Ecco i sette eroi della guerra al Monopoly contro l'Umorista collettivo

Guido Vitiello

Onore alla Brigata leggera, onore ai sette deputati del Pd che con una lettera all'ambasciatore degli Stati Uniti hanno dichiarato guerra al nuovo Monopoly, dove il mattone cederà il passo alla speculazione in Borsa e i manigoldi la faranno franca, perché non ci sarà più la casella della prigione. Onore ai sette eroi, e non tanto perché hanno sfidato la multinazionale del giocattolo Hasbro, ma perché si sono offerti a petto nudo al fuoco dell'Umorista collettivo che presidia la valle dei social network con schiere ben più folte e agguerrite dei russi a Balaklava. Un nuovo Tennyson celebrerà un giorno la loro impresa

    Onore alla Brigata leggera, onore ai sette deputati del Pd che con una lettera all’ambasciatore degli Stati Uniti hanno dichiarato guerra al nuovo Monopoly, dove il mattone cederà il passo alla speculazione in Borsa e i manigoldi la faranno franca, perché non ci sarà più la casella della prigione. Onore ai sette eroi, e non tanto perché hanno sfidato la multinazionale del giocattolo Hasbro, ma perché si sono offerti a petto nudo al fuoco dell’Umorista collettivo che presidia la valle dei social network con schiere ben più folte e agguerrite dei russi a Balaklava. Un nuovo Tennyson celebrerà un giorno la loro impresa: “Cannoni alla loro destra, cannoni alla loro sinistra, cannoni davanti a loro sparavano e tuonavano; tempestati da palle e proiettili, cavalcarono coraggiosamente dritti nelle mandibole della Morte”. Si è già cannoneggiato molto, ieri. Si potrebbe aggiungere, da maramaldi, che è tutta una questione di accento, e che i sette hanno scambiato il grande tema liberale della lotta ai monopoli con la lotta al Monopoly; che un partito che non riesce ad accordarsi sulle regole delle primarie farebbe meglio a non metter bocca sulle regole di un gioco da tavolo; che paventare gli effetti diseducativi del Monopoly è come domandarsi se la moralità dei giovani sia a rischio perché la Susi del “Quesito con la Susi” della Settimana Enigmistica è troppo popputa. Ma perché infierire?

    Onore alla Brigata leggera, e l’onore non basta, ci vuole anche un po’ di sostegno patriottico. Ecco, potremmo cominciare dicendo che chiedere all’ambasciatore di intervenire perché un gioco contraddice “la chiave etica del presidente” non è la via migliore, salvo che si tratti di ambasciatore iraniano o kazaco. I sette prodi dovrebbero semmai, con un sussulto autarchico, proporre di bloccare alla frontiera il gioco della finanza allegra e impunita, per sostituirlo con una variante italiana dove i ladri non sfuggano alla prigione. Esiste già, o meglio è esistita. Si chiamava “Tangentopoli”, e la lanciò a Natale del 1992 la G.E.Mi (Grandi Edizioni Milanesi) sull’onda della grande infatuazione manettara. Così si legge sul retro della scatola: “E’ un gioco di abilità e cultura. Consiste in una gara per arrivare al Grande Appalto. Ogni concorrente ha un dado e un miliardo a disposizione. Lungo il percorso di Tangentopoli i concorrenti sono sottoposti a Interrogatori e Intercettazioni telefoniche che premiano i giocatori più onesti. A condurre il gioco è il Magistrato che può emettere Mandati di cattura, ascoltare le delazioni degli Inquisiti e raccogliere le confessioni dei Pentiti”.

    A ogni casella del tabellone, ma vorremmo dire del casellario, il Magistrato fa una domanda, una specie di Trivial Pursuit forcaiolo volto ad accertare che il giocatore abbia assimilato una corretta versione pan-giudiziaria della storia italiana e mondiale. Le materie sono molte. Agiografia dei pm di Mani pulite: “Di quale segno zodiacale è, ovviamente (sic), Di Pietro?” (Bilancia). Rudimenti di codice penale: “Per il reato di corruzione è prevista solo una pena detentiva o anche una pena pecuniaria?”. Ipernozionismo da mascariatore: “Chi è il figlio di un ex presidente della Repubblica indiziato per truffa?”. Cultura pop rivisitata: “Chi è il commissario Basettoni?” (tre opzioni: un personaggio di Topolino, un giudice della Tangentopoli romana, un collega di Di Pietro). La rieducazione si estendeva alla storia sacra (“Quanti flagelli mandò Dio sull’Egitto per riparare a Egittopoli?”), alla geometria (“Come si chiama quella retta che tocca una curva senza intersecarla?” Tangente) e, cosa più preoccupante, all’immaginario erotico. Perché ce ne vuole, ce ne vuole davvero, per rispondere alla domanda: “Che cosa hanno in comune le attrici Sofia Loren e Laura Antonelli?” con “Sono state tutte e due in carcere” (l’ineccepibile risposta “tette grosse” sarebbe da rigettare perché, da regolamento, è il Magistrato a decidere insindacabilmente qual è la verità in caso di controversie).
    Ecco, il Fatto quotidiano non esisteva ancora, ma la forma mentis dei nuovi sanculotti e fanculotti era tutta lì, in quel gioco di vent’anni fa. Avremmo dovuto prenderlo sul serio, tanto più che così si presentava al pubblico: “Tangentopoli è un gioco appassionante e divertente: anzi, è molto più di un gioco!”. Appunto.