Napolitano, la nota e la lotta delle due sinistre di fronte al partito Quirinale

Claudio Cerasa

La lunga nota con cui ieri Napolitano ha risposto con cordiale severità alla richiesta del Pdl di trovare un modo per garantire a Berlusconi una forma di agibilità politica dopo la conferma in Cassazione della condanna Mediaset (richiesta respinta nell’immediato, perché le sentenze si commentano ma le condanne si rispettano,  ma la cui semplice risposta ha indignato una buona parte della sinistra) ha contribuito ad arricchire le pagine di uno dei romanzi più gustosi di questa fase finale della Seconda Repubblica: il rapporto tra il capo dello stato e il Pd.

    La lunga nota con cui ieri Napolitano ha risposto con cordiale severità alla richiesta del Pdl di trovare un modo per garantire a Berlusconi una forma di agibilità politica dopo la conferma in Cassazione della condanna Mediaset (richiesta respinta nell’immediato, perché le sentenze si commentano ma le condanne si rispettano,  ma la cui semplice risposta ha indignato una buona parte della sinistra) ha contribuito ad arricchire le pagine di uno dei romanzi più gustosi di questa fase finale della Seconda Repubblica: il rapporto tra il capo dello stato e il Pd. Anche il singolo ma importante episodio della nota quirinalizia, come ormai gran parte degli atti pubblici di Re George, è stato giudicato dal Pd, specie nel suo passaggio sulla necessaria stabilità del governo, attraverso l’utilizzo di due diverse lenti d’ingrandimento con le quali da anni i principali esponenti del Pd esaminano l’azione del presidente della Repubblica. La prima lente è quella con cui una parte del Pd non perde occasione per mettere in evidenza le ragioni che fanno di Napolitano un “faro”, una “guida,” un “maestro”, un “modello”, un “esempio” e un campione di quel riformismo di cui da anni il Pd è alla ricerca disperata.

    La seconda lente, invece, è una lente con cui una parte nemmeno piccola del Pd non perde occasione per mettere in evidenza le ragioni che fanno di Napolitano un presidente serio, responsabile, autorevole ma di cui qualche volta non si può proprio fare a meno di diffidare. In un certo senso, si può dire che le ragioni che esistono alla base del pregiudizio positivo o negativo nei confronti del Presidente della Repubblica si trovano tutte delineate all’interno del discorso pronunciato alle Camere lo scorso venticinque aprile, quando, andando a pescare nel proprio bagaglio culturale della più limpida tradizione migliorista, Napolitano ha messo sul piatto una precisa idea di che cosa debba essere oggi la (sua) sinistra: un partito che non può mettere gli interessi del partito prima degli interessi del paese e che anche nei momenti di difficoltà non può dimenticare (a) che le istituzioni vengono sempre prima del partito e (b) che un partito serio e riformista non può che trovare il suo interesse all’interno dell’interesse nazionale. Tradotto dal politichese, il ragionamento di Napolitano, ripetuto ieri in quel passaggio in cui il presidente ha ribadito in modo categorico che “lo scioglimento anticipato delle Camere è un’ipotesi arbitraria e impraticabile”, viene visto con entusiasmo da tutti coloro che, in nome della realpolitik, della stabilità del paese e del principio di realtà, sostengono con convinzione il governo e l’inevitabile proseguimento dell’esperienza delle larghe intese, mentre viene osservato con diffidenza e sospetto da quella sinistra che scalpita per togliersi di dosso le rigide catene della grande coalizione e che intravede nell’opera di Napolitano “una matrice culturale che – come racconta al Foglio un deputato del Pd – porta da tempo il presidente a essere subalterno alle letture dell’establishment europeo”.

    In altri termini, la Sinistra Wikileaks, potremmo chiamarla così, che non certo per caso spesso si trova in sintonia con i deputati del Cinque stelle, accusa nemmeno troppo velatamente Napolitano di essere stato, in nome della sua eccessiva realpolitik, uno dei responsabili della crisi politica del nostro paese e del decadimento del Pd. E in questo senso, lontano dai taccuini, la gauche democratica ma non napolitaniana argomenta la sua valutazione più o meno con questa tesi: “Napolitano è il presidente che ci ha impedito di andare alle elezioni nel 2011, che ci ha costretti ad appoggiare il governo Monti, che ci ha impedito di battere facilmente alle elezioni nel 2011 Berlusconi, che ci ha obbligato a sostenere l’austerity della grande coalizione, che ha permesso a Berlusconi di risorgere, che non ci ha fatto fare il governo di cambiamento, che ci ha costretto ad allearci con il Pdl e che probabilmente ci costringerà a sostenere ancora a lungo un governo come quello di Letta che alla lunga rischia di spappolare il nostro partito”. Anche ieri, se vogliamo, la nota di Napolitano ha alimentato all’interno del Pd i pregiudizi negativi e positivi rivolti verso il presidente, ed è evidente che più si andrà avanti nel tempo e più il Partito democratico – che di fatto dallo scorso 19 aprile, giorno delle dimissioni di Pier Luigi Bersani dalla segretaria, si trova sotto il commissariamento forzato del Quirinale – dovrà fare i conti con chi, sul fronte Sinistra Wikileaks, proverà a mettere a dura prova il partito del presidente della Repubblica, e portando avanti la tesi che la stabilità del paese non può mettere a repentaglio la vita e l’identità di un partito e giocando di sponda con chi nel Pdl vorrebbe utilizzare la condanna di Berlusconi per sfasciare tutto e tornare alle elezioni.

    All’interno di questa divaricazione tra sinistra napolitaniana e non napolitaniana, che con un certo anticipo venne ben descritta nel 2010 in un gustoso libro uscito per Donzelli firmato da Enrico Morando (“Dal Pci al Pd. I miglioristi nella politica italiana”), sarà poi importante osservare il modo in cui si andrà a muovere il segretario in pectore del Pd, e possibile candidato premier, Matteo Renzi. Il sindaco, per una questione d’inerzia e di opportunità, potrebbe essere tentato, per accelerare la caduta del governo, dall’intestarsi la guida di quel partito che intravede nell’argine di Napolitano, e nella declinazione del suo principio di realtà, un pericoloso ostacolo sul proprio itinerario. Eppure, come d’altronde in molti stanno suggerendo a Renzi, l’unica via possibile che ha di fronte a sé il rottamatore forse è proprio quella di iscriversi al partito di Napolitano e di costruire in sintonia con il Re della Repubblica il suo personale percorso politico. Altre strade per Renzi – anche per il modo in cui da mesi prova a differenziarsi dalla sinistra grillina – non si vedono, la logica di Napolitano in fondo non lascia grandi margini di manovra e in questo senso il sindaco, se sarà abile a muoversi nei prossimi mesi e a leggere con intelligenza la nota di ieri del Quirinale, capirà presto che la sua forza futura sta tutta lì: nell’indossare con intelligenza gli abiti del corazziere democratico e fare di tutto per convincere il paese che Renzi, nonostante una certa confidenza con le ruspe, non ha alcuna intenzione di prendere la tessera numero uno del partito degli sfascisti.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.