La svolta statistica

L'Eurozona riemerge da una lunga recessione meglio del previsto

Alberto Brambilla

L’Eurozona è ufficialmente uscita dalla più lunga recessione mai sperimentata dal Dopoguerra a oggi. Ma, come avvertono diversi osservatori, la crescita economica nei paesi della moneta unica è lontana dall’essere stabile perché è tuttora minacciata dalla persistente stretta del credito bancario ed è appesantita dal fardello dei debiti pubblici che i governi faticano a ridurre. Ieri l’ufficio di statistica europeo, l’Eurostat, ha comunicato che nel complesso il prodotto interno lordo dei diciassette paesi della moneta unica è cresciuto dello 0,3 per cento nel secondo trimestre rispetto al primo, dopo una contrazione durata diciotto mesi.

    L’Eurozona è ufficialmente uscita dalla più lunga recessione mai sperimentata dal Dopoguerra a oggi. Ma, come avvertono diversi osservatori, la crescita economica nei paesi della moneta unica è lontana dall’essere stabile perché è tuttora minacciata dalla persistente stretta del credito bancario ed è appesantita dal fardello dei debiti pubblici che i governi faticano a ridurre.
    Ieri l’ufficio di statistica europeo, l’Eurostat, ha comunicato che nel complesso il prodotto interno lordo dei diciassette paesi della moneta unica è cresciuto dello 0,3 per cento nel secondo trimestre rispetto al primo, dopo una contrazione durata diciotto mesi.  Su base trimestrale è l’espansione più rapida dal gennaio 2011. Il dato è migliore delle attese degli esperti interpellati sia dall’agenzia Bloomberg sia dal quotidiano Wall Street Journal che una settimana fa avevano stimato una crescita dello 0,2 per cento. A confronto con lo stesso periodo di un anno fa (aprile-giugno) il pil resta però negativo dello 0,7 per cento. 

    Anche se Eurostat non ha provveduto a comunicare le origini di questa frazionale crescita, gli economisti ritengono sia giustificata dall’aspettativa di un incremento dei consumi privati e delle esportazioni. A guardare le economie nazionali, il miglioramento è da ricondurre alla ripresa della Germania, il più vivace tra i paesi industrializzati del G7, mentre alcune economie dell’area euro segnano un miglioramento più contenuto rispetto a Berlino e altre, al contrario, restano in contrazione. La Germania vede il migliore trimestre da un anno a questa parte con una crescita dello 0,7 per cento sulla base dei progressi dell’attività industriale e del rimbalzo della domanda interna, come evidenziava martedì l’analisi dell’istituto di ricerca Zew. Il pil francese è cresciuto dello 0,5 per cento, cosa che non mette comunque al riparo il presidente socialista, François Hollande, dalle critiche degli industriali già fiaccati dalla debole attività manifatturiera e indispettiti dalla timidezza del governo nel guidare la politica industriale del paese. La sorpresa del giorno è rappresentata dal Portogallo, paese sotto bailout internazionale e destabilizzato dalle defezioni nella coalizione di governo alla vigilia delle elezioni locali di settembre, cresciuto però dell’1,1 per cento (il tasso più alto d’Europa). Anche le economie di Austria, Belgio, Slovacchia e Finlandia sono migliorate. Quelle di Spagna, Olanda e Italia invece sono ancora in declino sebbene in modo meno vistoso rispetto al primo trimestre di quest’anno. Il pil italiano è rimasto negativo per lo 0,2 per cento. E gli economisti sono scettici sulla possibilità che il paese agganci una solida ripresa senza quelle riforme da tempo invocate dagli organi internazionali. Il capoeconomista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, ad esempio, ha sostenuto sul settimanale Panorama in edicola che per i paesi del sud della zona euro è “indispensabile accrescere la competitività per approfittare della ripresa” il che “per l’Italia significa invertire la tendenza del calo della produttività che va avanti da due decenni”, solo allora, dice Padoan, “saremo veramente fuori dalla crisi”. Secondo altri analisti, attenti alla depressa area euromediterranea, in particolare riguardo alla Grecia (dove la recessione dura da cinque anni), “il ritorno a un tasso modesto di crescita non corregge i profondi problemi economici e fiscali dei paesi periferici”, ha detto Jonathan Loynes, capoeconomista della società di ricerca Capital Economics. Con la stessa cautela si è espresso anche il commissario agli Affari economici Olli Rehn: “Spero non ci siano premature dichiarazioni di autocompiacimento che suggeriscono la fine della crisi”, ha detto Rehn.

    La Germania è egemone solo nei numeri
    Berlino è il traino non solo dell’Eurozona ma anche dei paesi dell’est membri dell’Unione europea: anch’essi rifiatano. I tedeschi fanno da pivot. Ma il cancelliere Angela Merkel in un momento di ottimismo si sta dimostrando paradossalmente disfattista. Forse per logiche elettorali, in vista delle elezioni federali di settembre, nel tentativo di cogliere il consenso degli euroscettici ha detto in un’intervista alla tv Phoenix e alla radio Deutschlandfunk che non è necessario avere “più Europa” attraverso un rafforzamento delle istituzioni comunitarie di Bruxelles, ma invece “attraverso una migliore cooperazione tra i paesi membri dell’Unione europea”. Una discussione, quella sulle “competenze” della Commissione Ue che avrà luogo all’interno del governo tedesco “dopo le elezioni del Bundestag”, ha detto. Sarà l’Europa stessa il prossimo target di Berlino?

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.