Così Zingaretti prepara il suo Big Bang. Un dossier inedito

Claudio Cerasa

Qualche giorno fa, il Foglio è entrato in possesso di un documento che nei prossimi giorni potrebbe diventare l’oggetto di una gustosa battaglia politico-culturale tra due pezzi da novanta della nuova sinistra italiana: da un lato Matteo Renzi e dall’altro Nicola Zingaretti. L’autore di questo documento, però, non è il sindaco di Firenze, che pure da mesi sta scrivendo la sua mozione congressuale, ma è invece il neo presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti; che, pur non essendo in procinto di candidarsi a nessuna carica nazionale, cinque mesi dopo la vittoria ottenuta in regione ha scelto di muovere i primi passi per costruire, dall’interno del Pd, una propria rete capace di mettere insieme idee e persone non legate soltanto alla cerchia delle singole esperienze romane.

    Qualche giorno fa, il Foglio è entrato in possesso di un documento che nei prossimi giorni potrebbe diventare l’oggetto di una gustosa battaglia politico-culturale tra due pezzi da novanta della nuova sinistra italiana: da un lato Matteo Renzi e dall’altro Nicola Zingaretti. L’autore di questo documento, però, non è il sindaco di Firenze, che pure da mesi sta scrivendo la sua mozione congressuale, ma è invece il neo presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti; che, pur non essendo in procinto di candidarsi a nessuna carica nazionale, cinque mesi dopo la vittoria ottenuta in regione ha scelto di muovere i primi passi per costruire, dall’interno del Pd, una propria rete capace di mettere insieme idee e persone non legate soltanto alla cerchia delle singole esperienze romane. Il documento in questione è ancora in lavorazione ma al momento si può dire che le bozze alle quali il Foglio ha avuto accesso (si tratta di quarantaquattro pagine) costruiscono di fatto il fulcro di un’iniziativa politica, una specie di “Big bang” zingarettiano, che il presidente della regione vorrebbe organizzare in autunno, quando darà vita a una Rete simile a quella creata durante la campagna elettorale per le regionali. All’epoca, il Network serviva per costruire il programma per governare il Lazio. Oggi il nuovo Network – che avrà lo stesso nome utilizzato da Zingaretti durante la sua campagna elettorale, “Immagina” – servirà invece per creare una piattaforma di livello nazionale. Per fare cosa? Ai suoi collaboratori, recentemente Zingaretti ha detto che “il mio progetto è quello di fare solo bene il mio mestiere, ovvero fare bene il presidente della regione, ma allo stesso tempo credo sia giusto entrare in contatto con il resto dell’Italia e dare un contributo al Pd per ricominciare a fare davvero il Pd”. Nel Pd, però, in molti, soprattutto sul fronte renziano (dove da qualche tempo a questa parte esiste una sorta di piccola ossessione legata al tema “che cosa farà Zingaretti”) sospettano che il percorso del presidente sia ormai chiaro: oggi governare la sua regione e domani prepararsi a governare il paese. In realtà, considerando che Zingaretti è stato eletto appena sei mesi fa, è difficile, impossibile, pensare che il governatore stia preparando una sua imminente campagna elettorale (anche se nel Pd, nell’ultimo mese, diversi esponenti della sinistra del partito, alcuni dei quali molto legati a Bersani, hanno chiesto a Zingaretti la sua disponibilità a candidarsi alla segreteria del Pd, ma Zingaretti ha sempre declinato l’invito). Detto ciò, però, se questo governo dovesse andare avanti e se la data delle elezioni dovesse slittare nel tempo (e se i famosi diciotto mesi di vita del governo Letta dovessero essere rispettati) non c’è dubbio che a quel punto si aprirebbe una partita diversa (seppur ancora lontana nel tempo). Una partita all’interno della quale, dicono da tempo nel Pd, Renzi e Zingaretti, per molti versi, potrebbero mettere in scena una sfida simile a quella che in un passato recente hanno combattuto da un lato Walter Veltroni e dall’altro Massimo D’Alema.

    A sfogliare le circa quaranta pagine delle bozze si scopre però che quello che un domani potrebbe diventare il manifesto politico del presidente della regione è difficilmente etichettabile all’interno di una vecchia dialettica riformisti-laburisti di sinistra. E almeno nelle intenzioni il documento punta a essere una proposta di compromesso tra le varie anime in eterna ebollizione del Pd, e in particolare, se così si può dire, tra renzismo e bersanismo. Il manifesto è diviso in sei punti (Europa, Equità, Sapere, Efficienza Stato, Bellezza, Innovazione), parte da una feroce critica ai fallimenti compiuti dalla destra negli ultimi vent’anni ma contiene anche una serie di indicazioni utili a comprendere le ragioni per cui, in questi anni di fallimenti della destra, la sinistra non è riuscita ad approfittarne. “L’Italia – scrive Zingaretti, riferendosi tanto agli errori commessi in quest’arco temporale sia dalla destra sia dalla sinistra  – in questi anni è rimasta spesso aggrappata a una vecchia liana, restando ferma, incapace di vedere la nuova liana da prendere, troppo spaventata, troppo incerta per vedere il nuovo appiglio da afferrare per andare oltre”. In particolare, Zingaretti rimprovera alla destra di aver bloccato il paese e di aver contribuito in modo decisivo alla decrescita del paese, ma nonostante ciò il governatore non manca di regalare stoccate a chi ha guidato la sinistra in questi anni. Già, ma in che senso?

