, e verificare con le buone o con le cattive se il governo guidato dall’“amico” Enrico (Letta) ha davvero la forza di andare avanti in questa complicata legislatura, al contrario di quello che si potrebbe credere non si trova sull’agenda 2013 ma si trova all’inizio del prossimo anno, tra febbraio e marzo 2014, quando il percorso che il sindaco ha in testa per conquistare il centrosinistra potrebbe arrivare a un punto utile a scongiurare quello che oggi, come confessano molti parlamentari del “cantuccio magico renziano”, è il vero incubo del Rottamatore: fare la fine di Romano Prodi. La questione è semplice ed è utile da affrontare per capire la ragione per cui il sindaco di Firenze non ha (più) tutta questa fretta di andare a votare, e per cui dunque Renzi non offrirà né al Pd né al Pdl una sponda per tornare subito al voto.

    “Matteo – racconta al Foglio un amico del sindaco – ha capito che per lui lo scenario migliore è quello del voto nei primi mesi del prossimo anno. Se la situazione dovesse precipitare per lui la partita diventerebbe più complicata: sarebbe il candidato naturale della coalizione, immagino, ma non avrebbe il tempo di conquistare il Pd, per coprirsi le spalle e allontanare definitivamente la sindrome Romano Prodi”. Tradotto significa che quel “non mi faccio fregare” ripetuto da alcuni mesi con una certa ossessione dal sindaco non coincide più soltanto con la vecchia e un po’ soporifera battaglia relativa alle regole congressuali (primarie aperte sì primarie aperte no primarie aperte nì) ma coincide con una nuova convinzione maturata negli ultimi tempi: per provare a governare il paese non si può prescindere dall’avere in mano il partito e non si può fare a meno di conquistare i veri luoghi di comando del Pd.
    “Molti dei dirigenti del mio partito – dice Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori Pd – che consigliano a Renzi, per non perdere il treno della futura premiership, di rinunciare alla corsa per la leadership lo fanno con una punta di malizia: come se volessero avere la certezza un domani di avere il controllo del partito per poter poi, come successo sia con Romano Prodi sia con Francesco Rutelli, ingabbiare il candidato premier. Renzi ha capito che la strada per sfuggire a un abbraccio mortale, e non diventare la solita stella cadente del progressismo italiano, ostaggio di tanti piccoli e minacciosi alleati, è quella di scalare il partito, di far coincidere, come succede in tutti i paesi europei, premiership e leadership, ed è evidente che sotto questo punto di vista andare a votare subito per lui potrebbe essere pericoloso”.

    In questo senso, gli interventi che Renzi farà nei prossimi giorni alle feste del Pd (venerdì Forlì, domenica Genova) non avranno nulla di incendiario e saranno finalizzati a prendere tempo, a marcare il territorio e proseguire la marcia alla conquista del partito (marcia che comincerà alla fine del mese, dopo l’assemblea nazionale del Pd, 20 e 21 settembre, in cui verranno finalmente definite le regole). In questo quadro in lenta composizione, il sospetto del sindaco è che nel Pd si stia andando a consolidare il fronte formato dei suoi avversari interni (“dobbiamo smetterla dice il renziano Dario Nardella – di dare l’impressione di voler puntare su elezioni anticipate per evitare il congresso”). Un fronte che pur di non regalare il partito al Rottamatore potrebbe essere tentato dal fare esplodere in modo irreparabile le contraddizioni all’interno del governo e andare così alle elezioni anticipate scommettendo sulla discesa in campo di Enrico Letta (scenario questo che a dire il vero, anche considerando i venti di guerra che arrivano dalla Siria, sembra essere ogni ora più lontano). Sospetti a parte, come spiega in conclusione un esponente del Pd molto vicino al Rottamatore, “il vero punto è che Matteo oggi si trova ad affrontare un passaggio molto stretto, in cui sia andare a votare troppo presto sia andare a votare troppo tardi potrebbe diventare pericoloso: nel primo caso sarebbe ostaggio del Pd e dei suoi mille alleati; nel secondo caso rischierebbe di essere inghiottito dal suo partito e di perdere la sua freschezza. Il percorso dunque è complicatissimo, ed è per questo che Matteo oggi ha scelto un profilo defilato. Ma se il governo andrà avanti e lui diventerà segretario è ovvio che l’operazione X, se scatterà, scatterà non oggi ma un minuto dopo la sua elezione alla guida del Pd”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.