“Non ci sono più le mezze canzoni”

Michela Maisti

“Non ci sono più le mezze canzoni”. Anche Edoardo Vianello, l’incontestato re dei successi dell’estate che hanno fatto ballare e innamorare l’Italia nazionalpopolare dalla fine degli anni Cinquanta fino agli ultimi sprazzi degli Ottanta, ammette che niente potrà essere più come prima. Di chi è la colpa? Che fine hanno fatto quei motivetti che non ci facevano smettere di sognare nemmeno una volta arrivata la malinconia dell’autunno? Per Vianello una delle ragioni della dipartita dei tormentoni estivi sta nel modo in cui, oggi, siamo abituati a vivere l’esperienza della canzone. “Ognuno ha le sue cuffiette”, ci dice Vianello.

    “Non ci sono più le mezze canzoni”. Anche Edoardo Vianello, l’incontestato re dei successi dell’estate che hanno fatto ballare e innamorare l’Italia nazionalpopolare dalla fine degli anni Cinquanta fino agli ultimi sprazzi degli Ottanta, ammette che niente potrà essere più come prima. Di chi è la colpa? Che fine hanno fatto quei motivetti che non ci facevano smettere di sognare nemmeno una volta arrivata la malinconia dell’autunno? Per Vianello una delle ragioni della dipartita dei tormentoni estivi sta nel modo in cui, oggi, siamo abituati a vivere l’esperienza della canzone. “Ognuno ha le sue cuffiette”, ci dice Vianello. “Ai miei tempi l’attrazione principale della spiaggia era il juke box. Si stava insieme, un amico sceglieva la canzone che voleva ascoltare e con 50 lire si poteva sognare rendendo la melodia del momento qualcosa da ricordare”. Oggi il solerte iTunes ci somministra playlist e ci avverte con costanza di quale canzone davvero non possiamo fare a meno per avere un iPod al passo coi tempi. Nell’Italia selvatica e bella degli anni Sessanta le selezioni musicali si basavano sul gusto dei bagnanti che frequentavano la spiaggia di turno. E in effetti, complici un mercato discografico bulimico e la vastità della scelta dei supporti con cui ci si avvicina alla musica, la funzione aggregante della canzone vissuta come esperienza collettiva è andata perduta. Forse “per sempre”, come ci ricorda il papà dei Watussi. Vianello al Foglio non nasconde uno dei motivi principali (e tipicamente estivi) per i quali, nel 1958, decise di tentare la fortuna proponendo le sue idee a uno dei talent scout della musica più in voga in quegli anni: Teddy Reno. “Da giovane soffrivo di complessi di inferiorità, legati principalmente alla mia altezza, al mio aspetto fisico. Quando ho cominciato a fare musica e ad avere successo l’unico obiettivo era quello di rimorchiare!”. E di cuori spezzati Vianello, con il collega e amico Franco Califano, deve averne collezionati: “Giravamo per i lidi d’Italia e portavamo a spasso le nostre canzoni facendo concerti nei locali e nelle piazze ‘Ogni tappa era una strage!’”.

    Erano le estati della vita semplice in cui ogni cosa era permessa e a ogni cosa si assegnava un sottofondo musicale: elemento imprescindibile dal quale si faceva dipendere l’evoluzione – proficua e non – di una nottata scandita dal suono di una chitarra alla luce di un falò. Si faceva l’amore – come si fa oggi – si assaporava la libertà sessuale e c’era ben poco di quel bacchettonismo che forse tornava di moda al primo ingiallire delle foglie: “Non era infrequente che io e il Califfo ci scambiassimo la ragazza di serata in serata”, confessa Vianello. Tanto poi, a fare ordine nei costumi delle giovani donne italiane o delle turiste nordeuropee “rosse e spellate come un peperone” sarebbero tornati i vestiti accollati, le gonne lunghe fino al ginocchio.

    Bei tempi andati potrebbe dire qualcuno, oggi che la funzione totemica del tormentone estivo – da “Vamos a la playa” dei Righeira in su, nessuno escluso – è stata sostituita dal “pezzo della settimana” che le emittenti radiofoniche trasmettono a ritmi ossessivi, castrando qualunque desiderio o volontà di creare un legame tra quelle note e un’esperienza che ci riguarda.
    Dopotutto, come ci spiega Vianello, “la canzone che oggi ha successo non è altro che un prodotto costruito ad arte, pensato in ogni sua sfaccettatura, confezionato e destinato a durare per il tempo in cui si consuma. Rispettando, forse, più i canoni stabiliti dalle etichette discografiche e dall’incisività del messaggio pubblicitario anziché il gusto delle persone. Un esempio su tutti: il fenomeno Lady Gaga”. Nella canzone dell’estate l’interprete aveva un ruolo marginale: “Si prestava attenzione al contenuto, più che all’effetto che si voleva suscitare. Io stesso – racconta Vianello – ero riconosciuto per le mie canzoni. Perché erano loro a essere più forti di me”.

    Forse, a guardare bene come eravamo e come siamo, ci assale un po’ di quella malinconia che non ci lascia scampo. Dobbiamo rassegnarci: non ci resta che passare l’ennesima estate orfani della nostra canzone. E ricordarci di com’era bella Virna Lisi che nell’ultimo ballo del film che prende il titolo da uno dei più grandi successi di Vianello, al figlio che le domandava cosa ci fosse di così speciale della sua epoca risponde: “Ma che ne so, era diversa. Diversa”. “E come?”. “Mah, non so, ci batteva il cuore, mi sembra di ricordare che ci batteva il cuore”.