Niente ergastolo siamo il Pd

A settembre i dem vogliono abolire il “fine pena mai”

Claudio Cerasa

Qualche giorno fa, proprio su questo giornale, il responsabile Giustizia del Pd, l’onorevole Danilo Leva, trentacinque anni, scuola dalemiana, prima esperienza in Parlamento, ha accettato di affrontare in un momento molto complicato (sentenze della Cassazione, reazioni della base del Pd, fragilità della grande coalizione) uno dei temi che per forza di cose, come ricordato ieri anche dal presidente della Repubblica, oggi si trova al centro del dibattito tra i due azionisti di maggioranza delle grandi intese: la riforma della giustizia.

    Qualche giorno fa, proprio su questo giornale, il responsabile Giustizia del Pd, l’onorevole Danilo Leva, trentacinque anni, scuola dalemiana, prima esperienza in Parlamento, ha accettato di affrontare in un momento molto complicato (sentenze della Cassazione, reazioni della base del Pd, fragilità della grande coalizione) uno dei temi che per forza di cose, come ricordato ieri anche dal presidente della Repubblica, oggi si trova al centro del dibattito tra i due azionisti di maggioranza delle grandi intese: la riforma della giustizia. Leva, che con il Foglio ha messo sul piatto riflessioni legate alla riforma del processo penale e della giustizia civile, è stato criticato sul Fatto prima da Marco Travaglio e poi da Gian Carlo Caselli, che gli hanno rimproverato (vergogna!) di aver scelto il Foglio (orrore!) per parlare di giustizia (oltraggio!). Ma nonostante le critiche Leva decide di insistere sul tema e, ancora al Foglio (vergogna!), dice che “la giustizia non può essere un tabù che si può affrontare solo quando fa comodo a qualcuno”; rivendica il coraggio del Pd nel “voler riformare adesso la giustizia senza paura dei nostri avversari, e senza timore di mettere a repentaglio la nostra identità, che è più forte di quanto qualche buontempone ci voglia far credere”; e conferma che non appena riapriranno le Camere il Pd presenterà una proposta per applicare l’articolo 27 della Costituzione, quello che dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In che modo? Proponendo l’abolizione dell’ergastolo. “Io mi occupo di giustizia e credo davvero che riformando questo settore si aiuta l’Italia a recuperare competitività. Siccome poi uno dei termometri per misurare lo stato di civiltà di un paese è osservare le carceri è doveroso per un partito come il nostro trovare un modo per cambiare lo status quo”.

    Leva si spiega meglio e continua la riflessione citando una celebre frase di Albert Camus. “Nella nostra civilissima società la gravità del male è rivelata dalla reticenza con cui se ne parla, diceva Camus sulla pena di morte, e in qualche modo noi oggi potremmo estendere questo discorso all’ergastolo. Ritornare a discutere di carcere a vita, a mio modo di vedere, è più che necessario. La pena dell’ergastolo è la più disumana che esista nel nostro ordinamento, perché ammazza una persona lasciandola viva, togliendole ogni possibilità di guardare al futuro, strappandole capacità e inclinazioni e privandola di qualsiasi prospettiva. Lo stato non può rinunciare a priori al recupero e al reinserimento sociale di un condannato, e se noi diciamo che la Costituzione più bella del mondo è la più bella del mondo non possiamo dimenticarci che è la Costituzione che ci chiede di rieducare i detenuti, e non solo di punirli”. Secondo Leva – che dice di non voler firmare i referendum radicali (che in uno dei quesiti propongono di abolire l’ergastolo) perché è convinto che un partito di governo come il Pd debba fare queste battaglie in Parlamento – “quella sull’ergastolo è una battaglia di civiltà che rimanda all’impianto costituzionale della pena e che è da ricondurre nel solco della cultura giuridica europea; e siccome l’articolo 27 della Costituzione mal si concilia con la prospettiva di una pena ‘edittamente perpetua’” non si può stare a guardare”. Leva, sfidando il tintinnio delle penne dei cronisti ammanettati con le procure, aggiunge un altro dettaglio. “In Italia, anche se qualcuno a volte dimentica di ricordarlo, esiste il così detto ‘ergastolo ostativo’ ai benefici penitenziari, con il quale è negato ogni beneficio penitenziario, ogni misura alternativa al carcere e si rende la pena un effettivo ‘fine pena mai’. In questo senso, la sostituzione dell’ergastolo con una lunghissima e certa detenzione di trent’anni rappresenta il tentativo di rendere effettivo l’articolo 27 della Costituzione, con l’obiettivo di evitare di tenere in carcere una persona quando non sia più necessario. Non si possono confondere questi principi con il lassismo verso la criminalità o, peggio ancora, ‘come un regalo ai boss mafiosi’. Credo invece siano maturi i tempi per i quali un grande paese come l’Italia, per un simile tema, si interroghi e discuta; perché, in fondo, si tratta di un dibattito relativo ad una parte della Costituzione e, quindi, alla nostra identità. E quando dico nostra non parlo solo del Pd, parlo del nostro paese”.  

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.