    I due concetti forse più significativi che Zingaretti proporrà di mettere al centro del progetto di ricostruzione del Pd – il titolo provvisorio del documento è “Sconfiggere la paura” – riguardano da un lato il tema di che cosa significhi oggi per la sinistra la parola “equità” e dall’altro che cosa significhi oggi per la sinistra avere “uno stato che funzioni e che sia efficiente”. Sul primo punto Zingaretti scrive quanto segue: “Nessuno oggi deve più pensare all’equità come uguaglianza nel livellamento di tutti. O come cancellazione delle individualità. O come massificazione. No. Oggi l’Equità può realizzarsi attraverso due leve: la redistribuzione delle risorse materiali e la redistribuzione delle opportunità attraverso un nuovo sistema di regole per garantire a tutti le stesse condizioni di partenza”. Sul secondo punto, invece, il governatore offre alcune proposte per sburocratizzare lo stato, per renderlo più efficiente, per abbassare la pressione fiscale, per riformare la giustizia civile e per “smetterla di soffocare chi innova il paese e umiliare chi ha talento”. A questo, poi, Zingaretti aggiunge anche alcune proposte, ancora in via di elaborazione, per dare alle imprese “meno sussidi passivi e più incentivi a innovare”, per costruire un nuovo welfare senza rinunciare alla contaminazione della flexsecurity (Zingaretti in giunta, all’assessorato al Lavoro, ha scelto Lucia Valente, discepola di Pietro Ichino) e per mettere in mano alla sinistra alcuni strumenti utili a studiare la “società del rischio diseguale”, dove la crisi è vero che ha colpito solo alcune fasce sociali ma dove è altrettanto vero che ormai anche chi avrebbe dovuto difendere le classi sociali meno agiate, per esempio le rappresentanze sindacali, “si identifica sempre di più con degli interessi parziali”. “In questi anni – si legge nel nel documento – non abbiamo avuto buoni medici: c’è chi indicava solo la fine della malattia, lucrando un consenso demagogico, ma poi non era in grado di pensare una cura. E c’era chi indicava solo le medicine, ma non riusciva a dire la malattia da sconfiggere. Oggi noi siamo qui per provare a indicare la medicina e la guarigione”.

    Si dirà: e per quale ragione Zingaretti, proprio adesso, dovrebbe entrare nel dibattito politico nazionale? E che cosa vorrebbe fare? Che intenzioni ha? Ad ascoltare chi conosce il presidente della regione nelle pagine in questione non vi è alcun tipo di esplicito proposito bellicoso rivolto né al governo guidato da Enrico Letta né al possibile futuro Pd di Matteo Renzi. L’idea sarebbe quella, dice ancora un collaboratore di Zingaretti, “di creare un grande cervello collettivo delle migliori menti italiane per aiutare il centrosinistra ad aprirsi e a farsi contagiare dalle migliori eccellenze italiane”.

    Bene. E Zingaretti cosa dice? Alla fine di questo piccolo viaggio nel mondo zingarettiano il cronista ha provato a contattare telefonicamente il presidente della regione per capire qualcosa di più sulle evoluzioni del suo percorso. In un primo momento Zingaretti ha provato a soddisfare la domanda del cronista con una risposta sintetica, e citazione di Saviano, “io dico solo che in Italia fare il proprio dovere è rivoluzionario e io oggi voglio fare il mio dovere, ovvero il presidente della regione”. Stuzzicato ancora sul punto, però, il governatore si lascia andare e ci offre qualcosa di più sulla ragione per cui ha deciso di dare un suo contributo più diretto alla vita del Pd. “La verità è che nel Pd ormai siamo arrivati a una situazione rischiosa in cui le identità dei gruppi sono superiori all’identità del soggetto unitario. E’ un gioco al massacro. A volte si ha davvero la sensazione o l’atroce dubbio che il Pd non esista o esista un gruppo che sta insieme per un’idea drammatica. Del tipo, ‘il partito è utile a chi ne fa parte’. Invece dovremmo condurre una battaglia culturale diversa per ‘un partito utile alla comunità di cui fa parte’. Non so se nel Pd esistano spazi per questa battaglia culturale. Lo spero, ma comunque, dai, vedremo come va”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.