Il Pd pare “Notthing Hill” senza la Roberts, poi sbuca Fassina l'Amerikano

Mario Sechi

C’è il partito delle villette a schiera. E quello degli evasori per necessità. La tessera numero uno del primo è di Renato Brunetta, professione “Imunologo”, mentre nel secondo si segnala un nuovo iscritto, Stefano Fassina. Quello tra l’economista cingolato del Pdl e il bocconiano in progress è il link della settimana. Un intrico ad alto voltaggio di imposte e tasse, curve, cicli, grafici e analisi sui quali i due caballeros dopo esser finiti ai materassi più volte, hanno finito per trovarsi d’accordo. Oplà, ecco la rappresentazione delle larghe intese: Renato & Stefano contro il Fisco oppressore. Meno tasse per tutti, cribbio.

    C’è il partito delle villette a schiera. E quello degli evasori per necessità. La tessera numero uno del primo è di Renato Brunetta, professione “Imunologo”, mentre nel secondo si segnala un nuovo iscritto, Stefano Fassina. Quello tra l’economista cingolato del Pdl e il bocconiano in progress è il link della settimana. Un intrico ad alto voltaggio di imposte e tasse, curve, cicli, grafici e analisi sui quali i due caballeros dopo esser finiti ai materassi più volte, hanno finito per trovarsi d’accordo. Oplà, ecco la rappresentazione delle larghe intese: Renato & Stefano contro il Fisco oppressore. Meno tasse per tutti, cribbio. E se Brunetta è una conferma, è Fassina che “stupisce piacevolmente”, così Renato disse di Stefano il 25 luglio (giovedì) dopo aver letto le seguenti parole del viceministro democratico: “In Italia la pressione fiscale è insostenibile, c’è un’evasione di sopravvivenza”. Perbacco. “Più o meno è come passare da Tolomeo a Copernico” commenta una fonte (rating da tripla A) di questa colonna che apre una pista, con un tocco di humour: “Ma sulle tasse e il rigorismo legga cosa pubblica il Nens e tenga d’occhio i due Visco americani”. Americani? “Sì, il napoletano e il foggiano sono americani. Anche Fassina lo è…”. Nota a margine sul taccuino: verificare. Si comincia con il primo Visco (Ignazio) di origine vesuviana, perfezionamento alla University of Pennsylvania, governatore di Bankitalia che auspica “riduzioni di imposte, necessarie nel medio termine, pianificabili fin d’ora” (Considerazioni finali del governatore, 31 maggio 2013, pagina 13). Americano, ma soprattutto allievo dell’economista scomparso Federico Caffè, come Mario Draghi. Educazione keynesiana, pre-destinati al governo del denaro, quello che per Gordon Gekko non dorme mai.

    Alla voce Nens, si levano ricordi sul secondo Visco che di nome fa Vincenzo, fondatore del pensatoio fiscale democratico, studi alla Berkeley University in California, ex pluriministro in fase pre e post ulivista, torquemada delle tasse secondo la vulgata del Tremonti 1.0, quello del “Visco alle Finanze? E’ come Dracula all’Avis”. Eminenza rossa della politica economica progressista, esperto esploratore della giungla tributaria italiana, Visco è un foggiano arcigno, dalla battuta lesta. Fassina si becca uno scappellotto dal maestro che definisce la sua sortita “un infortunio”, ma in realtà sulla pressione fiscale e l’austerità brussellese, l’allievo dice cose che il think tank fondato da Visco e Bersani pubblica da tempo. Basta leggere il rapporto annuale sfornato in luglio. E’ una spietata analisi che conduce “all’erroneità della politica di austerità generalizzata adottata in Europa”. Chi è il direttore scientifico del Nens? Fassina, quello che a Washington tra il 2000 e il 2005 entrava e usciva dal Fondo monetario internazionale.

    Amerikani o berlusconiani? No, è il Pd in eterna fase dottor Jeckyll e Mr. Hyde. Capita che qualche volta pensi bene in privato, ma non riesca a liberarsi in pubblico dalla zavorra ideologica della Cgil, dal conformismo culturale, dal giornalismo collettivo (copyright dell’Elefantino) di cui è (in)felicemente subalterno. Rivoluzione copernicana o meno, una cosa è certa: “Quel Fassina eppur si muove”. Ma dove va? Qui occorrono pazienza e una buona aspirina per osservare lo slalom di Guglielmo Epifani. Il segretario-traghettatore riunisce la direzione democratica di venerdì (ieri, 26 luglio) e propone lo schema: primarie a metà dicembre, separazione tra segretario e candidato premier. Messa così la faccenda, Renzi non resta a Firenze e Letta resta a Palazzo Chigi, almeno per un po’. Ma la sinistra del partito, quella che sulla carta ha ancora un discreto controllo della macchina, chi candida? L’ex ministro Barca si è autoaffondato (e nessuno ha mai seriamente pensato di mettere il suo canotto in navigazione), Cuperlo e Civati sembrano usciti dalla pellicola di “Notthing Hill” senza Julia Roberts, Pittella è Pittella.  Disuniti alla meta. E poi c’è il dramma collettivo del Compagno Fighetto (“basta fare i fighetti, cercare l’applauso individuale con un tweet o su Facebook non basta più”, Enrico Letta dixit mercoledì 24 luglio) sul quale si è aperta una seduta di autocoscienza che Vincenzo De Luca spiana con la clava del venerdì: “Ce ne sono tanti. Ci sono fighetti, parlatori a ruota libera, sfaccendati”. Segnare sul taccuino: De Luca, viceministro delle Infrastrutture, sindaco di Salerno, 74 per cento dei voti, primo cittadino più votato d’Italia. Che dice lo sceriffo di Salerno? Difende Fassina che “ha fotografato una realtà e non ha giustificato nessuno”, poi alza la bandiera delle piccole e medie imprese, delle partite Iva, dei professionisti perché “se continuiamo ad avere la posizione attuale, per cui lo stato considera le imprese colpevoli preventivi, e non innocenti preventivi, non arriveremo da nessuna parte”. Appunto: da seguire. Mentre le agenzie di stampa registrano la stretta di mano e la pacca sulla spalla tra Letta e Renzi prima di entrare nella direzione del Pd (è sempre venerdì), squilla il telefono. Drin! “Passa da me”. Non è una fanciulla, ma un cremlinologo del Pd. Arrivo. Caffè. Ballon d’essai: “E se Fassina si candida al congresso”? Noi al Foglio ci divertiamo.