Investitor cortese

Fiat assediata continua a investire in Italia, ma si allunga oltreconfine

Ugo Bertone

Dottor Marchionne, ha apprezzato le parole di Zanonato? “Ovviamente sì”, replica l’ad del Lingotto in divisa estiva (polo di cotone blu in luogo del maglioncino d’ordinanza), ospite ieri all’Unione industriale di Torino nell’inedita veste di colomba, imperturbabile anche quando il ministro dello Sviluppo economico sottolinea che “il sostanziale fermo dell’impianto di Mirafiori, la sua progressiva obsolescenza, creano incertezza e sono elemento di preoccupazione”. Ci sarebbe di che replicare, viste le recenti rassicurazioni di Fiat al governo. Ma non è il caso. Meglio apprezzare l’apertura di Flavio Zanonato: “La Fiat è un patrimonio del paese, non è qualcosa di staccato o indifferente. E’ uno degli asset del paese, va benvoluto e aiutato in ogni modo”.

    Dottor Marchionne, ha apprezzato le parole di Zanonato? “Ovviamente sì”, replica l’ad del Lingotto in divisa estiva (polo di cotone blu in luogo del maglioncino d’ordinanza), ospite ieri all’Unione industriale di Torino nell’inedita veste di colomba, imperturbabile anche quando il ministro dello Sviluppo economico sottolinea che “il sostanziale fermo dell’impianto di Mirafiori, la sua progressiva obsolescenza, creano incertezza e sono elemento di preoccupazione”. Ci sarebbe di che replicare, viste le recenti rassicurazioni di Fiat al governo. Ma non è il caso. Meglio apprezzare l’apertura di Flavio Zanonato: “La Fiat è un patrimonio del paese, non è qualcosa di staccato o indifferente. E’ uno degli asset del paese, va benvoluto e aiutato in ogni modo”. “Dobbiamo mettere in testa agli italiani – ha aggiunto il ministro – che è un grande asset del paese. Se siamo tutti d’accordo iniziamo ad agire ciascuno nel proprio ambito non c’è più tempo da perdere”. Un’apertura che Marchionne non vuole sprecare, consapevole del rischio di finire ancora una volta proprio lui, il manager italiano più apprezzato nel mondo, sotto assedio di un fronte che va dalla Fiom alla magistratura, dai comici di tendenza ai vescovi. E’ in questo quadro che va in onda a Torino il Marchionne di governo. Il discorso di Squinzi? “Bellissimo”. E il presidente di Confindustria, di rimando, conferma e ribadisce che ha un “ottimo rapporto” con Marchionne. La sentenza della Corte costituzionale pro Fiom? “Aspettiamo le motivazioni”, si limita a rispondere l’ad. E che vuol dire al vescovo di Nola, monsignor Beniamino De Palma? “Lo stanno esponendo a una situazione difficile”, commenta il manager, implicitamente accusando il fronte anti Fiat di voler arruolare pure il clero in una crociata contro l’azienda. Solo un sussulto quando gli si chiede che natura abbia l’investimento in Rcs Mediagroup: “E’ strategico, altrimenti non avremmo investito tanto”. Ovvero, non spaventatevi o non illudetevi: la Fiat in Italia c’è e intende restarci. Si vedrà quanto e come. Le formalità per acquisire il passaporto americano sono quasi completate.

    Nell’attesa che si sblocchi la partita con il sindacato americano sulle azioni Chrysler, l’azienda ha già fatto sapere ai ministeri interessati che il nascente colosso sarà “olandese”. La sede legale della società che emergerà dalle nozze tra Torino e Detroit, infatti, sarà probabilmente l’Olanda, dove già si accinge a mettere su casa, dopo l’assemblea di stamane al Lingotto, la multinazionale di camion, trattori e macchine per movimento terra, che nascerà dalla fusione tra Fiat Industrial e Cnh. La nuova società si chiamerà Cnh International, perdendo per la strada qualsiasi richiamo alla Fiat. E si trasferirà armi e bagagli (ovvero analisti, banche e broker di riferimento) in quel di Wall Street, lasciando dalle parti di Piazza Affari solo le briciole, come tocca alle filiali un po’ decadute. Accadrà lo stesso a Fiat Auto? C’è ancora tempo per la scelta finale. Ieri mattina il gruppo torinese ha esercitato un’altra delle opzioni sui titoli Chrysler in mano al sindacato, di cui dispone in base al contratto del 2009, salendo – almeno in linea teorica – al 68,49 per cento dell’azienda di Detroit. Una notizia scontata che non sposta il nodo della questione: sul prezzo, le posizioni della Fiat e degli esperti di Wall Street arruolati dalle “tute blu” americane restano lontane, e così il passaggio dei titoli è congelato. Il giudice del Delaware chiamato a dirimere la questione, Donald Parsons, prende tempo nell’attesa che le parti s’accordino. Ma finora “la trattativa con Veba non ha avuto un buon esito”. Insomma, è ancora questione di mesi. Ma dopo?
    Oggi, in quel di Atessa, sede della Sevel, Marchionne risponderà con un programma da 750 milioni di euro, tanti quanti la joint venture tra Fiat e Peugeot intende investire in Val di Sangro per produrre l’erede del Ducato. Un evento straordinario ma che ha lasciato del tutto indifferente il presidente della Camera, Laura Boldrini, la quale preferisce dare retta alla Fiom che proprio ieri ha rivendicato la necessità di “fare forti investimenti in Sevel sia che avvenga con l’attuale partnership con la francese Psa, o con un altro gruppo industriale”. Inutile ricordare a Maurizio Landini (o all’onorevole Boldrini) che nel 2012 gli investimenti esteri in Italia sono precipitati del 70 per cento. E mica per colpa di Marchionne – che tra Pomigliano, Grugliasco, Melfi e Atessa ha investito quasi 4 miliardi di euro – e che oggi potrebbe mordersi ancora la lingua. O forse, davanti alle tute blu della Val di Sangro, il temperamento di Sergio l’abruzzese, figlio del maresciallo Concezio, prenderà il sopravvento.